Un interessante articolo del Financial Times, tradotto a cura del sito "Contropiano"
martedì 1 aprile 2025
venerdì 28 marzo 2025
Ci sono o ci fanno?
Andrea Zhok si pone, in riferimento ad un episodio recente, la domanda che mi pongo da trent'anni ogni volta che sento parlare un qualsiasi figurante del grande circo mediatico
giovedì 27 marzo 2025
Gli Stati Uniti sono in grado di fare la guerra?
Segnalo le interessanti considerazioni di Federico Petroni nel podcast di Limes:
mercoledì 26 marzo 2025
martedì 25 marzo 2025
domenica 23 marzo 2025
Europa (Massimo Bontempelli)
Europa
Massimo Bontempelli
L'Europa è presentata dai mezzi di comunicazione di massa e dal dibattito politico come un problema, in quanto è fatta apparire un luogo ideale di razionalità ed efficienza in cui il nostro paese dovrebbe inserirsi per diventare migliore, ad a cui tuttavia sembra permanentemente inadeguato. Basti pensare al lungo tormentone di alcuni anni fa riguardo alla possibilità o meno dell'economia e della finanza italiane di conformarsi ai parametri per l'adozione della moneta comune. Sembrò allora che il raggiungimento dei cosiddetti parametri di Maastricht costituisse la prova decisiva per il nostro popolo, ed ancora oggi lo schieramento di centro-sinistra si fa supremo vanto di aver conseguito quel risultato. Tuttavia l'ammissione del nostro paese al club della moneta unica europea è sempre presentata, oltre che come premio per l'opera di risanamento finanziario compiuta negli anni Novanta, anche come situazione che esige da esso ulteriori, continue innovazioni, affinché i suoi difetti strutturali non lo escludano poi per altri versi da un legame definitivo con la realtà transalpina. Rimanere fuori dell'Europa è, nel linguaggio cosiddetto politicamente corretto, sinonimo di declassamento, quando non addirittura di degradazione: senza l'aggancio all'Europa, si dice, l'Italia scivolerebbe inesorabilmente nel mondo maghrebino, si arabizzerebbe, diventerebbe sempre meno efficiente, razionale, moderna.
L'Europa, insomma, appare un problema perché appare il metro che misura la nostra civiltà, e perché su quel metro sembriamo non avere mai la misura giusta. Ma l'Europa appare un problema anche in un altro senso, perché si presenta sempre diversa da quello che è ritenuto debba essere in quanto Europa, e cioè una nuova grande nazione che ha superato tutti i vecchi nazionalismi con i loro rovinosi conflitti, e una potenza politica capace di svolgere un ruolo su scala mondiale. Si lamenta, allora, che i vari paesi europei non riescano a mettere da parte i loro contrapposti egoismi da cui sono divisi, che non siano in grado di concertare una politica estera comune, che non sappiano svolgere un ruolo autonomo sulla scena mondiale, e che l'Europa non sia un'Europa politica, ma un'Europa della banche.
A ben vedere, i due aspetti per i quali l'Europa è presentata come un problema, sono tra loro contraddittori. Chi dice, infatti, che l'Europa è un problema perché è un'Europa soltanto delle banche e della moneta, senza politica e senz'anima, non dovrebbe poi considerarla anche un traguardo che sia così pesantemente negativo non raggiungere. Se usciamo, peraltro, dalle banalità che ci vengono quotidianamente ripetute, e proviamo a ragionare in termini reali, non è difficile renderci conto che l'Europa come luogo ideale da cui siamo sempre invitati a non allontanarci è soltanto un abbaglio, e che l'unica Europa che ci attende abbandonando la sovranità nazionale è per l'appunto l'Europa senz'anima della moneta e delle banche. Non può essere diversamente, perché non ci sono, né stanno formandosi, le condizioni per fare dell'Europa una grande nazione, che le forze dominanti non vogliono affatto costruire, tanto è vero che tendono ad allargarla a sempre nuovi paesi che ne accrescono l'eterogeneità culturale, e neppure l'aggregazione europea è guidata da un qualsiasi ideale realmente unificante. Agli albori del risorgimento italiano, il Metternich, che lo contrastava, disse che l'Italia era soltanto un'espressione geografica. Ciò non era vero, in quanto le lotte per l'unità italiana stavano costruendo la nazione, e in quanto l'unità era chiamata a realizzare un ideale politico e civile, quello del costituzionalismo liberale e della laicità dello Stato. Processi di unificazione territoriale hanno un significato storico quando, come nel risorgimento italiano, il nuovo ambito territoriale incarna un nuovo ideale. Ma per quale nuovo ideale politico e civile è perseguita l'unificazione europea? Assolutamente nessuno. L'Europa tanto decantata è dunque veritativamente quel che Metternich diceva falsamente della penisola italiana, e cioè soltanto un'espressione geografica.
