(Riceviamo e volentieri pubblichiamo la seconda parte dello scritto di Paolo Di Remigio sulla storia della Banca centrale negli Usa. La prima parte si trova qui. M.B.)
La nascita della Federal Reserve
Paolo Di Remigio
I primi elementi[1] del Sistema
della riserva federale, la banca centrale degli Stati Uniti, furono posti
nel 1863, quando il Congresso statunitense con il ‘National Banking Act’ e il
‘National Currency Act’ determinò la centralità finanziaria di New York. Alcuni
centri bancari, come Chicago, St. Louis o Boston, furono designati come città
della riserva nelle cui banche nazionali le banche regionali potevano
tenere il 25% delle loro riserve minime obbligatorie in forma di depositi e
banconote. Le banche nazionali di New York ebbero però uno status speciale e fu
loro richiesto di tenere il 25% delle loro riserve di valuta legale in forma di
monete o lingotti d’oro o d’argento. La legge designava la sola New York come
‘città della riserva centrale’, cioè la riconosceva come centro monetario
nazionale. Poiché le banche locali e regionali potevano guadagnare interessi
collocando i loro fondi nelle banche di New York, il capitale fluiva dalle
banche regionali alle banche di New York provocandone la crescita abnorme.
A New York, oltre alle grandi banche nazionali, c’era anche
un gruppo, piccolo ma molto influente, di banche private internazionali che non
vendevano le loro azioni al pubblico e non erano dunque limitate agli affari locali.
A differenza di quelle nazionali, queste banche non potevano emettere
banconote; proprio perciò erano poco regolamentate, libere di fare affari
ovunque trovassero opportunità. Negli ultimi decenni del XIX secolo queste
banche d’investimento divennero enormi società bancarie internazionali come J.
P. Morgan, Kuhn Loeb, Lazard Frères, Drexel e poche
altre, organizzando da Londra e Parigi le più ampie operazioni finanziarie per
la costruzione delle ferrovie americane e per l’espansione della grande industria
attraverso i confini statali.
Nel primo decennio del XX secolo da questa élite della
finanza internazionale emersero due giganti, il britannico Nathaniel Lord
Rothschild della N. M. Rothschild & Co. e J. Pierpont Morgan della J.
P. Morgan & Co., che dapprima lavorarono in stretta collaborazione -
tanto che Morgan si limitava a rappresentare in modo discreto gli interessi dei
Rothschild negli Stati Uniti -, poi divennero rivali alla fine del primo
decennio del XX secolo, quando diventò chiaro che l’impero britannico era in
declino irreversibile e Morgan cercò di costituire il proprio impero
finanziario.
Alla fine degli anni ‘90 dell’Ottocento Morgan diventò il
più potente banchiere del mondo, organizzando insieme a August Belmont, il
rappresentante dei Rothschild negli Stati Uniti, il panico finanziario del 1893
per annichilire il ruolo monetario dell’argento, così abbondante negli Stati
Uniti da non poter essere controllato dai banchieri, e per imporre il Gold
Standard agli Stati Uniti. Approfittando inoltre dei fallimenti provocati
dalla crisi di cui erano stati promotori, Morgan e Rothschild acquistarono a
prezzi stracciati le più importanti società ferroviarie, così da poter
controllare l’intera economia americana; nel frattempo, per coprire le loro manipolazioni,
creavano e diffondevano con i loro giornali i miti della democrazia,
dell’individualismo e del libero mercato.
Sconfitta la fazione dell’argento, a Morgan e al ristretto
circolo di banche di New York e Londra sue alleate era aperta la strada per
impossessarsi delle stesse finanze degli Stati Uniti: nel 1907 Morgan e
Rockefeller organizzarono una nuova ondata di panico che avrebbe portato al
‘Federal Reserve Act’.
La vicenda iniziò dal tentativo di Frederick A. Heinze,
direttore della Mercantile National Bank, di accaparrarsi il mercato del
rame comprando le azioni della United Copper Company; il gruppo
Rockefeller, che controllava l’enorme Amalgamated Copper Company, lo
contrastò inondando il mercato con il suo rame così da precipitarne il prezzo:
se il 14 ottobre 1907 un’azione della United Copper Company valeva 62
dollari, il 16 ottobre ne valeva 15. Heinze ne fu travolto. Intanto i giornali
divulgavano notizie sui legami tra la sua Mercantile National Bank e
altre sei banche di New York; il timore della loro insolvenza provocò un primo
prelievo massiccio dei depositi. Il panico generale fu destato però quando la
stampa diffuse la notizia che anche Charles T. Barney, il rampante presidente
di una banca di media grandezza, la Knickerbocker Trust Co., era in
affari con la Mercantile National Bank. Ne seguì una corsa agli
sportelli che costrinse Barney a mendicare il salvataggio della sua banca dalla
Clearing House Association di J. Pierpont Morgan. Chiesta una verifica
dei conti, Morgan rifiutò il credito; e non solo non fermò il panico:
diffondendo insinuazioni per mezzo dei giornali che controllava (Evening
News, The New York Times), lo estese alle banche di cui voleva
sbarazzarsi, in particolare alla Trust Company of America. Essa era in
realtà solvente, ma possedeva le azioni della Tennessee Coal and Iron
Company, una società su cui la US Steel Corporation di Morgan aveva
messo gli occhi; ebbe dunque i prestiti da Morgan ma solo a condizione di
cedere le sue quote della Tennessee Coal and Iron Company.
