I. Introduzione
Nella stagione politica appena trascorsa, un tema di
acceso dibattito è stato quello della riforma delle norme relative a
separazioni e affidi, riforma proposta col DDL 735, poi divenuto mediaticamente
noto come “DDL Pillon” dal nome del Sen.Simone Pillon, il personaggio politico
più noto fra i sostenitori del DDL. La caduta del governo Lega-M5S ha
cancellato questo tema dall’agenda politica. Può darsi che, appunto per questo,
sia possibile adesso una riflessione più serena su questi temi, una riflessione
che si distacchi dall’urgenza di attaccare questo o quel partito, questo o
quell’esponente politico, e cerchi di andare alla radice dei problemi.
Non è facile discutere di questo tema. Uno degli
elementi di difficoltà sta nel fatto che il problema è piuttosto serio e in
certi casi anche drammatico, ma è in sostanza ignoto all’opinione pubblica,
principalmente perché esso non gode di molto spazio sui media, che ne parlano
solo in riferimento a casi particolarmente drammatici. Cerchiamo allora di
riassumere i punti fondamentali.
È noto che, a partire dall’introduzione in Italia dell’istituto del divorzio, negli anni Settanta, le cause di separazione, in presenza di figli, sono state risolte, nella stragrande maggioranza dei casi, secondo lo schema per cui i figli venivano “affidati” alla madre, mentre il padre versava un contributo economico (i cosiddetti “alimenti”) e vedeva i figli a intervalli variabili a seconda dei casi ma, nella grande maggioranza dei casi, senza continuità. Questa organizzazione rifletteva naturalmente l’organizzazione famigliare tradizionale, secondo la quale la madre si occupa dei figli e il padre porta i soldi a casa: si tratta, con ogni evidenza, della traduzione di quest’ultimo schema nella nuova situazione della separazione/divorzio. Si tratta di una organizzazione che era sempre meno adeguata alla direzione verso la quale si stava evolvendo la famiglia, segnata dalla tendenza ad una maggiore uguaglianza fra i genitori nell’ambito della gestione della vita domestica e in particolare dei figli. Questa nuova sensibilità è stata colta dalla legge 54/2006, che ha innovato lo schema delle separazioni stabilendo il diritto del figlio “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi”. A seguito di tale legge si parla quindi di “affido condiviso” fra i due genitori, intendendo che la gestione dei figli e le varie scelte collegate (scuola, salute, ecc.) non sono più delegate ad uno solo dei genitori (il genitore “affidatario”, che in genere era la madre) ma sono appunto condivise fra i genitori. È però chiaro che non basta parlare di “affido condiviso”. Per rendere concreto il diritto del figlio al rapporto “equilibrato e continuativo” con entrambi i genitori, sono necessarie le nozioni, sostenute dalle associazioni di padri separati, di tempi paritari e mantenimento diretto. Parlare di “tempi paritari” significa che, tendenzialmente, i figli dividono il loro tempo in maniera paritaria fra i due genitori; parlare di “mantenimento diretto” significa che ciascuno dei due genitori provvede ai bisogni dei figli nel tempo che condivide con essi, e l’eventuale passaggio di denaro da un genitore all’altro è ridotto al minimo. Essendo i tempi paritari, il mantenimento diretto divide le spese in maniera paritaria, e un eventuale assegno di mantenimento ha il solo scopo di riequilibrare situazioni troppo sbilanciate. È infatti evidente che, specie in situazione di redditi medi o bassi, il padre che si paga un affitto e mantiene il figlio per metà del tempo, difficilmente avrà ulteriori risorse economiche da versare alla madre.
È noto che, a partire dall’introduzione in Italia dell’istituto del divorzio, negli anni Settanta, le cause di separazione, in presenza di figli, sono state risolte, nella stragrande maggioranza dei casi, secondo lo schema per cui i figli venivano “affidati” alla madre, mentre il padre versava un contributo economico (i cosiddetti “alimenti”) e vedeva i figli a intervalli variabili a seconda dei casi ma, nella grande maggioranza dei casi, senza continuità. Questa organizzazione rifletteva naturalmente l’organizzazione famigliare tradizionale, secondo la quale la madre si occupa dei figli e il padre porta i soldi a casa: si tratta, con ogni evidenza, della traduzione di quest’ultimo schema nella nuova situazione della separazione/divorzio. Si tratta di una organizzazione che era sempre meno adeguata alla direzione verso la quale si stava evolvendo la famiglia, segnata dalla tendenza ad una maggiore uguaglianza fra i genitori nell’ambito della gestione della vita domestica e in particolare dei figli. Questa nuova sensibilità è stata colta dalla legge 54/2006, che ha innovato lo schema delle separazioni stabilendo il diritto del figlio “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi”. A seguito di tale legge si parla quindi di “affido condiviso” fra i due genitori, intendendo che la gestione dei figli e le varie scelte collegate (scuola, salute, ecc.) non sono più delegate ad uno solo dei genitori (il genitore “affidatario”, che in genere era la madre) ma sono appunto condivise fra i genitori. È però chiaro che non basta parlare di “affido condiviso”. Per rendere concreto il diritto del figlio al rapporto “equilibrato e continuativo” con entrambi i genitori, sono necessarie le nozioni, sostenute dalle associazioni di padri separati, di tempi paritari e mantenimento diretto. Parlare di “tempi paritari” significa che, tendenzialmente, i figli dividono il loro tempo in maniera paritaria fra i due genitori; parlare di “mantenimento diretto” significa che ciascuno dei due genitori provvede ai bisogni dei figli nel tempo che condivide con essi, e l’eventuale passaggio di denaro da un genitore all’altro è ridotto al minimo. Essendo i tempi paritari, il mantenimento diretto divide le spese in maniera paritaria, e un eventuale assegno di mantenimento ha il solo scopo di riequilibrare situazioni troppo sbilanciate. È infatti evidente che, specie in situazione di redditi medi o bassi, il padre che si paga un affitto e mantiene il figlio per metà del tempo, difficilmente avrà ulteriori risorse economiche da versare alla madre.