Da che cosa nasce, allora l'esigenza di creare un'area europea al di sopra dei tradizionali Stati nazionali? A vantaggio di che cosa gli Stati nazionali europei si stanno spogliano di una parte della loro sovranità? Se si esce dai luoghi comuni, non è difficile rispondere a queste domande. Basta osservare realisticamente di cosa consiste la nuova Europa: una moneta comune, una banca che la regola, un complesso di norme sovranazionali volte essenzialmente ad eliminare gli ostacoli alla libera circolazione dei capitali e le specificità produttive di intralcio alla produzione standardizzata su larghissima scala, commissari incaricati soprattutto di regolare interessi economici d'area, e un parlamento elettivo dotato di scarsi poteri. Tutto questo mostra chiaramente che l'Europa di cui oggi si parla non è altro che un sistema normativo e un apparato tecnocratico finalizzati a promuovere il completo dominio sulla società dell'economia dei mercati finanziari globalizzati: il loro carattere sovranazionale serve appunto ad aggirare gli ostacoli nazionali alla circuitazione senza limiti, ed esclusivamente secondo i determinismi di un'economia completamente autoreferenziale, di capitali e merci.
Ma l'economia globalizzata dei mercati finanziari è a dominanza americana. Ne consegue, sillogisticamente, che l'Europa a favore della quale gli Stati nazionali si stanno privando di molte loro prerogative non serve affatto a inserirli in una nuova potenza continentale indipendente, ma svolge un ruolo esattamente contrario. L'Europa, cioè, nasce, al di là di ogni intenzione, perché il suo spazio continentale sia progressivamente spossessato di ogni indipendenza politica e culturale.
Entrare in Europa, quindi, al di là di tutti i miti messi in circolazione, nella sua nuda verità non significa niente altro che imboccare la strada della piena americanizzazione della nostra società, e che spostare su piani più lontani, e meno visibili, e più difficilmente contrastabili, le decisioni politiche volte ad assicurare il predominio totale dei mercati finanziari, smantellando ogni forma di protezione sociale. L'Europa, certo, potrà contrastare gli Stati Uniti d'America per difendere alcuni suoi interessi commerciali in competizione con gli interessi americani, ma sempre entro un quadro di relazioni economiche create dal dominio mondiale americano. In questo contesto, la prevalenza in ultima istanza del potere americano sarà assicurata dal monopolio della potenza militare degli Stati Uniti d'America, oltre che dalla forza politica, diplomatica e commerciale del loro Stato.
Paradossalmente, quello che oggi si intende per Europa è la fine dell'Europa come civiltà, e l'omologazione della sua civiltà alla giungla americana: una giungla dove indubbiamente esistono opportunità di successo individuale superiori a quelle presenti nel vecchio mondo, ma nel contesto di rapporti umanamente impoveriti, ferocemente concorrenziali, immersi in una instabilità e precarietà generali, in cui lo stesso successo crea ansia, insensibilità, vuoto spirituale, e in cui la vita collettiva è avulsa da ogni sostanza storica. Cosa fare, allora? Occorre diffondere l'idea che, essendo l'Europa questo, è auspicabile una proiezione mediterranea del nostro paese, e niente affatto un suo inserimento in Europa. A livello europeo occorre porci soltanto per combattere le istanze sovranazionali di promozione delle politiche liberiste e di smantellamento delle protezioni sociali. Occorre infine cercare di valorizzare al massimo la nostra identità nazionale, tornando a far conoscere la sua storia e le sue tradizioni, e battendosi per una reintegrazione dei poteri del suo Stato unitario: chiamarsi fuori dall'Europa, per non diventare una colonia degli Stati Uniti d'America, e per cominciare a costruire una società affrancata dalla barbarie liberista.
