"Ma in quel momento per disgrazia il cameriere zelante mi portò un giornale viennese, tentai di leggerlo e la nausea mi afferrò in forma di vero sdegno. Là si potevano vedere le frasi retoriche dell'inflessibile volontà di vittoria, delle insignificanti perdite nostre e di quelle enormi dell'avversario, là mi si faceva incontro, nuda e gigantesca, la svergognata menzogna della guerra! No, i colpevoli non erano quegli spensierati cittadini a passeggio, ma soltanto coloro che aizzavano alla guerra con le loro parole. Ma eravamo colpevoli anche noi, se non insorgevamo a combatterla con le nostre. Avevo ricevuto il giusto impulso: bisognava lottare contro la guerra! Tutto era già pronto in me ed era mancata soltanto l'ultima conferma del mio istinto perché cominciassi. Avevo riconosciuto l'avversario da combattere: il falso eroismo che preferisce mandare gli altri a soffrire e a morire, il facile ottimismo dei profeti incoscienti: politici o militari, che, promettendo senza scrupoli vittoria, prolungano il massacro ed hanno alle spalle il coro da loro pagato, tutti quei "parolai della guerra" che Werfel ha messo alla gogna in una sua bella poesia. Chi manifestava un dubbio li disturbava nei loro affari patriottici; chi ammoniva era schernito come pessimista; chi combatteva la guerra di cui essi non dividevano i dolori, era marchiato traditore. Era sempre attraverso i tempi la stessa gentaglia, pronta a dichiarare vili i prudenti, deboli gli umani, per poi smarrirsi nell'ora della catastrofe imprudentemente provocata."
Da: Stefan Zweig, Il Mondo di ieri, capitolo "La lotta per la fraternità spirituale".
(ovviamente, si sta parlando di giornali viennesi del 1914 o giù di lì. Cosa mai potrebbe avere a che fare tutto questo con l'oggi? Chi mai potrebbe pensare che "la stessa gentaglia" abbia ancora spazio nel nostro tempo così resiliente, inclusivo, fluido? M.B.)
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