Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento degli amici Paolo Di Remigio e Fausto Di Biase (M.B.)
In Italia, negli ultimi vent’anni, mentre la sanità pubblica
subiva gli artigli del liberalismo, l’istruzione pubblica è stata sommersa da
una marea di provvedimenti della medesima origine, dalle conseguenze non letali
certo, ma tali da depauperare in profondità la vita spirituale. E come è ancora
vivo il ricordo degli ossessivi articoli sulla malasanità che con la loro
risonanza coprivano i tagli spietati al numero dei posti-letto e del personale,
così sembra ancora di udire l’accusa che giornalisti ed esperti lanciavano dal
pulpito di una pedagogia fantasticante contro l’intera categoria degli
insegnanti: di essere colpevole di inettitudine didattica, di limitarsi a
verbose lezioni frontali senza preoccuparsi delle competenze. L’accusa, pur infondata,
ha travolto gli accusati, perché si nutriva del desiderio profondo di sognare
anziché pensare, assistere a spettacoli anziché studiare libri, giocare anziché
imparare – e da cui trae alimento l’illusione comune che ci si possa istruire sognando,
assistendo a spettacoli e giocando. Così da un ventennio, mentre l’apparato
industriale veniva smantellato, le infrastrutture si sbriciolavano, gli
ospedali chiudevano, la scuola, quasi tutta all’inseguimento del miraggio della
didattica fantasticante, divertiva e dispensava da ogni impegno personale. Costringendo
la didattica vera a contentarsi delle briciole di tempo e di energia, la scuola
matura ormai solo i frutti disgustosi dell’ignoranza; ma l’accusa non si placa,
finché pezzo dopo pezzo l’istituzione non sia smantellata; per questo
giornalisti disinformati e pedagogisti prezzolati continuano a spacciare il
disastro del nuovo per ostinazione del vecchio, il risultato delle riforme per l’effetto
dell’insufficienza della loro applicazione.
Il destino, ridestato dall’imprevidenza, trascina chi non si
fa guidare dalla razionalità. Con l’epidemia vacilla non solo il dogma del
denaro come bene scarso che lo Stato deve mendicare ai mercati, ma anche la didattica
fantasticante. Come effetto di questo vacillare si possono interpretare le
oscillazioni contenute nella nota diffusa dal MIUR[1],
a firma di Marco Bruschi, preoccupata di «ritornare… alle coordinate essenziali
dell’azione del sistema scolastico». Vi si legge: «Il solo invio di materiali o
la mera assegnazione di compiti, che non siano preceduti da una spiegazione
relativa ai contenuti in argomento o che non prevedano un intervento successivo
di chiarimento o restituzione da parte del docente, dovranno essere
abbandonati, perché privi di elementi che possano sollecitare l’apprendimento.»
Si può osservare che il semplice invio di materiali e la mera assegnazione di
compiti non preceduti da spiegazione è il nucleo della flipped classroom
reclamizzata fino a poco fa come ultima frontiera dell’innovazione e che,
viceversa, la spiegazione precedente i compiti, imposta dalla nota (senza
troppi complimenti per il feticcio dell’autonomia scolastica), è la lezione
frontale, su cui si è gettato per decenni fango pedagogico senza che il MIUR
movesse ciglio. Vedremo se queste affermazioni abbiano valore soltanto
emergenziale oppure se daranno inizio al ritorno all’essenziale di cui la nota
parla.
«La didattica a distanza prevede infatti uno o più momenti
di relazione tra docente e discenti, attraverso i quali l’insegnante possa
restituire agli alunni il senso di quanto da essi operato in autonomia, utile
anche per accertare, in un processo di costante verifica e miglioramento,
l’efficacia degli strumento adottati…». Risulta cioè che nella didattica a
distanza l’apprendimento non si produce per la magia dei metodi innovativi,
come si fantasticava nell’ultima legge di riforma della scuola, ma dall’operare
in autonomia degli alunni su cui l’insegnante ritorna, quindi da ciò che
nella scuola non ancora innovata e innovativa era attuato dall’assegnazione dei
compiti, dalla loro correzione e valutazione. Il futuro ci dirà se tutto ciò
vale solo per la didattica a distanza, se ritornati a scuola l’esecuzione dei
compiti da parte degli alunni e la loro correzione e valutazione da parte degli
insegnanti torneranno ad essere prassi corrente come nella vecchia scuola e non
solo attività clandestina come accade nella nuova.