(da “Diciamoci la verità”, edizioni CRT, Pistoia 2001, pagg.31-33)
sabato 22 marzo 2025
venerdì 21 marzo 2025
giovedì 20 marzo 2025
venerdì 14 marzo 2025
Psicopatologia politica dell'Unione Europea
Un bell'intervento di Geminello Preterossi
https://www.lafionda.org/2025/03/13/psicopatologia-politica-dellunione-europea/
giovedì 13 marzo 2025
mercoledì 12 marzo 2025
martedì 11 marzo 2025
Guia Soncini sul patriarcato
Ottima Guia Soncini: "Parlare di patriarcato nell'emancipato occidente del 2025-quello in cui le donne non portano il velo, votano, lavorano- fa ridere. Se non vi fa ridere avete un problema".
https://www.linkiesta.it/2025/03/zalone-ultimo-giorno-patriarcato/
domenica 9 marzo 2025
venerdì 7 marzo 2025
lunedì 3 marzo 2025
L'Unione Europea vuole la guerra?
Un paio di interventi a proposito della proposta di una "manifestazione per l'Europa":
Uno di Pino Cabras
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-carica-dei-serrapiattisti-no-pax
L'altro di Sergio Cararo (da "Contropiano")
domenica 2 marzo 2025
Rissa alla Casa Bianca
Lo scontro in diretta tv alla Casa Bianca sta suscitando, come è ovvio, una marea di commenti e analisi. Vi propongo un intervento da "Contropiano":
poi uno di Elena Basile:
https://www.lafionda.org/2025/03/01/il-partito-della-guerra/
e infine una discussione fra Lucio Caracciolo e Alfonso Desiderio:
sabato 1 marzo 2025
Il fantasma del patriarcato
Un'interessante analisi della studiosa Tara van Djik, tradotta nel sito Lafionda.com.
Prima della traduzione trovate il link al post originale, in inglese.
lunedì 24 febbraio 2025
Persa la guerra, adesso il conto lo paga l'Europa
Un intervento di Francesco Sylos Labini
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/persa-la-guerra-adesso-il-conto-lo-paga-l-europa
domenica 23 febbraio 2025
sabato 22 febbraio 2025
mercoledì 19 febbraio 2025
Se questo non è un ricatto...
Un intervento su "Contropiano" commenta un articolo di Fubini sul Corriere, e poi riporta l'articolo:
Come dicevo lunedì, viviamo in tempi interessanti, tempi nei quali perfino in un articolo del Corriere si ricordano i problemi economici degli Stati Uniti, e si conclude parlando di un loro declino.
martedì 18 febbraio 2025
Monaco: cronache da un altro mondo
Dal sito Analisi Difesa, un'analisi di quanto avvenuto alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco
https://www.analisidifesa.it/2025/02/monaco-cronache-da-un-altro-mondo/
lunedì 17 febbraio 2025
Il discorso di Vance
domenica 16 febbraio 2025
Parole a metà
La rivista Contropiano riporta l'intervento di Maria Zakharova sul quale si discute in questi giorni, con un commento che condivido ampiamente
Ma il punto essenziale mi pare l'abbia colto Cremaschi, in questo intervento dalla stessa rivista:
https://contropiano.org/news/politica-news/2025/02/15/e-perche-non-dovrebbero-offendersi-0180410
Parlando del punto essenziale mi riferisco a questo passaggio:
"Sergio Mattarella davvero crede che la Russia sia il nuovo Terzo Reich? Allora dovrebbe pretendere che si faccia la guerra, anche con soldati italiani, contro di essa. Senza tregua e compromessi, fino al rovesciamento del governo russo in carica. Non si possono dire parole a metà su questo. Tipo sei Hitler, ma facciamo una pace giusta."
In sostanza, se le parole di Mattarella hanno un senso, è quello di preparare gli italiani alla guerra.
sabato 15 febbraio 2025
venerdì 14 febbraio 2025
giovedì 13 febbraio 2025
mercoledì 12 febbraio 2025
Il volto della guerra
Un'interessante analisi di Enrico Tomaselli
https://giubberossenews.it/2025/02/09/il-volto-della-guerra-ucraina/
martedì 11 febbraio 2025
Energia e Moneta: serve una svolta
Un intervento di Stefano Sylos Labini, dal sito "La Fionda"
https://www.lafionda.org/2025/02/10/energia-e-moneta-serve-una-svolta/
domenica 9 febbraio 2025
Scontri legali negli USA
venerdì 7 febbraio 2025
Contrordine?
