Due interessanti analisi sul futuro del capitalismo:
http://francosenia.blogspot.it/2016/10/il-futuro-del-capitalismo-e-gia-passato.html
http://francosenia.blogspot.it/2016/10/non-una-lacrima-per-il-capitalismo.html
Pagine
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sabato 29 ottobre 2016
martedì 25 ottobre 2016
Il tranello americano
Mi capita spesso di trovarmi d'accordo con le analisi di "Militant", come in questo caso:
http://www.militant-blog.org/?p=13697
Poi loro sperano nella "sinistra di classe", e questo ovviamente ristabilisce un certo distacco.
http://www.militant-blog.org/?p=13697
Poi loro sperano nella "sinistra di classe", e questo ovviamente ristabilisce un certo distacco.
lunedì 24 ottobre 2016
domenica 23 ottobre 2016
martedì 18 ottobre 2016
Conflitti interni ai ceti dominanti
Monti vota NO al referendum. Si possono leggere le considerazioni di Mazzei:
http://sollevazione.blogspot.it/2016/10/se-anche-monti-vota-no-di-piemme.html
Non c'è bisogno di dire che fra Renzi e Monti riesce difficile scegliere il peggiore.
http://sollevazione.blogspot.it/2016/10/se-anche-monti-vota-no-di-piemme.html
Non c'è bisogno di dire che fra Renzi e Monti riesce difficile scegliere il peggiore.
sabato 15 ottobre 2016
Il bavaglio
Segnaliamo un comunicato del Fronte Sovranista Italiano che tocca un argomento importante
http://appelloalpopolo.it/?p=23893
http://appelloalpopolo.it/?p=23893
venerdì 14 ottobre 2016
Una farsa istruttiva
Largamente condivisibile l'intervento di Leonardo Mazzei:
http://sollevazione.blogspot.it/2016/10/la-direzione-del-pd-una-farsa-molto.html
Mi permetto di sottolineare in particolare due passaggi:
"Quel che Renzi sta cercando di condurre in porto è l'affermazione del PD (...) come l'architrave imprescindibile di un regime sempre più autoritario".
"Il referendum del 4 dicembre segnerà in ogni caso uno spartiacque nella storia nazionale".
http://sollevazione.blogspot.it/2016/10/la-direzione-del-pd-una-farsa-molto.html
Mi permetto di sottolineare in particolare due passaggi:
"Quel che Renzi sta cercando di condurre in porto è l'affermazione del PD (...) come l'architrave imprescindibile di un regime sempre più autoritario".
"Il referendum del 4 dicembre segnerà in ogni caso uno spartiacque nella storia nazionale".
venerdì 7 ottobre 2016
Riflessioni su Foucault (P.Di Remigio)
Riceviamo e pubblichiamo molto volentieri questo articolo su Foucault di Paolo Di Remigio. (M.B.)
Foucault
e il liberalismo.
La
sinistra è stata colta di sorpresa dal neoliberalismo; anziché
riconoscerlo come un programma criticabile, lo ha scambiato per una
svolta storica già accaduta, a cui rassegnarsi, a cui anzi i suoi
capi hanno prestato i propri servizi in modo da averne la piccola
ricompensa. Il grande merito delle lezioni del 1978-79 di Michel
Foucault al Collège de France1
è di avere colto la natura di programma del neoliberalismo,
rintracciandone la doppia radice nell'ordo-liberalismo tedesco della
scuola di Friburgo degli anni ’20 e nel successivo
anarco-liberalismo americano della scuola di Chicago, e narrandone
con grande accuratezza la storia. Chi leggesse il libro potrebbe
riconoscere nelle vecchie idee ordo-liberali non solo i principi
ispiratori dell'Unione Europea, ma la sua stessa retorica;
l'espressione «economia sociale di mercato», infine scivolata nel
trattato di Lisbona, è stata coniata là, in polemica con l'economia
keynesiana; l'adorazione ordo-liberale della concorrenza si è
insinuata nel trattato di Lisbona come definizione della natura
fortemente competitiva dell’Unione Europea2;
la stessa idea di reddito di cittadinanza che trasforma la
disoccupazione in occupabilità dei lavoratori ha la sua
genesi nella scuola di Friburgo. Dall'anarco-capitalismo americano è
invece influenzato, più che il moralismo europeista della
competitività, il capitalismo post-keynesiano in generale, che
pretende di fare dell'individuo, qualunque sia la sua condizione, un
imprenditore, e della sua attività, qualunque essa sia, un'impresa3.