Se questi principi fossero stati resi effettivi a
seguito della legge 54/2006 si sarebbe trattato, come è chiaro, di un profondo
cambiamento rispetto alla situazione precedente. Purtroppo non è quello che è
successo. Infatti, nella gestione concreta delle separazioni, succede che molto
spesso il giudice stabilisce che l’affido è condiviso ma i figli sono collocati
presso la madre (che diventa quindi il genitore “collocatario” e non più
“affidatario”), il padre li vede a fine settimana alternati, più uno o due
giorni infrasettimanali, e il padre corrisponde alla madre il solito assegno di
mantenimento. Cioè la situazione è la stessa che si aveva prima della legge 54/2006,
ma, in ossequio alla legge stessa, a questa situazione immutata si appiccica
l’etichetta “affido condiviso”. Ovviamente questo è reso possibile dal fatto
che la legge 54/2006 lascia ampio spazio alla discrezionalità del giudice (e
questo, a posteriori, appare un evidente errore del legislatore), ma è chiaro
che in questo modo si contraddice allo spirito della legge.
Cerchiamo adesso di capire le ragioni per le quali le
associazioni di padri separati insistono sulle nozioni di tempi paritari e
mantenimento diretto. Esse sono di due ordini: da una parte in relazione al
rapporto fra padri e figli, dall’altra in relazione all’aspetto economico delle
separazioni. Per quanto riguarda il primo punto, non dovrebbe esserci bisogno
di spendere molte parole: è evidente a tutti, o almeno a tutte le persone “di
buona volontà”, che per l’equilibrio affettivo e la crescita armonica di un
bambino sono fondamentali entrambe le figure genitoriali. Padre e madre
hanno ruoli diversi, nella crescita emotiva dei figli, ma entrambi
indispensabili. È dunque fondamentale che entrambi i genitori
possano esercitare il loro ruolo educativo, anche se c’è una separazione. Ma è
del tutto ovvio che l’esercizio della funzione educativa del genitore ha
bisogno di tempo: tempo di vita quotidiana in comune. Il genitore non è un
insegnante, che può esercitare la sua specifica funzione educativa anche nel
tempo ristretto di una lezione, mettendo in gioco una parte specifica e
delimitata di sé. Il genitore nel rapporto col figlio mette in gioco tutto se
stesso, educa con la sua intera persona, con la sua intera vita. Ma questo lo
si può fare solo nel tempo della vita in comune, che quindi non può essere
ristretto a un fine settimana alternato e qualche giorno sparso. La richiesta
di tempi di divisione paritari fra genitori separati è dunque fondamentale per
tutelare aspetti fondamentali della crescita dei bambini. Lo schema attualmente
operante di divisione del tempo fra i genitori semplicemente distrugge il ruolo
educativo del padre, che viene in sostanza ridotto a un simpatico zio che va a
trovare i bambini di tanto in tanto. Ma è chiaro che questa distruzione del
ruolo educativo del padre rischia di avere conseguenze negative per lo sviluppo
delle nuove generazioni, tanto più sicuramente quanto più separazioni e divorzi
sono ormai diventati realtà diffuse. Per concludere su questo punto: i figli
hanno diritto ad avere un padre. L’attuale situazione delle separazioni in
Italia priva i bambini di un loro fondamentale diritto, e appare irrinunciabile
l’esigenza di sanare questa situazione.