L'articolo (dal sito AnalisiDifesa) mostra con chiarezza le contraddizioni in cui si dibatte l'Europa
giovedì 6 febbraio 2025
martedì 4 febbraio 2025
Europa vaso di coccio
Un'analisi realistica di Enrico Tomaselli
https://giubberossenews.it/2025/02/02/europa-vaso-di-coccio/
lunedì 3 febbraio 2025
USA e getta
Un ottimo intervento di Andrea Zhok
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/usa-e-getta
Sottolineo in particolare questo passaggio:
"Tutte le persone di buona volontà (a quaquaraqua e vendipatria è inutile rivolgersi) devono prendere definitivamente le distanze dal principale gioco che paralizza ogni ricambio politico e di potere, cioè il gioco della contrapposizione fittizia tra Destra-Sinistra. Sembra incredibile, ma decenni di integrale intercambiabilità in tutte le politiche strutturali non hanno ancora convinto tutti del fatto che il “Gioco dell’Alternanza Bipolare” è solo un sistema per garantire l’irriformabilità assoluta, la stagnazione terminale del sistema. Ancora oggi c’è un sacco di gente che pensa in buona fede che sia importante “Abbattere la Destra al governo” (magari nel nome dell’antifascismo), o “Abbattere la Sinistra al Governo” (magari nel nome dell’anticomunismo). Il fatto che questo gioco continui a funzionare in teste apparentemente abili è uno dei misteri più sconcertanti, qualcosa che spinge al più radicale pessimismo antropologico. Il fatto che ci sia gente, tanta gente, che si dedica anima e corpo all’identificazione quotidiana di dettagli estetici aborriti, di destra o di sinistra a seconda della bisogna, deprime le speranze di cambiamento"
domenica 2 febbraio 2025
sabato 1 febbraio 2025
giovedì 30 gennaio 2025
Le linee rosse del Cremlino
Un interessante intervento di un analista militare russo, dal sito "Contropiano"
martedì 28 gennaio 2025
La profezia della guerra
Una interessante analisi di Enrico Tomaselli
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/la-profezia-della-guerra
domenica 26 gennaio 2025
sabato 25 gennaio 2025
Nuovi record
"Clamoroso e preoccupante" il nuovo record della temperatura media globale nel 2024
https://www.climalteranti.it/2025/01/08/clamoroso_record_2024/#more-12796
giovedì 23 gennaio 2025
mercoledì 22 gennaio 2025
lunedì 20 gennaio 2025
domenica 19 gennaio 2025
Capitalismo che brucia
Una riflessione sugli incendi a Los Angeles
https://contropiano.org/news/internazionale-news/2025/01/12/lamerican-way-of-life-va-a-fuoco-0179256
sabato 18 gennaio 2025
Le parole e i fatti
Un interessante intervento di Piero Pagliani
https://www.sinistrainrete.info/crisi-mondiale/29652-piero-pagliani-le-parole-e-i-fatti.html
venerdì 17 gennaio 2025
"Una ontologia tribale"
Davide Miccione coglie molto bene il "tribalismo" delle ideologie contemporanee
giovedì 16 gennaio 2025
mercoledì 15 gennaio 2025
lunedì 13 gennaio 2025
sabato 11 gennaio 2025
Alla canna del gas
Un intervento di Francesco Dall'Aglio
https://www.ariannaeditrice.it/articoli/alla-canna-del-gas-21365
venerdì 10 gennaio 2025
La scommessa di Israele
Un'interessante analisi di Enrico Tomaselli
https://giubberossenews.it/2025/01/09/la-scommessa-di-israele/
giovedì 9 gennaio 2025
mercoledì 8 gennaio 2025
martedì 7 gennaio 2025
Piccole crisi crescono
Da "Contropiano", un intervento sui problemi del settore automobilistico in Europa
lunedì 6 gennaio 2025
domenica 5 gennaio 2025
giovedì 2 gennaio 2025
Fine della libertà?
Per la libertà di pensiero
Marino Badiale
1. Una lenta erosione
Assistiamo da molto tempo, nei paesi occidentali, a una lenta erosione del fondamentale principio della libertà di pensiero, intesa naturalmente come libertà di espressione pubblica delle opinioni. Nel 2024 abbiamo assistito, per fare qualche esempio, all’arresto di Pavel Durov, fondatore del “social” Telegram, e a iniziative repressive contro le proteste nei confronti della politica israeliana, iniziative che assumono modalità diverse nei vari paesi ma sembrano avere in comune l’accomunare la critica alle politiche israeliane con l’antisemitismo. Il catalogo dell’intolleranza contemporanea è però, purtroppo, molto più vasto, e comprende per esempio alcuni aspetti di quello “spirito del tempo” che viene genericamente indicato con termini quali “politicamente corretto”, “wokism”, “cancel culture”. Un recente notevole esempio in questo senso è rappresentato dalle contestazioni verso il film “Ultimo tango a Parigi”, che hanno portato alla cancellazione di una proiezione prevista in una sala cinematografica della capitale francese.
