(Riceviamo da Paolo di Remigio e volentieri pubblichiamo questo articolo, che appare anche su "Appello al Popolo". M.B.)
La tristezza della
scuola pubblica
Paolo Di Remigio
La scuola pubblica continua a subire lo smantellamento
avviato dall’alto sotto il vessillo dell’innovazione didattica. Che questa
innovazione copra un piano distruttivo programmato a freddo è implicito nel
fatto che la si intende come fine assoluto: nella scuola pubblica attuale non
si innova per migliorare, si innova per
innovare; dunque l’innovazione la peggiora; e questo peggioramento non è
una conseguenza imprevista, ma parte dello sforzo neoliberale di distruzione del
settore pubblico.
La persona normale, abituata alla docilità e che preferisce
fare da sola anziché dare ordini, non concepisce che esista un’élite abituata a
comandare e preoccupata di conservarsi al comando. Questa preoccupazione è però
la chiave per comprendere ciò che accade nel mondo e che infine si riflette
anche nella scuola: l’impero anglosassone annaspa sotto il peso di un’economia
allo sfacelo e delle conseguenze di una geopolitica delirante; i suoi movimenti
scomposti con cui si sforza di non essere risucchiata nelle retrovie della
storia suscitano inaridimento culturale, miseria materiale, migrazioni, guerre,
mentre il suo apparato propagandistico – non solo i media: tutto l’attuale ceto
politico europeo è ridotto a questo ruolo – è mobilitato per imprimere nella
mente di tutti che la guerra è attuazione di democrazia, la migrazione
esercizio di diritti, la miseria materiale è razionalità economica,
l’inaridimento culturale creatività.
La scuola pubblica deve adeguarsi all’inaridimento, rinunciare
alla cultura e alla scienza, limitarsi a una triste creatività da ospizio. Non
manca il tentativo di farne un’appendice della propaganda. Il linguaggio della
‘Open Society Foundations’ ammicca di continuo tra le circolari e cerca di farsi
passare per luogo comune: agli alunni che non si avvalgono dell’insegnamento
della religione cattolica si propongono corsi alternativi sui ‘diritti umani’;
ai neoassunti si richiedono approfondimenti sui temi della ‘cittadinanza
globale’ – qualunque cosa possa significare una roba del genere – e dello
‘sviluppo sostenibile’; ai docenti e ai dirigenti si propongono corsi di
aggiornamento sulla ‘competenza interculturale’. Evidente il tentativo
neoliberale di trasformare in verità, a forza di ripetizioni ossessive, l’assurdità
che possano esservi diritto e vita umana senza Stato. Dalla diffusione di
questa menzogna ci si ripromette di alimentare la passività di fronte allo
smantellamento degli Stati europei sotto i colpi disperati dell’imperialismo
anglosassone.
Ma c’è qualcosa di ancora più triste della riduzione della
scuola a organo di propaganda: l’imposizione dei compiti impossibili, sulla cui natura anche il professore più
ottusamente ‘di sinistra’ comincia ormai a perdere le illusioni. Come a Dachau
gli aguzzini ordinavano ai prigionieri di disporre in ordine di grandezza i
sassolini del piazzale con lo scopo di spezzare la loro resistenza psichica, la
legge della ‘buona scuola’, dettata a Renzi dalle élite europee che a loro
volta obbediscono ai poteri atlantici, ha imposto ai docenti due compiti
impossibili: la scuola-lavoro e i corsi secondo metodologia CLIL.
