Ho letto in questi
giorni un saggio uscito qualche tempo fa, I destini generali, di Guido Mazzoni,
(Laterza 2015). Guido Mazzoni è uno scrittore e critico letterario, docente
all’Università di Siena. Con questo saggio ci ha dato un testo importante, che
cerca di indagare alcuni degli aspetti fondamentali di ciò che è l’essere umano
del nostro tempo, sollevando questioni decisive. Il libro sintetizza con grande
chiarezza gli aspetti più sorprendenti di quella che potremmo chiamare “umanità
postmoderna”: la fine del Super-Io, l’obbligo al godimento, la crisi dei legami
(personali e collettivi), la dimensione del tempo ridotta ad un eterno presente
privo di passato e di futuro, la rinuncia alle prospettive di grandi mutamenti
sociali, la ricerca della soddisfazione personale in una cerchia privata. Di
fronte a questa realtà antropologica perdono senso tutte le parole che nel
Novecento hanno espresso la lotta e l’aspirazione di grandi masse umane per un
mondo diverso, migliore, svincolato dal dominio del profitto. Si tratta di una
situazione nella quale non si intravedono spiragli. Mazzoni registra con grande
precisione e acume questi mutamenti, e giustamente si sottrae alla domanda sul
“che fare?”. Contro questa realtà egli si limita ad esprimere, alla fine del saggio, il
suo disagio.
È facile pensare
alcune obiezioni al carattere intrascendibile della realtà contemporanea, quale appare nell'analisi di Mazzoni.
Si può infatti ritenere che l’attuale società capitalistica globalizzata sia molto meno stabile di quanto appaia. La crisi economica, gli scontri
per l’egemonia mondiale fra USA e nuovi pretendenti (Cina in primis),
l’incipiente crisi ecologica: sono tutti dati di fatto che sembrano indicare
come quella strana “sospensione della storia” che da decenni viviamo nei paesi
occidentali rappresenti solo una “bolla” destinata a scoppiare al contatto con
la dura realtà. È probabile che, di fronte agli scontri planetari che si stanno
preparando, e che non lasceranno indenne ciò che Mazzoni chiama il “western way
of life”, torneranno le contrapposizioni ideologiche e le mobilitazioni di
massa, anche se, quasi sicuramente, le linee di faglia, i “cleavages”, saranno
ben diversi da quelli del secolo scorso. Esempi potrebbero forse essere le
attuali contrapposizioni fra élite globaliste e populisti, fra europeisti e
anti-europeisti.
Queste
osservazioni, che pur ritengo corrette, mi sembra però che non esauriscano lo spessore di
problemi che Mazzoni ci indica. Egli infatti dice a chiare lettere quello che,
mi pare, la tradizione antisistemica non ha mai avuto il coraggio di dire così
apertamente: questo mondo, il mondo di un ceto medio che gode di una relativa
autonomia individuale e di buoni livelli di consumo, e che una volta ottenuto
tutto questo si disinteressa dei “destini generali”, è esattamente il mondo che
la maggior parte delle persone vuole. La tradizione progressista, mi sembra,
non ha mai avuto chiaro questo punto, e ha sempre confuso l’uomo comune col
militante politico che formava le fila delle forze politiche che si
riconoscevano nel progresso, da quelle più moderate a quelle più radicali. È
per questo che quella tradizione ha sempre insistito sulla partecipazione,
sulla democrazia diretta, sul consigliarismo. I suoi militanti vivevano di
riunioni, assemblee, partecipazione politica, erano felici di vivere in quel
modo, e pensavano che quella fosse l’aspirazione di tutti gli esseri umani. La
storia sembra indicare che non è così, che gli esseri umani in larga
maggioranza sono ben contenti di delegare la politica ai militanti e di
dedicarsi alla vita privata, purché sia loro assicurato quanto si diceva sopra.
Tutto questo non è una novità: lo sapeva bene Platone, che nella Repubblica
prevede che solo una minoranza possa dedicarsi alla direzione politica (e non
possa quindi possedere ricchezze e neppure avere una famiglia), mentre la
maggioranza svolgerà le normali attività produttive e riproduttive, accettando per il resto di farsi
dirigere. C’è da chiedersi se, invece di generare malinconia, queste
considerazioni non possano portare a una forma di saggezza. Forse fare il
proprio dovere sul lavoro, costruire una famiglia, educare dei figli, vivere
delle relazioni umane cordiali e rispettose, è ciò che la gran parte degli
esseri umani è in grado di fare, ed è ciò che, silenziosamente, tiene in piedi
quella struttura sociale che gli arditi militanti possono poi sperare di
migliorare. Qualcosa del genere, se lo capisco bene, intendeva F.W.Ritschl, il
filologo maestro di Nietzsche, in una lettera al discepolo, citata da autori
come Fortini e Mengaldo:
“E così, mi pare,
per i più, nella personale convivenza e dedizione, nell’abnegazione affettuosa, nelle varie e
reali forme di profonda umanità, risiede una forza che erompe dal cuore del
mondo (…). Questa è la forza dell’immediata azione umana e di questa forza è
capace anche il più umile”.
Ma non c’è allora
nessuna speranza di un futuro diverso? Come ho detto, sono abbastanza convinto
che fra non moltissimo tempo scoppierà la “bolla” che finora ha protetto la
gran parte dei popoli occidentali dal duro confronto con la realtà. Non so
quale sarà la forma sulla quale si assesteranno le nuove organizzazioni sociali
che nasceranno dopo gli eventi tumultuosi che possiamo immaginarci. Sono però
convinto che in esse si riprodurranno alcuni dei meccanismi dei quali stiamo
parlando: cioè che la maggioranza al loro interno cercherà di costruirsi una
vita sensata nella sfera della famiglia e del lavoro, e, una volta assicurato
questo, sarà felice di lasciare a piccole minoranze gli onori e gli oneri della
direzione politica. Niente di nuovo sotto il sole, dunque? Non proprio, perché
l’attuale organizzazione sociale è particolarmente instabile perché è
particolarmente distruttiva, sia nei confronti dell’ambiente sia nei confronti
delle stesse relazioni umane. Ciò che possiamo sensatamente sperare è che nuove
forme di organizzazione sociale, al momento impensabili, riescano ad essere più
stabili dell’attuale trovando o ritrovando, da una parte, un rapporto non distruttivo con l’ambiente
naturale, dall'altra, forme di relazioni umane più sensate delle attuali.
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