In sostanza, l’intolleranza contemporanea è presente in versioni sia “di destra” sia “di sinistra”, e va quindi indagata appunto come una espressione dello “spirito del tempo”.
Per fissare un punto di partenza di questa deriva, almeno per quanto riguarda l’Europa, si può forse indicare la legge francese del 1990, legge Gayssot, che fra le altre cose rendeva reato la negazione dell’esistenza del genocidio subito dagli ebrei ad opera del nazismo. Questa legge è stata poi imitata, in un modo o nell’altro, da molti paesi europei. Sicuramente tale legge non è la prima, in un paese occidentale, a colpire la libertà di opinione: basti pensare, in Italia, alla legge Scelba. La legge Gayssot mi sembra però significativa perché è stata imitata, in forme diverse, in vari paesi europei, e soprattutto perché essa colpisce non tanto una posizione politica sgradita, ma proprio la pura e semplice manifestazione di un’opinione: negare il genocidio ebraico, di per sé, è solo un’opinione relativa a fatti storici e non sottintende nessuna particolare posizione politica, tanto che sono esistite correnti di estrema sinistra (ultraminoritarie anche all’interno dell’estrema sinistra, s’intende) che sostenevano tale opinione. Insomma, la legge Gayssot esprime esattamente la volontà politica di rendere reato una mera opinione. Ovviamente, l’intenzione che la sottendeva era quella di colpire un’area politica, quella dell’estrema destra, ma il fatto che questa intenzione politica si sia manifestata come creazione di un puro reato di opinione mi sembra un aspetto molto significativo, tanto da giustificare il fatto di prendere tale legge come punto di inizio simbolico dei fenomeni di cui s’è detto. Senza voler ripercorrere qui tutte le tappe di questa evoluzione, possiamo però notare un aspetto importante: i provvedimenti come la legge Gayssot proibiscono una opinione precisa e ben determinata, ed è quindi difficile che, da soli, possano essere usati per un attacco generalizzato alla libertà di opinione. La tendenza più recente della cultura dominante è invece quella di sollevare discredito sociale verso chi esprime opinioni sgradite usando nozioni del tutto generiche, sfocate, mai chiaramente definite, come “discorso d’odio”, “fake news”, “mainsplaining”. Il discredito sociale in questo modo creato può poi essere usato per rendere accettabili provvedimenti legislativi di ulteriore restrizione della libertà di opinione. Si tratta di una strategia molto chiara, da parte dei poteri dominanti: poiché nozioni come quelle sopra indicate sono assolutamente vaghe, non possono essere usate come base di una precisa accusa se non ne viene in qualche modo specificato il contenuto. Di conseguenza, tutto il gioco sta nel decidere, di volta in volta, che cosa sia “discorso d’odio” o “fake news”: e ovviamente questo potranno farlo i poteri dominanti che dispongono di molteplici modi per influenzare i media e la magistratura. La creazione di reati di opinione, specie se vagamente definiti, è quindi uno strumento significativo per il tentativo, da parte dei ceti dominanti, di mantenere il proprio potere in una situazione di declino sociale generalizzato come è quella attuale.
2. Perché è un problema
Queste tendenze sono davvero molto pericolose, perché la libertà di opinione ha un carattere fondamentale, tanto più in una fase storica come quella attuale. Spendiamo qualche parola su questo.
Il primo punto da sottolineare è del tutto ovvio: le nostre sono società democratiche dove le decisioni vengono prese a partire dalle discussioni nell’arena pubblica. Ovviamente le decisioni democratiche, prese a maggioranza, per definizione quasi mai soddisferanno tutti; ma la minoranza insoddisfatta sa di aver potuto liberamente manifestare e argomentare le proprie opinioni, e soprattutto sa che, grazie a questa libertà, ha la possibilità di diventare maggioranza nelle discussioni e decisioni future. È questo il meccanismo che permette di mantenere i conflitti su un terreno di politica democratica, evitando che essi degenirino in contrapposizioni violente e, al limite, in una guerra civile. La libertà di pensiero, in una società democratica, ha dunque un carattere costitutivo e fondante, ed è chiaro che ogni sua limitazione presenta dei rischi che non possono essere taciuti.
