Perché
distruggere la scuola pubblica?
Paolo Di Remigio
La vicenda
della scuola pubblica italiana va inserita nella vicenda
della repubblica: l'Italia
è uno Stato non ancora emancipato dalla sconfitta nella seconda
guerra mondiale, dunque a sovranità più o meno strettamente
limitata dalle potenze vincitrici, cioè dagli Stati Uniti e dalla
Gran Bretagna. Negli anni '90 la sua classe dirigente, abituata a
un'ampiezza
di movimento non più compatibile con i progetti neoconservatori
statunitensi di impero globale, è stata liquidata e sostituita da
avventizi alle dirette dipendenze dei poteri globali, che hanno
occupato tutti i posti di gestione, dallo Stato alle banche, dai
partiti ai sindacati, dai giornali ai pulpiti. Compito di questi
proconsoli era la rinuncia a ogni sovranità dello Stato e
l'attuazione
di politiche economiche neoliberali; di qui l'adesione
cieca alle più folli geopolitiche anglo-americane e la
partecipazione autolesionistica al progetto europeo. Nel nome delle
regole europee è stata smantellata l'economia mista; le imprese
pubbliche che avevano portato l'Italia a diventare una delle maggiore
potenze industriali sono state privatizzate; è stata ridotta la
spesa pubblica; i servizi offerti dallo Stato sono diventati sempre
più inefficienti e costosi per i cittadini; le pensioni così
ridimensionate da dover essere integrate con la previdenza privata,
le file d'attesa
agli ospedali così lunghe da costringere a ricorrere alla sanità
privata oppure a rinunciare a curarsi, la scuola pubblica così
dequalificata da aprire la prospettiva di un'offerta
di istruzione privata.
Lo Stato
minimo implica la scuola minima. La scuola minima è quella che
include, diverte, non
istruisce.
Se istruisse non ci sarebbe spazio per la scuola privata e questo
offende il primo articolo di fede dell'ideologia neoliberale: la
superiore efficienza dell'impresa privata rispetto all'impresa
pubblica. Modello delle politiche scolastiche europee è diventato
così il sistema educativo anglosassone che combina una scuola
pubblica gratuita, ma degradata al punto da dover disporre i 'metal
detector' per arginare le violenze, con una scuola privata, che
promette facile accesso al mondo del lavoro, ma costosa, per
frequentare la quale ci si può indebitare per tutta la vita – un
sistema fallimentare a parere unanime, denunciato ultimamente dal
primo ministro May e dal presidente Trump; un sistema che non può
funzionare perché la scuola privata su cui poggia trasforma in
cliente l'alunno, gli dà dunque una prevalenza sull'insegnante che
rende improponibile la severità e la fatica dell'imparare; un
sistema che però consente un imponente giro d'affari: solo se la
scuola pubblica diventa un ospizio,
può nascere una domanda solvente di istruzione qualificata, cioè
genitori disposti a pagarla per i loro figli; solo questa domanda può
sostenere un'offerta di istruzione qualificata, cioè una scuola
privata che non sia più soltanto confessionale o parassitaria della
scuola pubblica, ma che costituisca il centro nevralgico del sistema
di istruzione.
Questa
operazione è stata condotta dapprima in Francia: "Nel campo
dell'istruzione ... è la Francia ... che nel corso degli ultimi tre
decenni ha subito i cambiamenti più rilevanti rispetto a un sistema
originario pubblico centralizzato, gratuito e marcatamente
meritocratico. A seguito delle leggi sul decentramento del 1982 e del
1983, il peso dello Stato nel finanziamento della spesa complessiva
per l'istruzione è sensibilmente diminuito a favore di quello degli
enti territoriali. ... Insomma, con l'indebolimento dell'istruzione
pubblica nel corso degli ultimi decenni, il peso dell'istruzione
privata è incontestabilmente aumentato in Francia a tutti i livelli
del sistema educativo insieme alla posizione delle scuole private
nella gerarchia qualitativa degli istituti e all'incidenza delle
spese per l'istruzione sui bilanci delle famiglie. I livelli
crescenti di disoccupazione, aumentando la concorrenza tra i giovani
per l'accesso all'impiego, hanno contribuito all'espansione della
domanda, quindi dell'offerta, di servizi di istruzione privati: il
ricorso da parte di alcuni a una preparazione privata migliore o
supplementare costringe gli altri ad allinearsi, al costo di doversi
indebitare ... Nelle parole di un docente ... di un prestigioso liceo
parigino: 'Un'offerta privata diversificata e di buon livello è
esplosa nel corso degli ultimi anni in risposta al degrado del
servizio pubblico sempre più a corto di soldi'."1
La
comparazione tra l'esperienza
francese e quella italiana mostra che sul livello qualitativo della
scuola pubblica incide, ancora più della riduzione dei
finanziamenti, il decentramento
scolastico. L'operazione
che in Italia umilia la scuola pubblica col fine ultimo di promuovere
a centro d'eccellenza la scuola privata, come sappiamo, è
l'autonomia scolastica, realizzata dapprima con abilità, cioè con
lentezza condita di orpelli pseudo pedagogici per nascondere il fine
maligno, infine con un'accelerazione
che ha svelato la natura autoritaria dell'operazione.