Per quanto riguarda il secondo punto, l’aspetto
economico delle separazioni, occorre per prima cosa specificare che questo
aspetto diventa fondamentale quando sono coinvolte famiglie a reddito medio o
basso. Ovviamente alcuni aspetti di principio sono validi per tutti, ma nei
casi in cui c’è un reddito di base alto i membri della coppia che si separa
alla fine “cadono in piedi”. Nei casi di famiglie a reddito medio o basso,
invece, la separazione o il divorzio presentano un rischio effettivo di finire
nella miseria. Il motivo è facile da capire: a parità di entrate, la
separazione significa che dove prima occorreva mantenere una famiglia,
adesso bisogna mantenerne due. Ora, in una situazione in cui il reddito
disponibile consente a una famiglia di arrivare con fatica a vivere una
vita dignitosa, la separazione significa un concreto rischio di povertà. Se in
una famiglia entrano 2000 euro al mese, è chiaro che la vita è difficile. Ma se
questa famiglia si rompe in due, significa che ci sono due famiglie che devono
vivere con 1000 euro al mese, e questo comincia a diventare impossibile. È
allora evidente che, per le famiglie a reddito medio o basso, la separazione
significa in ogni caso un abbassamento del tenore di vita, e in molti casi un
concreto rischio di povertà vera. Ora, qual è il problema con l’attuale sistema
delle separazioni? Il problema è che tale rischio è in sostanza scaricato sui
padri. Il meccanismo standard, che abbiamo già delineato sopra, è che i figli
restano con la madre nella casa familiare (qualunque sia la situazione
proprietaria della casa stessa), mentre il padre esce dalla casa familiare, si
prende un appartamento in affitto e corrisponde un assegno per i figli e
talvolta un assegno divorzile per la madre. Questo schema, in una situazione di
redditi medio-bassi, rappresenta sicuramente un abbassamento di tenore di vita
per tutti, ma in maniera molto più netta per il padre, che può precipitare
nella miseria vera, come si è detto. Si tratta quindi di una situazione
fortemente squilibrata e sostanzialmente iniqua. La richiesta di tempi paritari
e mantenimento diretto va nella direzione del riequilibrio, perché essa
implica, almeno come linea di tendenza, la diminuzione del contributo che il
padre verserebbe alla madre per il mantenimento dei figli, appunto perché il
padre provvederebbe direttamente al mantenimento stesso nel periodo di tempo in
cui i figli stanno con lui.
Se la situazione delle separazioni è quella che
abbiamo descritto, è chiaro che si tratta di un problema serio. È chiaro che i
padri separati e i loro figli stanno subendo ingiustizie. E si tratta di
milioni di persone e di una situazione che dura da circa quarant’anni. Appare
del tutto naturale che qualcuno, nel mondo della politica, cerchi di farsi
carico di questi problemi e avanzi delle proposte che cerchino di rendere la
realtà delle separazioni un po’ meno squilibrata e iniqua. Il DDL735 tentava di
fare questo, introducendo come principi fondamentali le nozioni di tempi paritari
e mantenimento diretto, e sottraendole alla discrezionalità del giudice.
Ovviamente, poiché la perfezione non è di questo mondo, nessuno potrà proporre
la legge perfetta che risolva ogni problema. La democrazia, i parlamenti,
servono appunto a discutere e correggere. Il DDL 735 poteva naturalmente
presentare vari aspetti discutibili. Il punto è che, alla luce di quanto fin
qui detto, ogni discussione sugli eventuali punti critici doveva partire dal
riconoscimento del problema che abbiamo cercato di evidenziare (l’iniquità
nell’attuale prassi separativa) e, di conseguenza, dall’accettazione dell’idea
che eventuali correzioni e modificazione del DDL735 non potevano andare a
toccare i suoi punti qualificanti, cioè le nozioni di tempi paritari fra i
genitori e di mantenimento diretto dei figli.
Così non è stato, come è ben noto. Non solo gli
attacchi al DDL 735 non hanno minimamente tenuto conto del problema che esso
voleva risolvere, ma hanno dato la netta impressione di evitare il piano della
discussione razionale per scadere nell’invettiva e nella negazione
aprioristica. Contro il DDL 735 si sono dette le cose più assurde, si sono
ripetuti slogan del tutto staccati dalla realtà. Cerchiamo di fornire qualche
esempio, esaminando alcuni degli slogan che sono stati incessantemente ripetuti
contro il DDL 735.
II. Alcune obiezioni
I figli non sono pacchi.
Con questo si intendeva sostenere l’idea che i tempi
paritari comportino gravi disagi per i figli, costretti a spostarsi
continuamente, appunto come pacchi, fra le case dei genitori. Ora, questa
obiezione tocca corde profonde nell’animo di un padre separato, e occorre una
buona dose di calma per rispondere in maniera serena. Si potrebbe osservare che
è vero, i figli non sono pacchi. I pacchi non ti dicono “papà mi manchi”, “papà
stasera posso stare con te?”, e tu a un pacco non sei costretto a rispondere
“no piccina, sai che abbiamo fatto quegli accordi, stasera devi tornare da
mamma”. Ogni padre separato ha mille storie di questo tipo da raccontare.