Quanto appena detto rappresenta un argomento valido in generale per le nostre società democratiche, senza relazione ad una situazione specifica. È però necessario dare maggiore concretezza al discorso, e quindi mettere in relazione il problema della libertà di pensiero con quello del presente declino e del futuro probabile collasso dell’attuale organizzazione sociale capitalistica. Ho discusso questa tema in altri interventi, quindi non ripeterò qui l’analisi che mi porta a pensare probabile un collasso sociale generalizzato. Basti solo un accenno al fatto che l’attuale organizzazione sociale capitalistica, ormai estesa al mondo intero, vive una fase in cui si intrecciano una crisi economica (dalla quale non si intravede via d’uscita), una crisi di egemonia (che sta portando a nuove guerre) e una crisi degli ecosistemi terrestri, ormai avviata, che non verrà affrontata con le misure necessarie perché queste sono incompatibili con la logica capitalistica del profitto e della crescita illimitata. È ragionevole pensare che l’intreccio di queste crisi porterà, in tempi non lunghissimi, al collasso dell’attuale organizzazione sociale.
Inserita in questo contesto, la necessità della libertà di pensiero appare ancora più evidente. Infatti, una crisi generalizzata come quella che ci aspetta mette in questione l’intero apparato concettuale della nostra civiltà: le ideologie dominanti (cioè, negli ultimi decenni, il neoliberismo) che hanno accompagnato la società nel suo percorso suicida, ma anche le ideologie cosiddette critiche, magari sedicenti rivoluzionarie, che non hanno saputo bloccare tale percorso. Di fronte ad un collasso di civiltà, il fatto di aver espresso istanze critiche può forse portare ad un giudizio morale positivo su una persona, ma non toglie che il giudizio sulla sua ideologia sia un giudizio di fallimento, analogo a quello che si deve dare verso le ideologie dominanti. Ma se la situazione è quella di un fallimento completo delle ideologie disponibili, “mainstream” o “critiche”, è chiaro che è necessaria la ricerca il più possibile spregiudicata di nuovi apparati concettuali, che siano in rottura netta con quanto li ha preceduti. Ed è chiaro che tale ricerca ha bisogno della massima apertura e libertà, per poter essere portata avanti. La libertà di pensiero è cioè un prerequisito indispensabile se vogliamo sperare di trovare una strada umana e sensata attraverso le rovine dell’attuale organizzazione sociale. Detto altrimenti: oggi, di fronte al collasso prossimo venturo, per trovare una via di uscita è necessario poter pensare e dire anche cose estreme. Impedirlo è solo un aiuto al sistema di potere che ci ha portato in questa situazione. Il che non significa, naturalmente, che ogni opinione estrema sia utile o condivisibile.
L’obiezione che si sente tipicamente ripetere, di fronte ad argomentazioni a favore della libertà di pensiero come quelle sopra svolte, consiste nel sostenere che è necessario escludere la possibilità di espressione di opinioni aberranti, assurde o moralmente ignobili, e che tale esclusione non inficia in nessun modo la possibilità di una discussione razionale nell’opinione pubblica. Si tratta di un’opinione apparentemente ragionevole, ma che può essere confutata, e per questo si può partire dai casi cui abbiamo accennato all’inizio, cioè dal fatto che in vari paesi europei si è molto ristretta la possibilità di esprimere solidarietà ai palestinesi e contrarietà alle politiche israeliane. Queste restrizioni sono giustificate a partire dall’accusa di antisemitismo rivolta a chi si mobilita contro le politiche israeliane. È naturalmente ovvio che l’antisemitismo fa parte di quelle opinioni ripugnanti che sembrerebbe possibile escludere dal dibattito pubblico senza grave nocumento per il dibattito stesso. Ma questo esempio dimostra che non è così, perché a partire dalla proibizione dell’antisemitismo si arriva a proibire l’antisionismo, e più in generale ogni possibile obiezione radicale alle politiche israeliane. Dovrebbe essere ovvio che antisionismo e antisemitismo appartengono a livelli logici differenti, perché il rifiuto del sionismo è il rifiuto di una ideologia politica, quindi non ha in sé nulla di razzista e non ha in sé nulla a che fare con l’antisemitismo che è il razzismo contro gli ebrei. Ma quello che succede è invece che un immenso apparato mediatico da decenni spinge all’identificazione di antisionismo e antisemitismo, fino ad arrivare appunto alla situazione cui abbiamo accennato. Il punto è che una simile deriva è difficile da evitare quando si cominciano a proibire le opinioni, perché le idee non sono chiuse in asettiche provette di laboratorio, ma sono collegate da mille legami vitali alla totalità pulsante della cultura di una società. “Il pensiero è come l’oceano, non lo puoi bloccare, non lo puoi recintare”, come cantava Lucio Dalla. In altri termini, se si decide di proibire una serie di ripugnanti opinioni A,B,C,D, quando si presenta sulla scena del dibattito politico e culturale una opinione E sgradita al potere, sarà sempre possibile mobilitare l’apparato mediatico e intellettuale asservito al potere stesso e trovare un modo di collegare E a una delle opinioni reiette, in maniera intellettualmente onesta o disonesta (più probabile la seconda possibilità). Riprendendo il discorso svolto sopra, osserviamo che questo sarà particolarmente facile se per le opinioni proibite vengono usate categorie del tutto generiche e indefinibili come “discorsi d’odio” o “misoginia estrema”, e non è un caso che categorie di questo tipo siano sempre più diffuse nel dibattito pubblico.
