(L'articolo di Paolo Di Remigio sulla teoria del valore-lavoro in Marx, che trovate qui, ha stimolato un interessante commento a firma "Arturo". Paolo Di Remigio mi ha inviato una risposta ad Arturo che pubblico qui di seguito. Per completezza, e per facilità di lettura, riporto anche il commento di Arturo. Grazie a entrambi per l'interessante discussione. M.B.)
Intervento
di Arturo:
Un
intervento che contiene certo spunti interessanti e anche
condivisibili, ma in cui, a mio modo di vedere, emerge una debolezza
di fondo: hai sostanzialmente separato la moderna economia di mercato
dal capitalismo, sostituendo alla critica di quest’ultimo quella
della retorica (che tale è) antistatalista liberale. In un commento
mi limito a un paio di osservazioni, magari ci sarà occasione di
riparlarne. Riguardo la teoria del valore da un lato accusi Marx di
essere un ricardiano, dall’altro riconosci, perché è evidente,
che nella logica dell’esposizione del Capitale è lo scambio a
realizzare il lavoro astratto. Perché vederci una contraddizione
deflagrante invece che un'incompleta purga concettuale, come fanno da
decenni gli autori della Neue Marx Lektuere (ma l’aveva già detto
molto tempo prima Rubin)? Non è evidente che per chi già scriveva
in Per la critica dell’economia politica:
“Il tempo di lavoro sociale esiste per così dire solo allo stato latente in queste merci e si manifesta soltanto nel processo del loro scambio. Non si parte dal lavoro degli individui in quanto lavoro comune, ma, viceversa, da lavori particolari di individui privati, lavori che soltanto nel processo di scambio, con l’abolizione del loro carattere originale, si affermano come lavoro sociale generale. Il lavoro generalmente sociale non è quindi il presupposto bell’e pronto, è bensì risultato in divenire.”
“Il tempo di lavoro sociale esiste per così dire solo allo stato latente in queste merci e si manifesta soltanto nel processo del loro scambio. Non si parte dal lavoro degli individui in quanto lavoro comune, ma, viceversa, da lavori particolari di individui privati, lavori che soltanto nel processo di scambio, con l’abolizione del loro carattere originale, si affermano come lavoro sociale generale. Il lavoro generalmente sociale non è quindi il presupposto bell’e pronto, è bensì risultato in divenire.”