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sabato 23 febbraio 2019
giovedì 21 febbraio 2019
Recessione
Una bella analisi di Leonardo Mazzei
https://sollevazione.blogspot.com/2019/02/recessione-ce-del-marcio-in-danimarca.html
https://sollevazione.blogspot.com/2019/02/recessione-ce-del-marcio-in-danimarca.html
martedì 19 febbraio 2019
Risposta al Gruppo di Firenze
Il ‘GRUPPO
DI FIRENZE per la scuola del merito e della responsabilità’ ha avanzato per le
scuole superiori la proposta di sostituire l’organizzazione in classi con
quella, tratta dal modello finlandese, in corsi disciplinari, così che lo studente ripeta solo quei corsi di cui non
abbia superato l’esame
Nella
maggior parte degli interventi delle persone interpellate sulla proposta, ancor
più nei resoconti giornalistici, si osserva una diffusa incapacità di scorgere
che la proposta nasce dalla constatazione allarmante che molti voti
insufficienti sono spinti truffaldinamente alla sufficienza soltanto perché i
consigli di classe tremano di fronte alla misura draconiana di far ripetere
l’anno scolastico, nasce cioè dalla preoccupazione di restituire serietà
all’istruzione. La diffusa incomprensione del vero intento della proposta
annuncia il pericolo che la sua attuazione possa andare nel senso opposto a
quello per cui era stata avanzata, verso cioè un ulteriore svuotamento
dell’istruzione pubblica – per quanto ormai sia difficile immaginare come si
possa fare peggio.
Qualunque
siano i vantaggi e gli svantaggi della proposta, l’intento del Gruppo di
Firenze può stimolare un dibattito da cui emerga come lo sfascio della scuola
attuale, che della “vecchia” scuola ha ormai spento persino il ricordo, risulti
non dalla mancata o parziale realizzazione della riforma dell’autonomia, ma dal
suo pieno successo. L’autonomia scolastica ha distrutto l’istruzione, e non
poteva non distruggerla, perché, avendo imposto alle scuole una concorrenza per
cui sono migliori quelle che si procacciano più iscritti, è fatale che
l’imperativo categorico di aumentare i clienti le porti a disperdere le energie
in una pletora di attività pubblicitarie prive di ricaduta didattica e alla
pratica di remunerare con la mera parvenza del successo scolastico ogni alunno,
qualunque siano i risultati effettivi del suo percorso.
Ne
segue che nessuna iniziativa di miglioramento dell’istruzione in Italia
può avere successo se prima le scuole non sono liberate dall’ansia delle
iscrizioni indotta dalla riforma dell’autonomia.
1.
Impostato secondo la preoccupazione del Gruppo di Firenze, il dibattito
potrebbe focalizzare la necessità di restituire all’istruzione il suo carattere
etico, per cui l’insegnante non è un manipolatore delle psiche che con
un repertorio di astuzie ‘tecnologiche’ crei motivazioni e modifichi
comportamenti, ma è un depositario di scienza che, appellandosi al senso del dovere
del discente, lo fa lavorare: gli prescrive una meta, lo aiuta con le
spiegazioni e con il dosaggio progressivo delle difficoltà di memorizzazione e
di esercitazione, ne corregge le prove e le valuta. La differenza tra il primo
atteggiamento e il secondo può forse essere resa intuitiva con una similitudine
tratta dalla medicina: alcune terapie, per esempio quelle chirurgiche,
implicano l’anestesia del paziente, altre, per esempio le diete, il suo
impegno. L’insegnamento è simile non alla chirurgia, ma alla dietetica: esige
la docilità del discente, la sua tenacia, la sua volontà
di dotarsi dell’habitus scientifico. Il principio della scuola attuale è
invece simile a quello dell’operazione in anestesia totale; da una
parte, infatti, come i chirurghi rispetto all’eventuale fallimento
dell’operazione, così gli insegnanti sono oggi ritenuti i soli responsabili
dell’insuccesso dei loro alunni, con il risultato di essere spinti a rinunciare
alla valutazione imparziale per evitare ogni rischio; dall’altra, il privilegio
riservato alla progettualità e all’innovazione rispetto al lavoro di routine
dipende dal falso ideale dell’imparare involontariamente, che riduce la
didattica ai contenuti acquisibili per gioco – di fatto solo a quelli afferenti
alla socializzazione.
Dal
dibattito potrebbe emergere il contrasto tra programmazione e programma.
La prima è la forma tecnica della degenerazione psicologistica della scuola;
anziché infatti esigere dall’alunno lo sforzo di raggiungere una meta definita
ufficialmente, la programmazione costruisce un percorso che, preoccupato
soprattutto di adattarsi alle esigenze dell’alunno, si concentra sulle
condizioni di partenza, costruisce un castello di carta di obiettivi intermedi,
e dimentica il raggiungimento della meta, la cui definizione è così diventata
prerogativa, se non de iure almeno de facto, dei singoli
istituti. Inoltre, con il suo accento sulle condizioni d’inizio, la
programmazione ha non solo infarcito di ipocrita burocrazia il lavoro
didattico, ma ha spinto le scuole a un collegamento con il territorio che ha
certo senso per gli istituti professionali e in parte per quelli tecnici, ma è
del tutto assurdo per la scuola di base (in tutte le scuole elementari e medie
si impara l’italiano senza inflessione locale e la matematica di Euclide) e per
i licei.