Storie di sofferenze, dei figli e dei padri. Ma non si vuole adesso suscitare
della facile commozione. Si vuol solo rimarcare concretamente quanto detto
sopra: il rapporto fra un padre e i suoi figli (esattamente come quello fra una
madre e i suoi figli) è un legame profondo, essenziale, che tocca gli aspetti
più fondamentali dell’anima, sia del padre sia dei figli. Di fronte a un dramma
come quello della separazione, la cosa più importante è preservare questi
rapporti, proteggerli. Tutto il resto viene dopo. Le questioni di
organizzazione della vita pratica vengono dopo. E si può aggiungere che questi
problemi pratici, i problemi di organizzare la vita di un bambino fra due
appartamenti, non devono essere così drammatici, visto che in pratica questo
“pendolarismo” è già presente, nell’attuale organizzazione delle separazioni. È
buffo infatti osservare che lo slogan in questione può nascere solo da una
colossale ignoranza della situazione reale delle separazioni. Come ho detto
sopra, lo schema normale delle separazioni è che i figli trascorrono col padre
un weekend ogni due, e almeno un giorno infrasettimanale. Questo vuol dire che
i figli, normalmente, vanno avanti e indietro fra le due case almeno una volta
alla settimana. Fanno già i “pacchi”, se vogliamo usare questa espressione,
nelle condizioni attuali della grande maggioranza delle separazioni. Se si
introducessero i tempi paritari, non cambierebbe nulla, purché ovviamente i
genitori si accordino in maniera sensata. Basterebbe infatti, per fare solo un
possibile esempio, che i figli trascorressero una settimana con un genitore e
una con l’altro, ed ecco che gli spostamenti dei “pacchi” sarebbero ridotti a
un cambio di casa alla settimana, esattamente quello che già succede nella
maggioranza dei casi. I tempi paritari non implicano dunque nessun
peggioramento nella situazione “logistica” dei figli, purché ovviamente i
genitori siano persone di buon senso (ma se non lo sono, i problemi ci sono
anche nella situazione attuale). Lo slogan “i figli non sono pacchi” è dunque
vuota retorica che crolla di fronte a semplicissime considerazioni come quelle
appena svolte.
Si vuole tornare al medioevo/ Si vuole tornare
indietro di 50 anni.
Con questo slogan si denunciava un terribile
arretramento nei diritti delle donne e in generale nei rapporti familiari, in
caso di approvazione del DDL735. Ora, ovviamente il “medioevo” non c’entra
assolutamente nulla: forse che nel medioevo c’era il diritto al divorzio? Con
tempi paritari e mantenimento diretto? Il fatto che un certo numero di persone,
che immagino abbiano percorso un normale iter scolastico, possano ripetere una
simile assurdità, può solo indurre a tristi riflessioni sulla decadenza della
scuola italiana. Lo slogan sul “tornare indietro di 50 anni” non è così
evidentemente assurdo come quello relativo al medioevo. Ma è, ugualmente, del
tutto sbagliato; per la precisione, dice esattamente l’opposto della realtà.
Infatti, come abbiamo spiegato sopra, è la situazione attuale delle separazioni
che esprime esattamente un modello di famiglia vecchio e superato: cioè il
modello in cui la donna si occupa in esclusiva dei figli mentre l’uomo mantiene
la famiglia col proprio lavoro. Lo schema standard delle separazioni non fa che
prolungare questa situazione anche nella separazione e nel divorzio. Chi ha
attaccato il DDL735 difendeva lo schema attuale, e quindi appunto difendeva un
modello di famiglia tradizionale. Al contrario, i principi fondamentali del DDL
735 (tempi paritari e mantenimento diretto) esprimono un’idea di famiglia in
cui vi è piena parità fra i genitori: entrambi di occupano paritariamente dei
figli ed entrambi si occupano del mantenimento della famiglia. Anche questo
slogan si svela quindi, ad una breve analisi, come vuota retorica.
Il DDL735 è adultocentrico
Con questo si voleva dire che il DDL 735 è centrato
sui diritti degli adulti e trascura quelli dei bambini. Ma non è così: abbiamo
spiegato sopra che il punto fondamentale della richiesta di tempi paritari e
mantenimento diretto è il diritto dei figli a mantenere la relazione con
entrambi i genitori. Ciò significa che gli aspetti fondamentali del DDL erano
piuttosto “centrati sulle relazioni”, cioè sulla fondamentale esigenza per i
figli di mantenere vitali le relazioni in essere con entrambi i genitori.
Se il padre separato vuole i figli, doveva accudirli
durante il matrimonio!
Stiamo parlando di cose serie e gravi, quindi questo
intervento è costretto ad essere, anch’esso, piuttosto serio e grave. Per
fortuna, grazie a questo slogan, possiamo concederci un breve intervallo di
comicità. Si tratta infatti di una obiezione la cui illogicità, applicata agli
altri aspetti di una separazione, porta a conseguenze piuttosto divertenti.