Se questo discorso appare astratto, per renderlo concreto basta pensare a quanto detto sopra, cioè a come la “potenza di fuoco mediatico” del sistema informativo dominante sia riuscita a rendere accettabile l’equiparazione fra antisionismo e antisemitismo, delegittimando in questo modo ogni critica alle politiche israeliane. È facile rendersi conto che altre operazioni di questo tipo che sarebbero realizzabili senza grosse difficoltà, se si rendessero necessarie. Proviamo per esempio a fare l’ipotesi che nei prossimi tempi sorga, nei paesi occidentali, un significativo movimento di contestazione del capitalismo attuale e che esso nasca con forti riferimenti alla tradizione marxista. Si tratta certo di un’ipotesi molto lontana dalla realtà, ma ci serve qui come esperimento mentale. Un tale movimento sarebbe ovviamente attaccato in molto modi diversi ma, se per caso la nozione di “discorso d’odio” diventasse davvero una fattispecie di reato, uno di tali modi sarebbe quello di denunciare come “discorso d’odio” il principio, fondamentale nel marxismo, della lotta di classe. E ovviamente non sarebbe difficile andare a pescare, in più di un secolo e mezzo di produzione letteraria marxista, una enorme quantità di citazioni esaltanti la violenza rivoluzionaria o l’odio di classe. Se si trattasse di una discussione accademica sarebbe certo possibile discutere caso per caso, spiegare, contestualizzare, ma nel vivo di uno scontro politico, e avendo accettato la creazione di una tale fattispecie di reato, il risultato sarebbe, con ogni probabilità, quello che vediamo accadere oggi nei confronti delle contestazioni alla politica israeliana.
Se tutto questo è chiaro, una conclusione si impone: poiché chi vuole opporsi alla deriva suicida della nostra società non ha minimamente la “potenza di fuoco” dell’apparato mediatico al servizio del potere, è chiaro che non c’è modo di difendersi da questi indebiti collegamenti, una volta che si sia accettata l’idea che alcune opinioni estreme o ripugnanti debbano essere proibite. Vi è quindi una sola posizione razionale da prendere: il rifiuto di ogni reato di opinione, ovvero assoluta e totale libertà di pensiero e di opinione. Qualsiasi opinione ha diritto ad essere espressa. Le leggi eventualmente reprimono le azioni che possono nascere dalle opinioni, non le opinioni stesse.
3. Declino di una civiltà
Una volta chiariti i motivi per i quali ritengo che la più assoluta libertà di pensiero sia una condizione necessaria per affrontare la spirale autodistruttiva nella quale si stanno muovendo le società contemporanee, occorre affrontare il problema se sia concretamente possibile un’azione politica a difesa della libertà di pensiero. Sembra purtroppo evidente il fatto che non esistono forze politiche disposte a impegnarsi concretamente in questo senso. Le forze politiche interne al sistema (centrodestra e centrosinistra), che si alternano nei governi dei paesi occidentali, non si differenziano molto su questi temi, come non lo fanno sul resto: in sostanza, ciascuna forza politica chiede libertà di espressione per la propria area ma, appena ne ha l’occasione, chiede restrizioni e limitazioni nei confronti dell’area avversa. Si tratta di forze del tutto interne all’attuale sistema di potere attuale, che ne seguono pedissequamente la corrente, e non hanno quindi nessuna intenzione di opporsi alle politiche di restrizione della libertà di pensiero, visto che esse rappresentano appunto una delle tendenze di fondo del potere attuale.