I programmi
– gli obiettivi da raggiungere – devono dunque tornare il centro della
didattica: deve esserci una definizione pubblica dei risultati minimi e inderogabili
di conoscenza e competenza in tutte le scuole italiane; il loro raggiungimento
deve essere il primo compito della scuola, a cui sono subordinate tutte
le altre esigenze, deve pertanto essere verificato con rigore innanzitutto
dalla scuola, in secondo luogo da ispettori; i modi del loro raggiungimento
devono essere restituiti alla competenza e alla creatività degli insegnanti.
2. Solo a
questo punto può essere affrontato il problema della valutazione e della
ripetenza con meno rischi che le novità proposte possano essere un contributo
al degrado. È probabile che l’attuale meccanismo della ripetenza sia un’eredità
della scuola gentiliana che mirava innanzitutto alla selezione e solo
secondariamente all’istruzione. Per una scuola che deve portare tutti i
giovani almeno al possesso delle competenze essenziali e deve valorizzare le
capacità di lavoro di chi può raggiungere alti obiettivi, può porsi il compito
non solo di restituire rigore alla valutazione dei risultati ma anche quello di
separare parzialmente l’insufficienza del profitto dalla ripetenza
dell’anno, per ricorrervi solo se questa sia uno strumento necessario alla
crescita dell’alunno.
Per
restituire rigore alla valutazione occorrerebbe innanzitutto semplificarla: i
decimi, ma ancor più i quindicesimi, per tacere dei trentacinquesimi, sono la
premessa di valutazioni insincere; introdurre i sesti (1 = risultato
nullo; 2 = scarso; 3 = insicuro; 4 = sufficiente; 5 = buono; 6 = eccellente)
potrebbe essere un incentivo a utilizzare tutti gli estremi della scala e a
rilevare l’essenziale senza perdersi nelle finezze docimologiche – del tutto
estranee all’ambito didattico.
In secondo
luogo potrebbe essere opportuno promuovere alla classe successiva anche chi
presenti insufficienze in materie non fondamentali (quelle fondamentali
sono ovviamente italiano e matematica) e non di indirizzo, con
possibilità di recuperare queste materie nell’anno successivo, e, in caso di
mancato recupero, di conseguire un diploma che precluda l’accesso a indirizzi
in cui predominano le materie trascurate (per esempio chi al liceo classico non
fosse sufficiente in scienze e fisica non potrebbe iscriversi a medicina; chi
non lo fosse in storia e filosofia, non potrebbe iscriversi a giurisprudenza;
chi non lo fosse in matematica e scienze dovrebbe rinunciare a ingegneria). Un
analogo discorso si potrebbe fare per il passaggio dalle medie alle scuole
superiori. Infine, nel primo anno di scuola superiore il cambiamento di
istituto potrebbe sostituire una ripetenza per scarso profitto nelle materie di
indirizzo.
Queste come
altre proposte presentano i loro inconvenienti e al momento della loro
attuazione possono dare adito a comportamenti opportunistici tali da
snaturarle; è anzi inevitabile che ciò accada se prima delle novità nella
meccanica delle valutazioni e delle ripetenze non si sia consumato il distacco
dal principio dell’autonomia e se non si voglia sinceramente resuscitare la
scuola pubblica italiana. Di qui l’importanza di avviare, prima di ogni
iniziativa e come premessa di scelte radicali, un dibattito spregiudicato su
ciò che è accaduto nella scuola italiana negli ultimi venti anni e sul suo
stato attuale.
Marino
Badiale – Università di Torino
Fausto Di
Biase – Università di Pescara
Paolo Di
Remigio – Liceo Classico di Teramo
Lorella
Pistocchi – Scuola Media di Villa Vomano
domenica 17 febbraio 2019
Poche e sentite parole
A proposito del TAV in Val di Susa
http://ilcorrosivo.blogspot.com/2019/02/una-pietra-tombale-sul-tav.html
http://ilcorrosivo.blogspot.com/2019/02/una-pietra-tombale-sul-tav.html
giovedì 14 febbraio 2019
mercoledì 13 febbraio 2019
Regionalismo differenziato
In silenzio si stanno minando i fondamenti dell'unità nazionale:
https://www.roars.it/online/regionalismo-differenziato-lantefatto-e-i-suoi-protagonisti/
Integrazione h.20: si legga anche questo intervento, giustamente preoccupato
http://appelloalpopolo.it/?p=48776
https://www.roars.it/online/regionalismo-differenziato-lantefatto-e-i-suoi-protagonisti/
Integrazione h.20: si legga anche questo intervento, giustamente preoccupato
http://appelloalpopolo.it/?p=48776
domenica 10 febbraio 2019
sabato 9 febbraio 2019
venerdì 8 febbraio 2019
giovedì 7 febbraio 2019
mercoledì 6 febbraio 2019
Continuando una discussione
(Rispondo all'intervento di Domenico Lombardini, che a sua volta rispondeva a questo. Su temi affini c'è anche un intervento di Paolo Di Remigio. M.B.)