L’idea è che se è la madre ad aver speso la maggior parte del suo tempo con i
figli, durante il matrimonio, allora i figli devono restare con lei. Con la
stessa logica, se il marito durante il matrimonio si occupava dei lavoretti di
casa, allora con la separazione deve portarsi via i rubinetti e le lampadine.
Se era il marito ad usare prevalentemente l’automobile per le varie necessità
della famiglia, allora dopo la separazione l’ex moglie deve andare a piedi. Se
durante il matrimonio la moglie si occupava della cucina, allora,
inevitabilmente, al padre separato sarà proibito di occuparsi dei figli ma
anche di farsi da mangiare.
Si potrebbe continuare, ma è meglio chiudere questo
intermezzo umoristico, e cercare di mostrare in maniera precisa dove sta
l’assurdità dello slogan di cui stiamo discutendo, assurdità che genera le
conseguenze umoristiche che abbiamo enunciato. La questione è molto semplice,
quasi tautologica: quando le persone formano una famiglia c’è una certa
situazione, quando le persone si separano la situazione cambia completamente, e
non ha senso trasportare nella nuova situazione le dinamiche che valevano nella
prima. Quando c’è una famiglia, c’è una organizzazione della vita che prevede
molte cose diverse. Una di queste può essere che sia la moglie ad occuparsi dei
figli, e quindi a passare la maggior parte del tempo con loro. Questo è solo
uno dei tanti aspetti della vita in comune di una famiglia. Quando la famiglia
si rompe, tutte le dinamiche della vita di coppia si rompono. Non vale più
nulla di quanto valeva in precedenza e occorre ricostruire una organizzazione
della vita equa per tutti. L’errore logico che stiamo discutendo consiste nel
trascegliere, all’interno dell’organizzazione della vita precedente, l’aspetto
che fa più comodo, e pretendere che solo questo aspetto si prolunghi nella vita
dopo la separazione. Si tratta ovviamente di un procedimento del tutto
arbitrario, e la comicità, che abbiamo visto sopra, scatta quando si prendono
altri aspetti della vita della famiglia e si chiede di prolungare anch’essi
nella vita dopo la separazione.
III. Il vero problema
Naturalmente, non tutte le obiezioni al DDL735 sono di
così basso livello come quelle che abbiamo appena esaminato. Cercheremo adesso
di prendere in considerazione quella che ritengo l’obiezione più seria, e uno
dei motivi più profondi dei pesantissimi attacchi al DDL 735. Si tratta
dell’obiezione di tipo economico: la nuova impostazione delle separazioni
farebbe diminuire l’assegno che i padri separati passano alle madri separate, e
questo da una parte creerebbe difficoltà economiche alle attuali madri
separate, dall’altra renderebbe più difficile o quasi impossibile la
separazione stessa per molte donne, che quindi sarebbero costrette a rimanere
all’interno di rapporti non più accettati, per la difficoltà di impostare la
propria vita da separata senza l’apporto economico dell’ex partner. Il resto di
questo intervento sarà dedicato a questo tema.
Prima di iniziare la discussione, è però necessaria
una precisazione. Il punto fondamentale nella richiesta di tempi paritari e
mantenimento diretto sta, come si è detto sopra, nella necessità di mantenere
la continuità del fondamentale rapporto fra padre e figli. È su questo punto, e
non sugli aspetti economici, che insistono giustamente le associazioni dei
padri separati. Il problema è che non ci si spiega il massiccio rifiuto di
discutere seriamente di questi temi, se non si affronta il problema economico.
Detto nella maniera più chiara possibile: la stragrande maggioranza delle
obiezioni al DDL735 sono mistificazioni ideologiche che hanno lo scopo di
coprire il vero punto sensibile, cioè il problema economico. È inutile che i
padri separati combattano solo contro le mistificazioni ideologiche, perché una
volta confutata una gli avversari ne inventeranno un’altra. Occorre prendere il
toro per le corna e affrontare in maniera esplicita quello che ritengo essere
il vero nodo della questione. Per dirlo ancora in un altro modo, le lotte
sfibranti sui figli, che generano sofferenza e traumi in tutte le persone
coinvolte, genitori e figli, dipendono da un motivo semplicissimo: i soldi
sono attaccati ai figli. Se vogliamo che in bambini coinvolti in una
separazione soffrano il meno possibile, bisogna risolvere il problema
economico, o, detto in altro modo, bisogna staccare i soldi dai figli.
Le riflessioni che seguono vogliono essere un contributo in questa direzione.
Abbiamo detto che l’obiezione principale contro i
fondamenti del DDL 735 (tempi paritari e mantenimento diretto) pone in campo il
diritto della donna al divorzio, che verrebbe messo in questione dalle difficoltà
economiche se mancasse, o diminuisse, il contributo economico del padre. Si
afferma di conseguenza che il DDL 735 è un attacco ai diritti delle donne,
conquistati in anni di battaglia per la parità.