Se non ci si può aspettare nulla dalle forze politiche maggioritarie di destra o di sinistra, si potrebbe allora pensare che una simile lotta potrebbe essere combattuta dalle minoranze anticapitalistiche: dopotutto, le posizioni anticapitalistiche sono quelle a maggior rischio di repressione, e la repressione utilizzerà i meccanismi descritti in precedenza in riferimento alle polemiche su Palestina/Israele. Poiché le posizioni antisistemiche sono oggi ultraminoritarie, una simile battaglia dovrebbe cercare di allargare il più possibile lo spettro delle alleanze, rivolgendosi a tutti coloro che hanno a cuore l’idea della libertà di pensiero, che possono essere per il resto molto lontani dall’anticapitalismo. E affinché siano possibili queste alleanze, è ovvio che deve essere allontanato ogni sospetto di doppiezza o ambiguità. Bisogna cioè che chi lotta per la libertà di pensiero non dia spazio al minimo sospetto di “essere come gli altri”, cioè di essere come coloro che vogliono la libertà di pensiero per “i miei” ma vogliono la repressione “per quegli altri”. In altri termini, l’unica base possibile di una autentica alleanza per la libertà di pensiero non può che essere, come abbiamo più volte ribadito, la richiesta della più totale e assoluta libertà di pensiero e di espressione per tutti, anche per le idee più lontane dalle proprie e più assurde e ripugnanti. Per essere chiari, e per rispondere finalmente all’obiezione che i lettori avranno già da sé stessi formulato : sì, anche i nazisti. Anche le idee naziste hanno diritto alla libera espressione. Naturalmente, appena la libera espressione delle idee diventa una concreta azione che viola le leggi, essa deve essere repressa, con durezza proporzionale alla gravità della violazione. Ma questo vale per l’estrema destra come per chiunque altro.
Una volta enunciato questo punto fondamentale, è facile capire perché il mondo anticapitalista, il mondo della sinistra radicale, non farà mai una seria lotta politica per la libertà di pensiero. L’estrema sinistra è un mondo di piccole comunità identitarie, e quello che conta in esse non è l’elaborazione concreta di linee politiche praticabili, ma la rappresentazione della propria identità. Una componente essenziale di tale identità è proprio l’idea che l’estrema destra non ha diritto a esprimersi e bisogna cercare di impedire, anche fisicamente, ogni sua manifestazione. Si tratta di un elemento identitario rispetto al quale l’estrema sinistra è incapace di autocritica, perché esso ha un valore essenziale: serve a rimuovere dalla coscienza la sostanziale impotenza di quest’area politico-culturale. L’estrema sinistra vuole il socialismo, la rivoluzione, il comunismo, ma non li ha mai ottenuti e non li otterrà mai. Impedire fisicamente una iniziativa di un qualche gruppuscolo fascista serve a credere di esistere, di fare qualcosa. Se l’estrema sinistra rinunciasse a queste inutili sciocchezze, dovrebbe confrontarsi col proprio secolare fallimento, e questo ovviamente non lo può fare.
È chiaro allora che una politica di difesa del principio della assoluta libertà di pensiero non ha nessuna speranza di essere presa in considerazione nel mondo anticapitalista, e in definitiva non c’è nessuna speranza che una forza politica significativa faccia propria la lotta per una autentica libertà di pensiero e di opinione.
Tale assenza di una forza politica che lotti per la libertà di opinione rispecchia, a mio avviso, una realtà sociale significativa: il fatto cioè che vi sono ampi strati sociali per i quali la libertà di opinione non è più un valore primario. Questo fenomeno mi sembra rappresenti un mutamento importante nello “spirito del tempo”. L’Occidente si definisce da secoli come la civiltà della libertà e in particolare della libertà di pensiero. Il fatto che la corrosione di tale libertà non trovi un contrasto, ma sia anzi in risonanza con settori non trascurabili della popolazione, mi sembra rappresentare un ulteriore indizio di un generale processo di dissoluzione dell’attuale civiltà.
(Genova, fine 2024)
mercoledì 1 gennaio 2025
COP 29
Un'analisi, non recentissima ma interessante, dei risultati della COP 29, e di varie questioni collegate