1. La replica di Andrea Ragazzini
SCUOLE SUPERIORI PER CORSI DISCIPLINARI: UN CONTRIBUTO ALLA DISCUSSIONE E LA NOSTRA RISPOSTA
1) non molti hanno compreso che lo scopo principale della proposta del Gruppo di Firenze nasce dall’intento di restituire serietà all’istruzione; questa diffusa incomprensione fa intravedere “il pericolo che la sua attuazione possa andare nel senso opposto a quello per cui era stata avanzata, verso cioè un’ulteriore svuotamento dell’istruzione pubblica”;
2) secondo i quattro autori “lo sfascio della scuola attuale” non deriva, come spesso si sostiene, dai limiti imposti all’autonomia scolastica, ma dal suo “pieno successo”, per l’inevitabile concorrenza al ribasso fra gli istituti;
3) di conseguenza “nessuna iniziativa di miglioramento dell’istruzione in Italia può avere successo se prima le scuole non sono liberate dall’ansia delle iscrizioni indotta dalla riforma dell’autonomia”.
Riguardo al primo punto, secondo noi non c’è dubbio che quanto proponiamo creerebbe le condizioni per restituire maggiore credibilità alle valutazioni finali. Infatti, non solo non ci sarebbe più l’alternativa “draconiana” tra una promozione immeritata e una bocciatura nonostante i risultati positivi in alcune materie, ma semplicemente non ci sarebbe più il voto di consiglio, dato che la piena responsabilità delle valutazioni, anche di fronte ai loro allievi, sarebbe affidata ai singoli docenti. Alcuni dei quali potrebbero magari conservare nei propri corsi delle abitudini “buoniste”, ma senza più l’alibi della decisione collegiale
Quanto al secondo punto, noi pensiamo che il degrado della scuola italiana non può essere addebitato, se non in parte, all’autonomia scolastica, che è stata istituita nel 2000, ma ha radici nei decenni precedenti, a partire dagli eccessi ideologici degli anni settanta. Sono questioni su cui ci siamo molte volte soffermati: la crisi dei ruoli educativi, la svalutazione della responsabilità individuale e del rispetto delle regole, il logoramento dell’etica professionale e dell’etica pubblica. Tuttavia non c’è dubbio che l’autonomia degli istituti abbia dato il suo contributo, anche fornendo al governo della scuola, cioè al Ministero e ai suoi organi periferici, un comodo alibi per giustificare il disimpegno dai suoi compiti più importanti: l’indirizzo, la verifica, il controllo.
Venendo infine al terzo punto, siamo convinti che la riforma strutturale della secondaria superiore che proponiamo possa essere attuata indipendentemente da altri cambiamenti, sia pure importanti e necessari. Non c’è dubbio però che il buon funzionamento di qualsiasi assetto del sistema scolastico ha come indispensabile condizione una cornice di serietà e responsabilità, che oggi è sostanzialmente assente.
Andrea Ragazzini
2. LA NOSTRA CONTRO-REPLICA
Il prof.
Ragazzini accetta la nostra diagnosi ma non la nostra terapia[1]:
mentre per noi è necessario esaminare il nesso tra ‘autonomia’ e degrado
scolastico prima di ogni nuovo intervento sulla scuola, il professore non vede
questa necessità e crede che si possa senz’altro procedere all’operazione
proposta dal Gruppo di Firenze. Se prima temevamo che quasi nessuno, eccetto
noi, avesse compreso il senso profondo di quell’operazione, ora temiamo invece
che lo avessero compreso quasi tutti, eccetto noi.
