(Qualche giorno fa ho tenuto una conferenza su invito dell'Arci di Rovigo, che ringrazio. Il testo seguente è lo schema che mi ero preparato come traccia. Non è un vero e proprio articolo, ma penso possa avere qualche interesse. M.B.)
La nozione di
sviluppo e le ideologie politiche della modernità
Premessa:
bisognerebbe dare delle definizioni rigorose di parole come sviluppo
o crescita. Ma sarebbe pesante farlo all’inizio, quindi
eventualmente lo facciamo nel corso del dibattito, se ne emerge la
necessità. Per il momento userò la nozione di sviluppo nel senso
intuitivo di sviluppo economico (aumento della produzione di beni,
oggi identificata con la crescita del PIL) e di sviluppo tecnologico
(aumento della potenza di intervento umano sulla natura).
Due tesi
fondamentali: 1) lo sviluppo è alla base di tutte le ideologie
politiche della modernità, cioè è alla base di destra e sinistra.
2) La dinamica interno allo sviluppo porta al superamento di destra e
sinistra, e questo sia nel caso di una “fine dello sviluppo”
(esito possibile ma non certo) sia nel caso di un proseguimento dello
sviluppo nella forma attuale.
Tesi 1.
La sviluppo è a
fondamento delle ideologie di destra e sinistra.
La sinistra: appare
abbastanza ovvio che il progresso sia un valore tipico della
sinistra, però cerchiamo di esaminare questa ovvietà. Il problema
qui è dare una definizione sensata di sinistra. Spesso si tende a
definire la sinistra in termini di “valori” (per es.
l’uguaglianza), ma la sinistra è stata una realtà politica che ha
cercato di realizzare quei valori. Tale realizzazione era pensata
appunto attraverso lo sviluppo economico e tecnologico. Si potrebbe
quindi definire la sinistra come la realtà politica e culturale che
negli ultimi due secoli ha cercato la realizzazione di valori come
l’uguaglianza o l’emancipazione attraverso lo sviluppo economico
e tecnologico.
Questa base comune
era declinata in due modi diversi: riformista e rivoluzionario. Per i
riformisti vi erano ancora, dentro il capitalismo, possibilità di
sviluppo che andavano perseguite, portando così la società ad un
tale grado di progresso che il passaggio al socialismo avrebbe potuto
realizzarsi senza grandi traumi. Per i rivoluzionari invece, almeno a
partire dalla I Guerra Mondiale, la società capitalistica appare del
tutto decadente e lo sviluppo è possibile solo abbattendola e
costruendo la società socialista. La storia del ‘900 ha dato torto
ai rivoluzionari, ma non è detto che abbia dato ragione ai
riformisti.
La destra: la destra
è conservatrice, ma questo non è in contraddizione con l’idea di
sviluppo. La destra vuole conservare gerarchie sociali, modi
tradizionali di vita, forme tramandate della politica. Ma per far
questo ha comunque bisogno del potere della tecnica e dell’economia
moderne, perché senza tale potere nella modernità si è sconfitti.
La destra quindi usa lo sviluppo in un’ottica conservatrice:
concede ai ceti subalterni di godere in qualche misura dei vantaggi
dell’accumulo di ricchezza, purché accettino indefinitamente la
propria condizione di subalternità. Non è un caso che i primi
esempi di misure che oggi definiamo “Welfare State” siano state
adottate fra fine Ottocento e inizio Novecento da governi
conservatori (come nella Germania guglielmina). Anche la destra si
divide fra destra moderata ed estrema. L’estrema destra (fascismo,
nazismo) sembra sostenere ideologie reazionarie che rifiutano lo
sviluppo, ma in questo non appare credibile, perché essa ha a
proprio fondamento una ideologia di espansione imperialistica che può
realizzarsi solo col potere della tecnica moderna, e ha quindi
bisogno dello sviluppo economico e tecnologico.