Parliamo allora di diritti. Un principio fondamentale,
quando si parla di diritti, è che le pretese ad un diritto devono basarsi su
una nozione, socialmente accettata, di ciò che è giusto. Un altro principio è
quello che afferma che il giusto diritto di ciascuno non può essere di
detrimento al giusto diritto dell’altro. A me sembra che, per quanto riguarda
il nostro paese, un principio di giustizia accettato da tutti sia quello
espresso nell’art.3 della nostra Costituzione, quando si parla di pari “dignità
sociale” dei cittadini, di eguaglianza di fronte alla legge, e si afferma che
“è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e
sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini,
impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. Possiamo anche citare l’art.36
che parla di una “esistenza libera e dignitosa” del lavoratore. Ci si
riferisce, in questo caso specifico, alla retribuzione del lavoratore stesso,
ma mi sembra che questa idea della “esistenza libera e dignitosa” per tutti i
cittadini possa rappresentare uno dei valori fondamentali che informano la
nostra Costituzione e che sono passati nel sentire comune. Mi sembra cioè
possibile affermare che la nozione dell’uguale diritto di tutti e tutte ad una
esistenza libera e dignitosa sia uno dei valori fondamentali della nostra
società, e rappresenti la bussola che ci permette di orizzontarci nei conflitti
ideali e politici del nostro tempo.
Il diritto delle persone sposate a divorziare è
naturalmente una conquista che va in questa direzione, perché una vita
imprigionata in un matrimonio fallito non è, almeno per la nostra sensibilità
di moderni, una vita libera e dignitosa. Il punto fondamentale, in merito al
tema di cui stiamo discutendo, è che il diritto al divorzio deve essere
compatibile col diritto di tutti i soggetti coinvolti a vivere una vita libera
e dignitosa. In primo luogo, come si è detto, col diritto dei figli a
continuare un rapporto significativo con entrambi i genitori, elemento
fondamentale per il loro equilibrato sviluppo. In secondo luogo, col diritto di
entrambi i membri della coppia che si separa a vivere una vita libera e
dignitosa, e quindi a disporre dei mezzi economici basilari per poterlo fare.
Il problema allora è che, nello schema attuale delle separazioni, che abbiamo
più volte descritto, al padre separato viene tolta la possibilità di una vita
libera e dignitosa. Questo succede naturalmente nei casi in cui si parte da un
reddito medio o basso. Come abbiamo detto, nello schema standard il padre perde
la casa, deve pagarsi un affitto e deve corrispondere un assegno all’ex moglie.
È facile rendersi conto di cosa significhi questo quando si parte dal reddito
normale di un lavoratore dipendente, nel pubblico o nel privato. I casi che
ogni tanto vengono riportati dai giornali (padri ridotti in miseria, senza
casa, costretti a ricorrere alla Caritas) sono ovviamente casi estremi, ma
comunque la situazione diffusa è quello di un netto impoverimento, che può
portare fino al limite della miseria, oppure spingerci decisamente dentro lo
sventurato. Come spesso succede in queste situazioni, la differenza fra
l’essere ai limiti della miseria oppure caderci dentro può essere data dai
particolari casi della vita, per esempio dal fatto di poter avere oppure no
l’aiuto dei genitori.
Ma basta allora togliere dalle spalle dei padri
separati i pesanti oneri economici imposti dalla prassi attuale, per risolvere
il problema? Ovviamente no. Perché è chiaro che, sempre parlando di situazioni
di redditi medi e bassi, se si allevia la situazione dei padri separati si
aggrava quella delle madri separate. Il motivo è banale e lo abbiamo accennato
all’inizio: se le entrate sono in tutto 1800 o 2000 euro, una singola famiglia
può avere una vita dignitosa, con fatica e attenzione. Ma se la famiglia si rompe
e ne nascono due, sempre con le stesse entrate, non c’è modo di venirne fuori
in maniera dignitosa.
Questo ci permette di dare una prima risposta a chi
affermava, nelle discussioni sul DDL 735, che esso avrebbe reso impossibile
alle donne il divorzio. La risposta è che, nella situazione descritta, un
divorzio è di fatto impossibile per ragioni economiche, se intendiamo parlare
di un divorzio che lasci a tutte le persone coinvolte la possibilità di una
vita libera e dignitosa. E questa impossibilità è stata finora occultata dal
fatto che il suo prezzo è stato pagato, nella grande maggioranza dei casi, dai
padri separati. In sostanza, nell’impossibilità di assicurare a tutte le parti
coinvolte una vita dignitosa, si è scelto di assicurarla per quanto possibile
alle madri separate, e di abbandonare al loro destino i padri separati, fosse
pure un destino di miseria e degrado.
Si tratta con ogni evidenza di una situazione di
profonda ingiustizia: nell’attuale prassi delle separazioni viene violata, in
maniera del tutto evidente, il fondamentale principio della pari dignità di
ogni essere umano. Ai padri separati non viene riconosciuto il diritto a una
vita libera e dignitosa. La richiesta di cancellare questa ingiustizia dovrebbe
essere fatta propria da tutte le persone di buona volontà.