Caro
Domenico,
grazie
innanzitutto per il tuo intervento. Il fatto che quello che scrivo stimoli
qualcuno a esporre riflessioni come le tue mi fa pensare che scrivere possa
avere qualche utilità. Provo a rispondere alle tue osservazioni. Come puoi
immaginare, non sono d’accordo con le tue conclusioni. Credo però che ci sia
una larga base di consenso fra di noi, e voglio iniziare cercando di
esplicitarla: mi sembra che siamo d’accordo sul fatto di mettere da parte ogni
prospettiva messianica di creazione sulla terra del regno della perfetta
giustizia, che si chiami comunismo o altro; siamo inoltre d’accordo sul fatto
che occorre concentrarsi sul tentativo di miglioramento concreto della
condizione degli esseri umani. Non ha senso proporsi la giustizia compiuta e
finale, ma ha senso cercare di rendere il mondo più giusto possibile,
compatibilmente con le nostre forze e in generale con le condizioni oggettive.
Mi sembra che questa base di accordo, se non ho sbagliato la mia valutazione,
sia la cosa più importante. Il dissenso riguarda il fatto che tu ritieni che
questa base di accordo possa o debba essere fondata in un senso al di là del
mondo. La critica principale che posso fare alla tua posizione è che essa mi
sembra intimamente contraddittoria. Tu citi il Wittgenstein del Tractatus, ed è
facile gioco ricordarti la sua chiusura: su ciò di cui non si può parlare si
deve tacere. È questa l’unica conclusione coerente con le tue (e sue) premesse.
Se il senso del mondo è così drasticamente fuori del mondo, non è possibile
parlarne, e soprattutto non è possibile fondare su di esso alcunché. Non è
possibile affermare che “individuare e collocare il senso fuori dal mondo sia
la soluzione ai nostri mali”. Nel momento in cui affermi questo, stai
riportando l’oggetto del tuo discorso (il senso, Dio) nel mondo. Ti stai
contraddicendo. La contraddizione, mi sembra, nasce dal fatto che non guardi
quello che stai facendo: tu stai dicendo che occorre una trascendenza per
fondare quel po’ di giustizia e di senso che è possibile nella nostra vita. Ma
questo significa che il tuo punto di partenza è la giustizia e il senso che tu
vuoi fondare, e la trascendenza è solo uno strumento per questo. Ma allora è la
trascendenza che è fondata sulla giustizia che tu trovi dentro di te, non
viceversa. Ed essendo fondata su ciò che tu trovi dentro di te, e proiettata
come universale senza nessuna opera di mediazione, perde quella universalità
che vorresti attribuirle.
In
conclusione, la mia proposta è semplicemente di partire da ciò da cui entrambi
effettivamente partiamo, cioè dal senso di giustizia che troviamo dentro di
noi, e che ci arriva da una storia personale e collettiva. È questo che
abbiamo. Proiettare tutto ciò nel cielo di una trascendenza assoluta mi pare
non sia di nessun aiuto. Potresti naturalmente obiettare che senza un
fondamento trascendente la mia posizione cade nel nichilismo. Io non lo
credo, e ritengo che la storia della filosofia occidentale, da Platone a Hegel,
sia una risposta a questa obiezione. Ma sviluppare questa idea significa
iniziare un’altra discussione, che forse possiamo fare di persona.
sabato 2 febbraio 2019
"Un progetto concepito male"
[nota tecnica: grazie alla segnalazione di un amico, mi sono reso conto che nei mesi scorsi sono andati persi dei commenti. Mi scuso con chi non ha visto pubblicato il proprio commento, per il futuro il problema dovrebbe essere risolto. M.B.]
Ancora un articolo di Ashoka Mody. La versione originale risale a qualche mese fa, ma vale la pena di leggerlo.
http://vocidallestero.it/2019/02/02/leurozona-sta-attraversando-una-crisi-di-identita-e-litalia-ne-sosterra-il-peso/
Ancora un articolo di Ashoka Mody. La versione originale risale a qualche mese fa, ma vale la pena di leggerlo.
http://vocidallestero.it/2019/02/02/leurozona-sta-attraversando-una-crisi-di-identita-e-litalia-ne-sosterra-il-peso/
venerdì 1 febbraio 2019
Cosa sta succedendo
Un bell'intervento, non recentissimo, di Guido Ortona
http://patriaecostituzione.it/2019/01/09/guido-ortona-cosa-sta-succedendo/
http://patriaecostituzione.it/2019/01/09/guido-ortona-cosa-sta-succedendo/