L’unica destra che
davvero fa a meno dello sviluppo è la destra reazionaria e
legittimista che rifiuta la Rivoluzione Francese e vuole tornare
all’Ancien Régime (De Maistre, Chateaubriand). Ma si tratta di
correnti che hanno sì rilevanza culturale e ideale, ma peso politico
scarso e sempre più evanescente, appunto perché la politica ha a
che fare con i rapporti di forza e nella modernità la forza si basa
sullo sviluppo economico e tecnologico.
Tesi 2.
Lo sviluppo e il
superamento di destra e sinistra.
Dato questo legame
strettissimo di destra/sinistra con lo sviluppo, è chiaro che una
crisi dello sviluppo porterebbe necessariamente alla crisi di
destra/sinistra, alla sua sostituzione con altri tipi di opposizione.
Possiamo allora
provare a chiederci se il futuro ci riserba una crisi dello sviluppo
oppure una sua continuazione, più o meno nelle forme conosciute
finora. Vi sono argomenti a favore di entrambe le tesi.
Argomenti a favore
della fine dello sviluppo:
a) ci troviamo in
una crisi economica dalla quale non sembra si riesca ad uscire, tanto
che alcuni studiosi hanno coniato l’espressione “stagnazione
secolare”;
b) inoltre
assisteremo probabilmente nei prossimi tempi all’acuirsi dei
contrasti per l’egemonia mondiale;
c) infine, e
soprattutto, la crisi ecologica incipiente potrebbe rappresentare la
fine di ogni possibilità di crescita illimitata.
Argomenti a favore
del proseguimento dello sviluppo: tutte le crisi di cui si parla nei
punti precedenti rappresentano oscillazioni cicliche del capitalismo
che si sono già avute in passato senza bloccare lo sviluppo. Vedi la
successione dei “passaggi di testimone” nell’egemonia economica
mondiale o le ricorrenti crisi economiche che sono sempre state
superate. Quanto alla crisi ecologica, essa stimolerà nuovi salti in
avanti tecnologici, come già successo in passato.
Personalmente
inclino verso l’opinione della probabile fine dello sviluppo. Il
punto è che assisteremo nei prossimi decenni a una sovrapposizione
di più crisi, ciascuna delle quali, isolatamente presa, sarebbe
forse superabile, ma che diventeranno probabilmente ingestibili
proprio per il loro sovrapporsi.
Ma senza decidere la
questione, esaminiamo entrambe le possibilità.
a) Se siamo alla
fine dello sviluppo, il ragionamento è molto ovvio: è chiaro che
assieme allo sviluppo finiscono anche le ideologie di destra e di
sinistra che, come abbiamo visto, lo hanno a fondamento: la sinistra
non può più promettere l’emancipazione tramite lo sviluppo, la
destra non può più promettere un miglioramento graduale delle
condizioni materiali in cambio del mantenimento di un ordine sociale
gerarchico.
b) Se invece
avessimo di fronte ancora un lungo periodo di sviluppo simile a
quello vissuto negli ultimi due secoli, cosa si può ipotizzare?
La mia tesi è che
in tal caso proseguirebbe il processo di svuotamento di
destra/sinistra al quale assistiamo da qualche decennio. Il punto è
che destra e sinistra (parliamo adesso di sviluppo capitalistico,
l’unico oggi rilevante, e di destra e sinistra “moderate”, le
uniche oggi rilevanti) sono accomunate da un’impostazione di fondo,
cioè dal tentativo di usare lo sviluppo capitalistico al servizio
dei propri valori: l’emancipazione o l’uguaglianza nel caso della
sinistra, la conservazione dei rapporti sociali tradizionali nel caso
della destra. Il punto è che la logica del capitale di per sé non è
né di destra né di sinistra, di per sé non è legata a nessun
valore particolare: è pura auto-accumulazione, è pura ricerca del
profitto, senza fine e senza fini. Per usare una metafora biologica,
il rapporto sociale capitalistico non è un “animale selvaggio”
che si possa addomesticare. È un virus, un essere che non sa fare
altro che riprodurre la propria logica (il proprio DNA o RNA)
invadendo l’organismo ospite.