1. Affinché
il consiglio di classe non aumenti i voti per evitare le ripetenze, il Gruppo
di Firenze propone di abolirne la sovranità valutativa e rendere decisivi i
voti assegnati dai singoli docenti. Questa proposta contiene una debolezza: nel
consiglio di classe non sono i docenti a voler evitare le ripetenze; anzi, è
raro che almeno i colleghi delle materie scientifiche non abbiano assegnato
voti negativi – d’altra parte se l’istanza di serietà non fosse percepita
innanzitutto dai docenti, se essi fossero davvero prigionieri di abitudini
‘buoniste’, la stessa proposta non avrebbe base reale. A respingere con energia
le ripetenze sono i dirigenti, i quali obbediscono, più che a sé stessi,
a indirizzi superiori, ministeriali. Se la proposta del Gruppo di
Firenze fosse attuata, non solo i docenti diventerebbero sovrani nel valutare,
i dirigenti sarebbero privati dell’arma del voto di consiglio a maggioranza. Da
una parte, però, la sovranità valutativa dei docenti contiene notevoli
inconvenienti: per dirla con cautela, essi potrebbero essere prevenuti nei
confronti di singoli allievi, disorientati e intimiditi da decenni di novità e
di accuse gratuite; dunque le loro valutazioni potrebbero essere discutibili.
D’altra parte, privare il dirigente della possibilità di manipolare il
consiglio per estorcerne l’indulgenza non significa togliergli ogni
arma, tanto meno sottrarlo alla pressione dall’alto. Al contrario, la ‘Buona
Scuola’ di Renzi, facendo del dirigente il promotore e il responsabile ultimo
delle scelte didattiche (art. 14 della legge 107), gli ha messo a disposizione
un ricco arsenale che, se persisterà la coazione ministeriale a promuovere
sempre, egli potrà usare in sostituzione dell’arma perduta; per esempio potrà
sul principio della programmazione (art. 2), per cui bisogna tenere conto delle
condizioni di partenza e dei progressi, anziché dei risultati, oppure potrà
stabilire che, per dare seguito all’art. 7 lettera l) della medesima legge,
‘prevenzione e contrasto della dispersione scolastica’, obiettivi didattici
legittimi siano da considerare prevalentemente quelli a cui tutti si
degnano di arrivare. – In una parola: è velleitario conferire ai docenti la
sovranità valutativa e lasciarli assoggettati agli indirizzi ministeriali di
cui i dirigenti sono zelanti esecutori; per evitare che i docenti facciano uso
di una sovranità comunque immeritata, i dirigenti potranno infatti trasformare
in norma ciò che oggi sentono come un eccesso: il controllo capillare della
didattica per privarla di ogni obiettivo qualificato e per dispensare gli
alunni da ogni dovere. Lo sforzo per tornare alla serietà nella scuola non può
perciò iniziare dal conferimento di un potere inappellabile ai docenti
entro una cornice che continua a umiliarli, ma dall’esplicitazione e dal
rovesciamento critico degli indirizzi ministeriali che si riassumono nel
principio dell’autonomia scolastica; seguire la strada opposta significa
fare un passo più in là nel pantano, cioè rendere impossibile perfino il lavoro
eroico dei pochi che continuano a insegnare a dispetto delle direttive
superiori.
Nella
proposta si presenta poi una seconda conseguenza problematica. La fine della
sovranità valutativa del consiglio di classe si combinerebbe con la necessità
che parte degli alunni di una classe frequentino le fasi dei corsi disciplinari
nei quali non sono risultati sufficienti; questa combinazione favorirebbe il
realizzarsi di un obiettivo da sempre perseguito dalla frenesia riformatrice,
che spunta anche tra le righe della legge 107, all’art. 3 lettera c): la
liquidazione del gruppo classe. Non possiamo vantare uno studio teorico sulla
sua importanza educativa e didattica; la nostra esperienza ci suggerisce però
che il gruppo classe sia prima un’espansione e poi un sostituto dell’ambiente familiare,
di cui riproduce a tal punto le dinamiche che gli si resta spesso legati per
tutta la vita; liquidarlo può essere dunque un atto dalle conseguenze profonde
e imprevedibili, e davvero non si scorge
l’opportunità di insistere sulla linea della recente esperienza
riformatrice piena di atti imprudenti eseguiti con l'entusiasmo di chi copia
modelli esteri idealizzati e poco compresi.