«Affinché le attività… non diventino… esperienze scollegate
le une dalle altre, appare opportuno suggerire di riesaminare le progettazioni
definite nel corso delle sedute dei consigli di classe e dei dipartimenti di
inizio anno…». Qui è presente un’interessante contraddizione: da una parte ci
si riferisce all’organizzazione didattica come a una progettazione, cioè
a un insegnamento non scandito secondo un programma qualificato di contenuti
culturali e scientifici, ma ridotto a iniziative rapsodiche e dilettantesche[2],
dall’altra si vuole scongiurare che le attività diventino esperienze scollegate
le une dalle altre. Il tempo si incaricherà di mostrare se la scuola dovrà
continuare ad essere una fungaia di progetti innovativi o un’esperienza organizzata
sulla base della cultura e della scienza.
È necessario, si legge infine sulla nota, «che si proceda ad
attività di valutazione costanti, secondo principi di tempestività e
trasparenza… Se l’alunno non è subito informato che ha sbagliato, cosa ha
sbagliato e perché ha sbagliato, la valutazione si trasforma in un rito
sanzionatorio, che nulla ha a che fare con la didattica… Ma la valutazione ha
sempre anche un ruolo di valorizzazione, di indicazione di procedere con
approfondimenti, con recuperi, consolidamenti, ricerche, in una ottica di
personalizzazione che responsabilizza gli allievi…». «Si tratta di affermare il
dovere alla (sic) valutazione da parte del docente… e il diritto alla
valutazione dello studente, come elemento indispensabile di verifica
dell’attività svolta, di restituzione, di chiarimento, di individuazione di
eventuali lacune…». Queste affermazioni contengono curiose ambiguità: il dottor
Bruschi sembra ignorare che nella prassi dei consigli di classe la valutazione,
ben lungi dall’essere sanzionatoria, ha fatto proprio a tal punto il principio
della «valorizzazione» che ogni voto inferiore a 6 salta oltre la soglia e
tutti gli altri lievitano proporzionalmente. Solo il tempo potrà decidere se si
ritornerà alla valutazione come atto finale di una correzione accurata capace
di indicare ai discenti come recuperare, consolidare e approfondire gli
argomenti proposti in verifiche frequenti e sistematiche, oppure se, come oggi,
essa e ciò che essa sottende saranno scoraggiati anche sotto il profilo
economico e si continuerà a valorizzare il nulla come è prassi consolidata
nella nuova scuola.
La nota ha comunque il merito di aver generato un’attesa.
[1] https://www.miur.gov.it/web/guest/ricerca-tag/-/asset_publisher/oHKi7zkjcLkW/document/id/2598016?_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTANCE_oHKi7zkjcLkW_redirect=https%3A%2F%2Fwww.miur.gov.it%2Fweb%2Fguest%2Fricerca-tag%3Fp_p_id%3Dcom_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTANCE_oHKi7zkjcLkW%26p_p_lifecycle%3D0%26p_p_state%3Dnormal%26p_p_mode%3Dview%26_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTANCE_oHKi7zkjcLkW_cur%3D0%26p_r_p_resetCur%3Dfalse%26_com_liferay_asset_publisher_web_portlet_AssetPublisherPortlet_INSTANCE_oHKi7zkjcLkW_assetEntryId%3D2598016
[2]
Cfr. l’elenco necessariamente incompleto delle invenzioni progettuali compilato
da G. Monello, La fuffoscuola, Scepsi & Mattana Editori, Cagliari
2019, pp. 90 sgg.
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