Acquisendo queste quote Morgan avrebbe però violato le leggi
antitrust. Mandò allora due dei suoi dal presidente Roosevelt perché le
sospendesse. Intanto lo scenario si era fatto apocalittico: Barney si era
suicidato, il mercato azionario di New York era crollato perché le banche
assetate di liquidità vendevano azioni per aumentare il capitale, il paese era
precipitato in una nuova depressione dopo quella del 1893. Theodor Roosevelt,
sensibile ai desideri di Rockefeller e Morgan, abituato anzi a concordare con
loro addirittura i suoi discorsi, non poté deluderli: sospese le leggi
antitrust. Per miracolo il panico si dissolse: appena Morgan ebbe messo le mani
sul Tennessee Coal and Iron Company, la campagna stampa cessò e la Trust
Company of America poté tornare ai suoi affari. Morgan fu celebrato dalla sua
stampa come l’eroe che aveva fermato il panico, proprio mentre approfittava dei
prezzi crollati per comprare grandi società da aggiungere al suo impero.
La crisi del 1907-08, oltre ad aumentare l’impero e
l’influenza di Morgan, diede al presidente Roosevelt l’occasione per istituire
la ‘Commissione monetaria nazionale’ con il compito di studiare le crisi
bancarie e mettere fine alle ondate di panico sui mercati finanziari. Direttore
della Commissione fu il senatore Nelson Aldrich, suocero di John D.
Rockefeller, noto come ‘mediatore senatoriale di Morgan’, non estraneo in
passato alla corruzione elettorale, destinato a diventare molto facoltoso alla
fine della sua carriera politica; Aldrich fu colui che si fece strumento del
più importante colpo di Stato della storia americana – la creazione del Federal
Reserve System.
Nel novembre 1910 Nelson Aldrich e i principali finanzieri
americani salirono in treno per raggiungere un remoto resort di
proprietà di Morgan a Jekyll Island, al largo delle coste della Georgia.
Qualora fossero stati scoperti, avrebbero risposto che si riunivano per andare
a caccia di anatre. Di questa riunione segretissima scrisse Forbes nel 1916
omettendo i cognomi dei partecipanti: “Nelson [Aldrich] aveva
confidato a Henry [Davidson, socio di J. P. Morgan & Co.], a
Frank [Vanderlip, presidente della National City Bank di
Rockefeller], a Paul [Warburg, di Kuhn Loeb & Co.] e a
Piatt [Andrew, vicesegretario al Tesoro degli Stati Uniti] che li
avrebbe tenuti in conclave a Jekyll Island, fuori dal mondo, finché non
avessero sviluppato e redatto un sistema monetario scientifico per gli Stati
Uniti … Warburg è il collegamento tra il sistema Aldrich e il sistema attuale
[la Federal Reserve]. Egli più di tutti ha fatto del sistema una realtà
effettiva.” (Bertie Charles Forbes, Current Opinion, dicembre 1916,
p. 382). È rivelatrice della natura del cosmopolitismo dei finanzieri
internazionali la circostanza che a creare il Federal Reserve System,
strumento finanziario della sconfitta tedesca del 1918, sia stato il tedesco
Warburg.
Warburg organizzò il Federal Reserve System secondo
il modello della Banca d’Inghilterra. Per aiutare a superare lo scoglio
dell’art. 1 della Costituzione, che attribuendo il potere monetario al
Congresso escludeva i privati dalla sua gestione, Warburg suggerì che la banca
centrale degli Stati Uniti non si chiamasse banca nazionale o banca
centrale, ma avesse il titolo lambiccato di Associazione per la banca
della riserva federale, in modo che si potesse avanzare l’argomento che non
si trattava di una banca centrale perché, a differenza della Banca
d’Inghilterra o delle altre banche centrali europee, il modello statunitense
era decentralizzato; inoltre l’influenza dominante di New York era nascosta con
la creazione di 12 banche regionali ‘indipendenti’, ognuna di proprietà delle
banche o delle società più potenti della regione; ugualmente in ombra il fatto
che il capitale delle 12 banche affiliate sarebbe stato di proprietà di
azionisti privati.