2. Quanto
al secondo punto, è evidente che il Sessantotto ha contestato con successo la
volontà di selezione della scuola gentiliana. Se però i ceti dirigenti europei
hanno posto fine alla scuola selettiva sacrificando lo stesso lavoro
scolastico, innanzitutto quello di memoria, poi, a seguire, quello di
esercitazione, ciò è accaduto perché nel corso degli anni Ottanta l’anarchismo
libertario sessantottesco, imitando la totalità degli stessi ceti
dirigenti, è confluito nell’antistatalismo neoliberale. Ed è
impossibile comprendere l’essenza dell’‘autonomia scolastica’ e la necessità di
porle fine se si trascura questa confluenza.
Essendo una
scelta ideologica e antipedagogica (si ricordi come la determinazione semantica
dei significanti-feticcio abilità, competenza, capacità
sia stata affidata all’ermeneutica dei docenti), l’‘autonomia’ – e su questo
punto siamo in disaccordo con la valutazione del prof. Ragazzini – non è stata,
né poteva esserlo, un effettivo ritrarsi del governo centrale dalle periferie
per lasciarle sguazzare nella loro spontanea creatività: mai c’è stata tanta
invadenza dell’amministrazione centrale nella vita degli istituti da quando
questi sono autonomi, mai i dirigenti sono stati tanto indirizzati da quadri
superiori totalmente cooptati dalle élite neoliberali.
Come
l’indipendenza delle banche centrali dagli Stati è stata un modo per
paralizzarli col debito e asservirli ai loro creditori, così l’‘autonomia’ ha
mirato unicamente a esporre la scuola ai venti selvaggi dell’interesse
economico. Essa, infatti, rientra a pieno titolo nella campagna di
deregolamentazione e privatizzazioni inaugurata negli anni Ottanta dalla sig.ra
Thatcher e dal presidente Reagan per cancellare la condizione di cittadino e
consentire soltanto quella di venditore/compratore. Adottando e promuovendo
l’‘autonomia’ la scuola pubblica lede dunque sé stessa: non solo rinuncia al fine
costitutivo della formazione teorica dei giovani e si riduce a voler
impartire loro un gretto addestramento professionale da svendere sul mercato
del lavoro, si abbandona inoltre a un disperato disfattismo culturale affinché
l’ideologia neoliberale affermi il proprio interesse meno confessabile e più
profondo: che la scuola diventi profittevole, che l’istruzione diventi
un servizio vendibile. In questa prospettiva la didattica miserevole, le
attività squalificanti e i progetti insulsi con cui l’‘autonomia’ infarcisce le
scuole pubbliche assumono un nuovo profilo: con il disgusto che provocano,
costringono i genitori a iscrivere i loro figli nelle scuole private, come si
dice: a investire nell’istruzione. È per questo che la scuola ‘autonoma’
non riesce a impartire neanche l’educazione da schiavi che dichiara di
prefiggersi e segue il degrado che il neoliberalismo procura ai servizi e alle
istituzioni pubbliche affinché ci si rassegni alla loro sostituzione con
servizi privati.
3.
Nell’ultimo punto della risposta del prof. Ragazzini si esprime nel modo più
netto il nostro contrasto già rilevato: stesse premesse, conclusioni
differenti. Siamo infatti d’accordo con la constatazione che “oggi è
sostanzialmente assente” la “cornice di serietà e responsabilità” e che questa
cornice sia condizione indispensabile del buon funzionamento di qualsiasi
assetto del sistema scolastico; da questa constatazione segue però, per noi, la
necessità di mettere in radicale discussione l’‘autonomia scolastica’, perché
con essa identifichiamo la “cornice di irresponsabilità” in grado di piegare al
proprio andazzo qualunque intervento parziale sulla scuola, per quanto bene
intenzionato; per il prof. Ragazzini segue invece che la riforma “possa essere
attuata indipendentemente da altri cambiamenti”. Questa conseguenza ci è
francamente incomprensibile.
Marino
Badiale, Università di Torino
Fausto Di
Biase, Università di Pescara
Paolo Di
Remigio, Liceo Classico di Teramo
Lorella
Pistocchi, Scuola Media di Villa Vomano
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