Ma come fare? Abbiamo detto che, nella situazione di
redditi medi e bassi, la situazione sembra non lasciare scampo. Se si vuole che
il divorzio rispetti la pari dignità di tutti i soggetti coinvolti, sembra
necessario concludere che, nei casi di redditi medi e bassi, “questo divorzio
non s’ha da fare”, e quindi il diritto al divorzio resterebbe un diritto
formale, garantito dalla legge, ma negato alla maggioranza a causa di vincoli
materiali, economici.
La discussione sul rapporto fra diritti formali e
diritti sostanziali ha ovviamente una lunga storia, nei nostri paesi avanzati.
L’intera evoluzione delle società occidentali nel secondo dopoguerra è andata
nella direzione di rendere effettiva, per la grande maggioranza della
popolazione, la fruizione di una serie di diritti che nella società liberale
erano assicurati ma solo sul piano formale. Così nella società liberale tutti
avevano il diritto di curarsi se ammalati, di compiere studi superiori, di
avere un reddito anche in vecchiaia, di vivere in una casa decente: ma
concretamente tutti questi diritti erano effettivi solo per chi aveva i mezzi
economici per poterseli permettere. Il grande progresso delle società
occidentali nel secondo dopoguerra è stato quello di costruire sistemi sociali
che, come tutti sappiamo, hanno reso tali diritti concretamente fruibili questi
per tutti: i sistemi nazionali di assistenza sanitaria, di istruzione, le
pensioni, le case popolari. Per tutto questo, come è noto, si è reso necessario
l’intervento dello Stato, nella forma del Welfare State.
È chiaro allora quale sia l’unica soluzione possibile al
problema che stiamo trattando: se vogliamo che il diritto al divorzio e a una
vita libera e dignitosa per tutte le persone coinvolte sia un diritto effettivo,
non solo formale, vi deve essere un intervento dello Stato. E poiché sono in
realtà le madri separate, nella maggioranza dei casi, ad averne bisogno, deve
essere un intervento che assicuri alle madri separate un sostegno economico e
tolga ai padri separati il peso economico che attualmente grava su di loro.
Naturalmente non è questo il luogo per discutere concretamente le forme di
questo aiuto: può essere una forma di assistenza economica a tempo determinato,
che vada assieme a forme di aiuto per l’inserimento nel mondo del lavoro. Ciò
che conta è avere chiaro che tale proposta è l’unica soluzione equa del
problema che abbiamo fin qui discusso.
IV. Ancora sull’ingiustizia.
Quanto abbiamo detto finora ci permette di comprendere
meglio, e di ribadire, la profonda ingiustizia della situazione attuale.
Ripetiamo il punto fondamentale: la forma attuale delle separazioni è tale da
garantire, per quanto possibile, la sicurezza economica alle madri separate
senza preoccuparsi in alcun modo dei padri separati. Viene cioè assicurato che
il diritto formale al divorzio divenga diritto sostanziale, concreto, ma solo
per le mogli, specie se sono madri, e a spese del marito e padre. Ciò ha due
evidenti conseguenze:
1) In primo luogo, appare in piena evidenza che l’attuale
forma delle separazioni non è altro che un Welfare State, una forma di
assistenza sociale, a favore delle mogli/madri e a spese dei mariti/padri. Ma
si tratta di una forma di Welfare State assolutamente iniqua. L’equità del
Welfare State, nella fase storica in cui esso si è imposto, prevede infatti due
condizioni necessarie: in primo luogo esso deve essere a carico dell’intera
società, in secondo luogo deve gravare di più sulle fasce di popolazione più
abbienti. La realizzazione di queste condizioni è stata ottenuta, come è noto,
finanziando il Welfare State con la tassazione universale e progressiva.
L’attuale sistema delle separazioni è un Welfare State assolutamente iniquo
perché viola entrambe queste condizioni: in primo luogo è in capo solo ad una
parte della popolazione e, in secondo luogo, data la sua assoluta casualità
(chi può sapere se un matrimonio durerà o si sfascerà?) viene ad essere
caricato anche su fasce di popolazione dai redditi medi o bassi. Per capire
l’iniquità e l’ingiustizia dell’attuale sistema, proviamo a pensare di
organizzare l’assistenza sanitaria sullo stesso modello: invece di un sistema
sanitario nazionale offerto a tutti e finanziato tramite le risorse fiscali
dello Stato, potremmo decidere che quando si ammala una persona non in grado di
pagarsi le cure, si estrae a sorte un qualsiasi altro cittadino che è vincolato
per legge a pagare le spese sanitarie al primo. Sarebbe un sistema iniquo e
assurdo, che manderebbe sul lastrico le persone di reddito medio o basso che avessero
la disgrazia di doversi assumere l’intero carico di spese sanitarie di un’altra
persona. Questo sistema assurdo, folle, iniquo, è l’attuale schema delle
separazioni in Italia.
