“E se smettessimo di fingere?” è un piccolo libro di Jonathan Franzen, appena pubblicato da Einaudi. La tesi è esplicitata dal sottotitolo: “Ammettiamo che non possiamo più fermare la catastrofe climatica”.
L’intento dell’autore non è quello di argomentare in profondità questa tesi (non qui, almeno): come ho detto, è un testo molto breve, 42 pagine in tutto (consiste di una prefazione, un articolo pubblicato sul “New Yorker” e un’intervista pubblicata su “Die Literarische Welt”). Piuttosto egli intende offrire qualche riflessione a partire dall’assunzione dell’inevitabilità della catastrofe climatica. Da questo punto di vista ho trovato interessanti molte delle sue osservazioni. Eccone qualcuna:
“L’obbiettivo è chiaro da trent’anni e, malgrado la sincerità degli sforzi, siamo ben lontani dal raggiungerlo. Oggi le prove scientifiche sono pressoché irrefutabili. Se avete meno di sessant’anni, avrete buone probabilità di assistere alla totale destabilizzazione della vita sulla terra-carestie su vasta scala, incendi apocalittici, implosione di intere economie, immani inondazioni, centinaia di milioni di rifugiati in fuga da regioni rese inabitabili dal caldo estremo o dalla siccità permanente. Se avete meno di trent’anni, vi assisterete quasi sicuramente (p.4)”.
“Altri tipi di apocalisse, religiosa o termonucleare o asteroidale, hanno almeno la nitidezza binaria del morire: il mondo esiste e un istante dopo non esiste più. L’apocalisse climatica, al contrario, è caotica. Prenderà la forma di crisi sempre più gravi che peggioreranno in modo disordinato, finché la civiltà non comincerà a disgregarsi (pp.5-6)”.
Quanto alla possibilità teorica di evitare la catastrofe, Franzen osserva che “la prima condizione è che tutti i paesi più inquinanti del mondo istituiscano draconiane misure di conservazione, chiudano la maggior parte delle loro infrastrutture energetiche e di trasporto e riorganizzino completamente la loro economia (…). Infine, moltissimi esseri umani, compresi milioni di statunitensi avversi al governo centrale, dovranno accettare senza ribellarsi un aumento delle tasse e un forte ridimensionamento del tenore di vita a cui erano abituati (pp.9-10)”. In sostanza, “(…) l’unica speranza di rispettare l’obbiettivo delle emissioni stabilito dall’Ipcc è la radicale trasformazione di quasi ogni aspetto della vita quotidiana, con effetti sociali a dir poco dirompenti. Negli Stati Uniti il risultato potrebbe essere, letteralmente, la guerra civile (p.33)”.
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