Con questo si vuol
dire che la logica del rapporto sociale capitalistico romperà sempre
ogni tipo di “gabbia valoriale” nella quale si cerca di
rinchiuderla, e questo non per “cattiveria dei capitalisti” ma
appunto per logica economica: nella competizione universale di tutti
contro tutti, ogni “vincolo etico” è un limite al profitto, è
una zavorra, uno svantaggio che condanna alla sconfitta. Se si vuole
la ricchezza e la potenza del capitalismo, bisogna accettarne la
logica, che può accordarsi con un orizzonte valoriale ad essa
estraneo solo in modo contingente, e per periodi non troppo lunghi.
L’esempio standard è ovviamente la fase “socialdemocratica”
del “trentennio dorato” seguito alla Seconda Guerra Mondiale, e
il modo in cui essa è finita. Si tratta della fase in cui sembravano
realizzate le fondamentali aspirazioni della sinistra riformista. Ma
mentre la sinistra riformista pensava che certe conquiste fossero
irreversibili, gli sviluppi successivi (che sintetizziamo nel termine
“globalizzazione”) hanno evidenziato come quel tipo di
organizzazione sociale non fosse più, nella nuova situazione,
funzionale alla riproduzione capitalistica: il risultato è stata la
distruzione del “compromesso socialdemocratico” e il ritorno a un
capitalismo feroce e disegualitario, di tipo ottocentesco. Così la
pretesa della sinistra di piegare lo sviluppo capitalistico ai propri
valori mostra il suo carattere velleitario.
Ma allo stesso modo
è velleitaria la pretesa della destra di sostenere lo sviluppo
capitalistico preservando però gli ambiti della morale tradizionale,
per esempio nel campo dei rapporti fra le generazioni o fra i sessi,
e in generale la struttura tradizionale dell’ordinamento sociale. È
una pretesa velleitaria perché la morale tradizionale pone dei
limiti al consumo e alle possibilità di investimento profittevole,
mentre nella logica della competizione sfrenata ogni consumo deve
essere incentivato e ogni possibilità di investimento profittevole
deve essere perseguita. La destra quindi è costretta ad una continua
battaglia di retroguardia, ad un continuo arretramento.
Conclusione.
Se tutto questo è
vero, ne possiamo concludere che il superamento di destra e sinistra
appare inevitabile. Quali potranno allora essere le nuove
contrapposizioni politiche del futuro? Possiamo ovviamente solo fare
ipotesi. Uno studioso come Costanzo Preve tempo fa descriveva la
natura del capitalismo contemporaneo dicendo che esso appare “di
destra” in campo economico (qui “destra” vuol dire liberismo,
libertà totale di dispiegamento della logica del profitto), “di
centro” in ambito politico (nel senso che vengono mantenute le
forme della democrazia) e “di sinistra” in campo culturale (nel
senso che il codice culturale dominante è quello dell’innovazione,
del progresso e del politicamente corretto). È interessante
confrontare questa idea di Preve (che personalmente condivido) con
quanto scriveva il sociologo americano Daniel Bell nel suo The
cultural contradictions of capitalism, un testo degli anni ‘70.
Nella prefazione a tale testo egli dichiara di ritenersi socialista
in economia, “liberal” nel campo della politica, conservatore nel
campo della cultura. Senza approfondire adesso quanto dice Bell, è
abbastanza evidente che la sua posizione è simmetricamente
contrapposta a quella che Preve descrive come la natura del
capitalismo attuale. Potremmo allora delineare questo due descrizioni
come i possibili poli di una contrapposizione politica del futuro. Si
tratta evidentemente di una contrapposizione che non corrisponde a
quella fra destra e sinistra.
Un altro possibile
esempio di contrapposizione politica futura potrebbe essere quella
fra fautori della crescita illimitata e fautori della decrescita.
In ogni caso, quanto
fin qui argomentato mi porta a ritenere che la contrapposizione fra
destra e sinistra non avrà più in futuro il ruolo svolto negli
ultimi due secoli.
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