2) Il secondo punto si collega al primo. Nelle
discussioni sul DDL735 si è molto parlato del diritto delle donne al divorzio e
di come il DDL potesse metterlo in questione. È sorprendente che nessuno, ma
proprio nessuno, abbia posto la questione seguente: nella situazione attuale,
è rispettato il diritto degli uomini al divorzio? Abbiamo detto che il
sistema attuale è una specie di iniquo Welfare State costruito per rendere
concreto il diritto formale delle donne al divorzio. Ma è evidente che esso
tenderà a togliere lo stesso diritto agli uomini. Se l’uomo che desidera uscire
da un rapporto che giudica sbagliato sa che per farlo deve rischiare la perdita
dei figli e della casa e il massacro economico, probabilmente riterrà di non
poter rischiare, se non a partire da una situazione di elevata agiatezza
economica. Si potrebbe dunque ipotizzare che siano gli uomini di redditi medi e
bassi, nella situazione attuale, ad essere privati del diritto concreto di
divorziare. È solo un’ipotesi, e potrebbe essere un tema per uno studio
specifico. La cosa davvero interessante, e che la dice lunga sul modo in cui
tali questioni sono attualmente affrontati da media e politica, è proprio il
fatto che, nei mesi di più accese discussioni sul DDL735, nessuno abbia mai
posto tale questione.
V. Considerazioni finali
Le considerazioni fin qui svolte si basano su una
serie di valori che dovrebbero essere basilari nelle società contemporanee,
valori ribaditi dalla nostra Costituzione: il diritto di ciascuno ad una vita
libera e dignitosa, la solidarietà sociale che permette di rendere concreti
quei diritti che giudichiamo necessari ad una vita libera e dignitosa. E tutto
questo a partire dalla fondamentale uguaglianza di diritti degli esseri umani.
“Noi vogliamo l’uguaglianza”, potrebbero ripetere i padri separati, citando il
verso di una vecchia canzone di lotta che mi cantava mia madre. Sono valori che
dovrebbero essere comuni a tutte le parti politiche. Appunto per questo non ho
finora mai parlato di destra o sinistra, perché il discorso fin qui svolto si
basa su quelli che giudico valori comuni a tutte le persone di buona volontà.
Arrivato alla fine, non posso però non fare qualche rapida considerazione sul
fatto che lo scontro svoltosi nei mesi passati attorno al DDL735 ha visto la
sinistra impegnata con estrema virulenza a opporsi in toto al DDL stesso. La
sinistra ha quindi scelto nettamente di schierarsi a difesa della situazione
attuale delle separazioni, con tutta la sua ingiustizia e la sua iniquità.
Possiamo aggiungere un’ulteriore considerazione: la situazione attuale, come si
è detto più volte, è particolarmente grave per le famiglie di reddito medio o
basso. In questi casi non c’è speranza di poter uscire dignitosamente da una
separazione, e questa diventa una lotta spietata per scaricare sull’ex partner
il rischio della miseria. Si tratta cioè di una guerra fra poveri. E si sa che
nelle guerre fra poveri i poveri non vincono mai. Quando la parola “sinistra”
aveva ancora un senso, evitare le guerre fra poveri era per essa un obbligo
morale e politico. Oggi ciò che si chiama “sinistra” sceglie di difendere
strenuamente una situazione che genera iniquità, disuguaglianze, guerre fra
poveri. Non so perché la sinistra abbia fatto una simile scelta. Posso solo
constatarlo. I padri separati, e in generale le persone di buona volontà,
devono prendere atto che la sinistra ha scelto l’ingiustizia, l’iniquità e la
guerra fra poveri, e trarne le conseguenze.
Marino Badiale, Genova, settembre 19
Marino Badiale, Genova, settembre 19
Avevo sentito parlare del sofferto e intenso impegno di Simone Pillon sul pullman della Lega che ci portò a Roma nel 2018 il giorno dell' Immacolata Concezione.
RispondiEliminaIn viaggio, e nelle soste all' autogrill, non ho potuto evitare di ascoltare le umili e pacate riflessioni di alcuni padri che mi dissero: un Parlamentare, Pillon, se ne sta occupando seriamente.
Una importante relazione.
Grazie.
Eccellente analisi!
RispondiEliminaQuasi piango a leggere quanto avrei voluto scrivere da tempo. Il profondo disagio di un padre "di sinistra" è acuito dalla difficoltà a porre questi temi proprio tra e con le donne con cui magari si è lottato per anni per la parità, donne di cui hai grande stima ma a fronte delle sofferenze e ingiustizie qui ben descritte ti liquidano con un "non fare il cog...come tutti i padri separati". E sì, è proprio in contraddizione con tutte le battaglie per la parità e la condivisione dei ruoli. Grazie
RispondiElimina