Il suo carattere saliente è l'eliminazione dei programmi con preciso
spessore scientifico-culturale e fissati per legge, e la loro
sostituzione con ‘indicazioni’ su cui prolifera una
'progettualità autonoma' e incontrollata delle singole scuole o,
peggio, dei singoli insegnanti: gli alunni non devono avere più
queste
conoscenze, queste
abilità, ma devono essere coinvolti come protagonisti in attività
progettate da insegnanti animatori.
Il controllo della validità formativa delle attività è attuato a
livello di procedura
non a livello di risultato,
perché questo è determinato ad arbitrio dell'insegnante o
dell'istituto,
e consiste in ‘competenze’ generiche slegate dai contenuti
disciplinari.
Le
definizioni fumose e inconcludenti delle competenze sono rivelatrici
delle intenzioni nichiliste di chi ha riformato la scuola pubblica
negli ultimi vent’anni2.
M. Ambel
si esprimeva così: «Per competenza si intende, in un contesto dato,
potenzialità o messa in atto di una prestazione che comporti
l’impiego congiunto di atteggiamenti e di motivazioni, conoscenze,
abilità e capacità e che sia finalizzata al raggiungimento di uno
scopo»3.
Appena sfoltito il ginepraio verboso, ci si accorge subito della
scorrettezza della definizione: abilità
e capacità
sono sinonimi di competenza;
ne risulta che la competenza consiste nell'impiegare la competenza.
Ci riprovò il Forum delle
Associazioni disciplinari,
e partorì questa definizione: «Ciò
che, in un contesto dato, si sa fare (abilità) sulla base di un
sapere (conoscenze), per raggiungere l’obiettivo atteso e produrre
conoscenza; è quindi la disposizione a scegliere, utilizzare e a
padroneggiare le conoscenze, capacità e abilità idonee, in un
contesto determinato, per impostare e/o risolvere un problema dato»4.
Chiusi gli occhi sulle goffaggini della prima parte con il suo
ricorso illecito ad abilità
che è sinonimo di competenza
e con la sventatezza di ridurla a un produrre conoscenza, la seconda
parte, effettivamente esplicativa, fa nascere la domanda del perché
non si sia scritto semplicemente che competenza è il
possesso di strumenti teorici per risolvere problemi.
La risposta è che queste definizioni vogliono distruggere
l'esistente
senza
costruire il nuovo. Se si definisse competenza
in modo semplice e adeguato, ogni insegnante vedrebbe che ha sempre
insegnato competenze: competenze linguistiche, logiche, matematiche,
estetiche. Per quanto sfugga ai pedagogisti perseguitati dalle manie
classificatorie, nessuna conoscenza scolastica è infatti una nuda
informazione; perfino quelle storiche vertono su singolarità
esemplari,
che costituiscono cioè modelli, quindi strumenti da applicare oltre
il loro contesto, per comprendere situazioni in generale. La
semplicità della definizione avrebbe dunque confortato la prassi
didattica nelle scuole italiane, forse l'avrebbe
addirittura migliorata, inducendo gli insegnanti a preoccuparsi
dell'universalità
delle conoscenze proposte, dunque della loro portata applicativa,.
Evidentemente non si voleva aiutare gli insegnanti, li si voleva
confondere perché diventassero insicuri della loro didattica, perché
non offrissero resistenza alla sua liquidazione. Insomma, la
programmazione per competenze è stata la maniera subdola per
invitare gli insegnanti pubblici
a fare di tutto pur di non insegnare nulla.