Il piano Warburg, rinominato piano Aldrich perché
sembrasse idea del senatore repubblicano anziché piano dei banchieri
internazionali, suscitò qualche opposizione. Nel 1912 il deputato del
Minnesota, Charles Lindbergh (padre e omonimo del più noto aviatore), presentò
al Congresso la richiesta che si investigasse sul potere di Wall Street; ma
Wall Street già condizionava la maggioranza dei deputati; essi dirottarono
quindi la richiesta di Lindbergh a un deputato della Luisiana, Arsene Pujo, che
incaricò un avvocato della cerchia di Wall Street, Samuel Untermeyer, di
organizzare un’inchiesta addomesticata.
La commissione Pujo accertò l’esistenza di un Money Trust
formato da sei banche che controllavano l’industria dell’acciaio, le società
ferroviarie, i servizi pubblici, le compagnie di estrazione e di raffinazione
del petrolio, la grande stampa; il vertice del Money Trust era occupato
da J. P. Morgan & Co., che controllava in vario modo le più grandi
società del paese ed era legato a soci londinesi.
Dopo questi risultati il Congresso, ora a maggioranza
democratica, non poteva più accettare il piano del troppo oligarchico Aldrich;
lo si poteva però orientare ad accettare una versione democratica dello stesso
piano; perché questa versione fosse più credibile, la si diede da scrivere a
Untermeyer che la stampa degli oligarchi aveva appena trasfigurato in amico del
popolo e persecutore dell’oligarchia. Le udienze della commissione Pujo e i
resoconti che ne diede la stampa furono usati in modo che il Congresso potesse
approvare come alternativa democratica al piano Aldrich il disegno di legge
Owen-Glass, sebbene ricalcasse quasi verbatim il piano di Jekyll
Island da cui era nato lo stesso piano Aldrich. Così, mentre la stampa di Morgan
marchiava d’infamia il piano Aldrich in quanto ‘piano della banca centrale’, il
Federal Reserve Act del deputato Glass, scritto in realtà dallo stesso
Warburg con la semplice collaborazione di Untermeyer, ma encomiato dalla stampa
oligarchica come equilibrata alternativa democratica al piano dell’oligarchico
Aldrich, istituiva proprio una banca centrale sotto diverso nome e sotto il
controllo stretto del Money Trust: la Federal Reserve Bank
sarebbe stata proprietà di azionisti privati che avrebbero usato la fiducia e
il credito del governo statunitense per il loro profitto, che in contrasto con
l’art. 1 della Costituzione avrebbero controllato il denaro e il credito della
nazione, che avrebbero creato e distrutto denaro e finanziato il governo in tempo
di guerra. Non a caso l’Owen-Glass Federal Reserve Act fu accolto con
entusiasmo dall’Associazione dei banchieri americani.
Il 23 dicembre, dopo scarso dibattito, l’Owen-Glass Bill
fu approvato da un Congresso mezzo vuoto per le vacanze di Natale; un’ora dopo
l’approvazione il presidente Woodrow Wilson, lui stesso una nuova creatura di
Morgan, appose la sua firma e lo rese esecutivo.
Il Federal Reserve System fu costituito come una
banca centrale indipendente dallo Stato. Sebbene il presidente degli Stati
Uniti avesse il potere di nominarne il presidente e i governatori e le nomine
dovessero essere approvate dal Senato, erano i presidenti delle 12 banche
private della Reserve a controllare il sistema (e nessuno era più potente
del presidente della Federal Reserve di New York, primus inter pares);
infatti la legge prescriveva che le decisioni della Federal Reserve
non dovevano essere ratificate dal presidente degli Stati Uniti o in generale
dall’esecutivo o dal Congresso. La Federal Reserve Bank di New York e i
suoi direttori – i nomi più importanti di Wall Street – avevano potere totale
sulle politiche monetarie. La clausola che i capitali non detenuti dalle banche
affiliate non avrebbero avuto potere di voto garantiva che nessun estraneo
comprasse quote della Federal Reserve e ne faceva un club rigorosamente
riservato agli oligarchi, che con il potere di creare e distruggere moneta
potevano determinare periodi di espansione e periodi di recessione – potere che
usarono con una violenza maggiore di quanto avessero fatto i singoli banchieri
nell’Ottocento. Alle interruzioni delle espansioni economiche si diede anche la
veste pseudo-scientifica della teoria dei “cicli economici”, come se fossero
fenomeni naturali inevitabili.
La nuova Federal Reserve permise alle banche private, in
particolare a Morgan e ai suoi alleati, di correre rischi fino a quel momento
inimmaginabili; le loro scorribande erano ora sostenute dalla fiducia e dal
credito del governo degli Stati Uniti e dei suoi contribuenti ignari. La sua
prima prova sarà la richiesta di enormi crediti avanzata dall’Inghilterra e
dalla Francia per finanziare la loro guerra contro la Germania e
l’Austria-Ungheria.
[1] Il
presente articolo elabora il terzo capitolo di F. William Engdahl, Gods
Of Money, edition.engdahl, Wiesbaden 2009.
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