L’impossibilità della scuola-lavoro si situa a diversi
livelli. Innanzitutto è un’impossibilità teorica
per i licei, che sono finalizzati non all’attività professionale, ma allo
sviluppo delle abilità astrattive necessarie allo studio universitario;
obbligare i docenti a trovare per i loro alunni lavori attinenti al corso di studi è metterli di fronte al sicuro
fallimento: non c’è nessun lavoro particolare attinente alle versioni di greco
e di latino, al calcolo integrale e al metodo dialettico-speculativo. Un
effetto della legge non può dunque essere altro che gettare nella disperazione
i professori, costringerli a stravolgere ogni criterio di giudizio: a
disprezzare cultura e scienza che per la loro teoricità non consentono
immediate applicazioni professionali e a guardare con invidia la manualità. In
secondo luogo per tutti gli istituti la
scuola-lavoro si risolve in una impossibilità pratica: è impresa disperata
trovare un numero sufficiente di aziende che vogliano o siano in grado di offrire
un percorso minimamente qualificato agli
alunni delle tre classi terminali di tutte scuole superiori italiane. Da questa
disperazione germogliano rimedi di ogni sorta, non da ultimo quello di creare
percorsi di scuola-lavoro a pagamento. Un sociologo aveva annunciato l’avvento
del lavoratore che non vuole la retribuzione; la realtà lo ha già superato: con
la scuola-lavoro è il lavoratore a retribuire l’imprenditore pur di lavorare. L’impossibilità
teorica e quella pratica non devono però far dimenticare una impossibilità più
profonda (direi: più ripugnante) annidata nel suo stesso concetto. Il lavoro, per sua natura, non produce soltanto abilità a
chi lo pratica, ma anche un risultato utile, qualcosa da consumare, in generale
una retribuzione. La scuola-lavoro ha introdotto in Italia il
lavoro non-retribuito – nel perfetto silenzio dei sindacati che, come non
avvertono la concorrenza del lavoro dei migranti al lavoro degli italiani, così
non avvertono la concorrenza che il lavoro non retribuito degli studenti fa ai
lavoratori. Eppure circola la notizia che certi Autogrill in autostrada abbiano
fatto posto agli scolari-lavoratori a danno dei lavoratori retribuiti – evento
non impossibile se si pensa alla scandalosa precarietà che le riforme del
mercato del lavoro, approfittando dell’opportuna crisi, hanno consentito in
Italia.
Il secondo compito impossibile delle scuole italiane è
l’introduzione della metodologia CLIL, ossia dell’insegnamento in lingua
straniera di una o più discipline diverse dalla lingua straniera. A parte il
fatto che introdurre la metodologia con alunni ormai adulti e dall’apparato
fonatorio definitivo è quanto meno intempestivo, si pone la difficoltà ben più
corposa della mancanza di docenti che possano insegnare la loro disciplina in
lingua diversa dalla loro. Dopo la loro esposizione prolungata ai virus
dell’autorazzismo, gli insegnanti non vivono questa difficoltà come un caso
clamoroso di irresponsabilità legislativa o, forse con più realismo, come uno
strumento di sabotaggio intenzionale della didattica della scuola pubblica, ma
come una loro mancanza, come se
qualcuno li avesse preparati da giovani a fare lezione in inglese ed essi
avessero colpevolmente dimenticato tutto col passare degli anni. Pronti ad
adottare qualunque rimedio perché non emerga un’impossibilità di cui si sentono
colpevoli, si riducono a offrire a un’intera generazione di alunni lo
spettacolo avvilente di professionisti che scavano
a mani nude: un insegnante che non conosce la lingua si combina con un insegnante
che non conosce la disciplina; il dimezzamento dell’orario e le ovvie
difficoltà di coordinamento portano al risultato degli alunni che ignorano e la disciplina e la lingua.
Non è un bello spettacolo: gli alunni si abituano a
disprezzare gli insegnanti, il loro conformismo autolesionistico, la loro
inutilità e si ritraggono inorriditi dall’idea di abbracciare la professione –
tanto che già oggi si fatica a trovare docenti per certe cattedre. Il danno più
grave è che essi non hanno fonti scientifiche e culturali diverse dal loro
insegnante: il docente di una disciplina è
la disciplina e come rispettandola e amandola la fa rispettare ed amare così
disprezzandola la rende spregevole ai suoi discenti.
Educhiamo una generazione di incolti che paga per lavorare.
sintesi perfetta.
RispondiEliminaSpero non ti sia sfuggita questa, Paolo. E uno che pensava di averle viste tutte.
RispondiEliminaAvevo già scritto...Ma é partito. In breve: in molte scuole ci manca solo che ti sputino addosso, pseudo-studenti e genitori di pari livello. Anche al liceo, in fondo gestisci alla meglio scolaresche da scuole medie inferiori di un tempo. Lodevoli eccezioni a parte. Il pensiero unico politicamente corretto nasconde il DISAGIO GRAVE e concretissimo di chi siede dietro la cattedra.Alla casta PIDIOTA che volete che gliene freghi ? Alle Fedeli e al suo tirapiedi Faraone ? Fronte Sovranista: fatti vivo e dacci una mano. Grazie.
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