La 'Buona
scuola' della Giannini è stata un'accelerazione
che ha reso evidente lo spirito dell'operazione senza più giri di
parole. Essa impone attività evidentemente impossibili, dunque
distruttive della didattica: la scuola-lavoro nei Licei che li
trasforma in istituti professionali e conserva contraddittoriamente
il livello teorico delle discipline; impone la metodologia CLIL, cioè
l'insegnamento di una materia in lingua straniera, senza
che ci siano insegnanti in grado di farlo; premia gli insegnanti
valutandone il merito non in base ai risultati didattici, ma alle
certificazioni delle attività extracurricolari svolte e alle novità
improvvisate. Lo strumento più estremo di dequalificazione è però
la fine della valutazione. Non soltanto nella scuola dell'obbligo
non è più consentito bocciare, in ogni ordine e grado la bocciatura
è considerata dai quadri superiori dell'amministrazione
scolastica come un'inadempienza
della scuola.
Questa concezione potrebbe essere giusta se ogni studente fosse
aiutato a frequentare la scuola congeniale ai suoi gusti e adeguata
alle sue capacità, e in caso di errore potesse cambiare istituto; ma
nel contesto dell'autonomia
acquista una portata devastante. L'autonomia,
infatti, mette in concorrenza tra loro gli istituti scolastici e li
spinge ad incrementare con tutti
i mezzi del più volgare marketing
la loro utenza per evitare di essere accorpati o di sparire. Poiché
il fine è di aumentare le iscrizioni e raggiunto il numero di
conservarle, le scuole evitano in tutti i modi di individuare nei
primi anni gli alunni non motivati o non in grado di frequentare i
loro corsi per orientarli verso altri tipi di scuola, e pur di
conservarseli preferiscono ridurre al nulla la didattica e
falsificare le valutazioni. L'amministrazione
centrale viene loro incontro imponendo una normativa sui ‘bisogni
educativi speciali’ per cui qualunque difficoltà di apprendimento
può ricevere da una diagnosi medica il diritto all'elaborazione
di un percorso didattico semplificato, che porta comunque al
conseguimento del normale diploma. In questo modo la scuola pubblica
è diventata l'ospizio
a cui le concezioni neoliberali la destinavano e i suoi diplomi
attestati di frequenza.
Tutto quello
che la scuola italiana ha subito e che tanti hanno rilevato con
perplessità, non è il frutto di generose per quanto confuse volontà
pedagogiche o sociologiche di miglioramento della didattica, ma
l'effetto di una volontà consapevole di distruzione della scuola
pubblica
per generare domanda solvibile di istruzione privata. E se abbiamo il
dovere di usare i termini giusti per le cose, dobbiamo dire che una
classe dirigente, quella che confessa apertamente di perseguire non
l'interesse dei suoi elettori, cioè degli Italiani, ma quello
dell'Europa5,
cioè dei burocrati dipendenti dalle pressioni dei poteri
transnazionali, come ha tradito l'Italia, ha tradito la scuola
pubblica italiana: ne ha provocato il degrado scientifico e culturale
così da privarla a priori
di ogni autorevolezza di fronte ad alunni e a genitori, umiliando gli
insegnanti a svolgere compiti di animazione e creando una generazione
di semianalfabeti. Dispiace constatare che gli attori principali del
tradimento siano stati i governi di 'sinistra'; ma non stupisce: dal
'Manifesto comunista' del '48 la sinistra è convinta che la società
sia una guerra civile ora occulta ora manifesta; per questo i suoi
adepti sono i più indifferenti ai valori dello Stato e delle
istituzioni che garantiscono i diritti e i più sensibili al canto
delle sirene del cosmopolitismo neoliberale.
La lotta per
l'istruzione
pubblica ha però importanti prospettive. Come lo smantellamento
degli strumenti con cui lo Stato interviene nell'economia, anziché
stimolare lo sviluppo, il benessere e la civiltà, provoca crisi,
miseria e barbarie, così la distruzione della didattica della scuola
pubblica non migliora l'istruzione,
ma la rende più che mai classista e culturalmente miserevole.
L'epoca del neoliberalismo sfrenato volge alla fine. Questo, più che
la consapevolezza degli insegnanti sulla degradazione che hanno
subito, dà elementi di speranza. La rinascita non può però
avvenire senza l'impegno soggettivo di illuminazione delle coscienze.
Si tratta dunque di smascherare tutto ciò che è accaduto nella
scuola dagli anni '80 in poi interpretandolo alla luce del progetto
di privatizzazione della società, di constatarne le conseguenze
devastanti, di ripudiarlo, tenendo ferma la necessità di una scuola
pubblica che offra a tutti, secondo le loro capacità intellettuali,
la preparazione teorica e che conservi al suo interno l'istruzione di
eccellenza per tutti i meritevoli a prescindere dalle condizioni
sociali di provenienza.
1
Barba-Pivetti, La
scomparsa della sinistra in Europa,
Imprimatur, 2016, pp.163 sgg.
2
Traggo le due citazioni successive da
http://www.mondadorieducation.it/Mondadori-Education/MeandYou/Insegnare-programmare-e-valutare-per-competenze
.
3
In «Progettare
la scuola», n. 3, 2000, p. 32.
4
In «Progettare la scuola», n. 4, 2000,
p. 42.
5
Così cinguettava l'ex Presidente del Consiglio: «Nostre battaglie
in UE non erano per l'interesse dell'Italia, ma perché ritenevamo
fossero interesse dell'Europa». Cfr.
https://twitter.com/pdnetwork/status/747357069586608128?lang=it
Problema.
RispondiEliminaUn mercante compra due pezze di tela della stessa lunghezza per lire 553, ma la prima gli costa lire 12,30 il metro, la seconda lire 3,50 al metro. Quanto era lunga ogni pezza?
Questo problema è tratto pari pari da un libro del 1905, destinato agli alunni della IV elementare del Regno d'Italia.
Il quaranta per cento degli studenti esaminati a una recente prova scritta di Matematica Generale per il primo anno dell'università non lo ha saputo risolvere.
Identico risultato con il problema seguente.
Mille decimetri cubi di olio di oliva contengono una massa di circa 0,915 tonnellate. Calcolare quanti kg di olio di oliva sono contenuti in un fusto cilindrico alto 75 cm avente una base di raggio 350 mm, scrivendo il risultato con due cifre decimali dopo la virgola.
La lettera aperta dei 600 professori universitari dimostra che la scuola dell'autonomia ha vinto la battaglia dichiarata alla grammatica. Nell'occasione il 'Corriere della sera', uno dei complici più servizievoli di chi ha perpetrato lo scempio dell'Italia, ha offerto un piccolo manuale sui più comuni dubbi ortografici, rivelando così di concepire la grammatica come ortografia. Ma la grammatica è anche e soprattutto analisi logica della frase e del periodo, è dunque il primo fondamentale approccio alla logica, cioè al pensiero. Poiché le riforme hanno impedito agli insegnanti di sviluppare le competenze logiche degli alunni, poiché li hanno spinti ad abbandonarli alla loro creatività, non solo sono scomparse le arti della lettura e della scrittura, la matematica è diventata un territorio inesplorabile. Quanto accade non è una cifra del destino del mondo, né è un effetto dell'ignoranza e della pigrizia degli insegnanti, ma il risultato perseguito da chi ha riformato la scuola per incrementare l'ignoranza e dissipare nel nulla le energie - da Berlinguer a Fedeli.
RispondiEliminaAssolutamente d'accordo con l'analisi e con i successivi commenti. È davvero doloroso mettere al mondo dei figli e poi affidarli alle "cure" di questi intrattenitori di bassa lega. Credo, inoltre, che ormai non ci sia più margine per la riforma dell'istruzione pubblica. Parlo di riforma nella vera accezione del termine, non come sinonimo di controriforma (Berlinguer, De Mauro, Moratti e via peggiorando). Bisogna prima distruggere e poi, con calma, ricostruire. Ma questo, ovviamente, non vale solo per la scuola.
RispondiEliminaUn bellissimo articolo, uno di quelli che quando arrivi alla fine capisci di avere imparato qualcosa che prima non sapevi, complimenti; speriamo che gli Insegnanti lo leggano e lo comprendano.
RispondiEliminaSiamo allo SFACELO PURO! Ormai un liceo si reclamizza lanciando la "corsa colorata" (run color, ovviamente in inglese) con gli studenti che si spruzzano vernici...atossiche, spiega il preside. Perché gli psicologi hanno verificato che questo...piace tanto agli adolescenti...Cosa ve ne pare ?
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