Non
è il caso di riassumere il lavoro di Foucault: meglio leggerlo, anzi
studiarlo, per trarne il quadro dell'ideologia neoliberale nella sua
ossessiva pervasività; è invece il caso di chiedersi perché mai il
libro non sia diventato né un segnale d'allarme né un'arma di lotta
politica. La risposta può essere anticipata subito: Foucault
condivide con il neoliberalismo e con il marxismo il suo presupposto
più interno: l'identità di libertà e natura, ossia la
concezione che la libertà sia una proprietà originaria
dell'individuo fuori dal contesto politico, determinato cioè
come naturale. Perché la sua indagine avesse risonanza politica,
Foucault avrebbe dovuto esporre il neoliberalismo confrontandosi a
fondo con la natura dello Stato, mettendo in questione non solo il
liberalismo, ma lo stesso Marx, risalendo quindi a Hegel.
L'identità
di libertà e natura detta a Marx un'utopia della società civile. Se
nella «Questione ebraica» egli l'ha concepita come realtà ultima
del mondo etico, come struttura scissa, dilaniata dalla lotta
tra le classi che pone in contrasto individuo e società, la scelta
decisiva del suo materialismo storico è aver concepito il
superamento di questo contrasto, la conciliazione reale come
risultato del movimento interno della società civile:
sviluppando il sistema dei bisogni essa è già arrivata a un
livello di produttività che rende virtualmente superfluo lo
sfruttamento e la lotta di classe; il socialismo, coscienza di questa
superfluità, è anche la fine della lotta di classe, è la società
civile conciliata, l'individuo che ha nell'altro non più il suo
limite, ma la certezza di se stesso.
Con
tutto questo Marx non solo accetta una contraddizione: la
conciliazione reale è una conciliazione sperata, cioè irreale;
ma nel contempo rompe con Hegel, per il quale la società civile è
l'eticità essenzialmente estraniata da se stessa, cioè preda
di una conflittualità che nessun moto interno può comporre, la cui
negazione comporta perciò la negazione della società civile stessa,
ossia lo Stato. In questo pensiero Marx e con lui l'interno Novecento
filosofico hanno visto soltanto una mistificazione. A questa loro
valutazione sfugge però ciò che Hegel effettivamente intende, ossia
che la composizione della società civile è reale soltanto
sulla base dall'ostilità esterna: il conflitto della società civile
è realmente domato dallo Stato non per un suo arcano potere
magico, ma perché deve fronteggiare il rapporto potenzialmente
ostile con altri Stati4.
In una parola: è l'eventualità della guerra che smussa il conflitto
di classe e trasforma in Stato la società civile realizzandovi la
conciliazione che in essa è eternamente potenziale; è
l'esigenza di sovranità verso l'esterno che fonda la sovranità
verso l'interno, che cioè impedisce il radicalizzarsi della
differenza tra le classi, tra gli individui; ed è questa intima
connessione tra sovranità interna e sovranità esterna – non certo
un cedimento a impulsi crudeli5
–, che induce Hegel a riconoscere l'eticità della guerra.
Marx,
come del resto tutto il pensiero che potremmo definire ‘progressivo’,
nel quale rientrano il liberalismo e lo stesso Foucault, non ha
sensibilità per la guerra: la considera un epifenomeno del conflitto
di classe, destinato a volatilizzarsi con il socialismo, non
un'implicazione necessaria dell'essere individuale, che nel
suo stesso concetto è respingere l'altro, sua soppressione6
– su questo punto egli è lontanissimo dal realismo politico
iniziato da Machiavelli. Il pensiero ‘progressivo’ che dichiara
la nullità dell'universale a vantaggio dell'essere individuale, si
imprigiona nel contempo in un concetto edulcorato
dell'individualità: l'individualità non individuale, ma universale,
non respingente ma comunicativa, per cui i molti individui
sono una naturale attrazione reciproca e l'umanità è essenzialmente
pacifica. Di fronte all'immagine di questa individualità già
pacifica per sua natura, lo Stato, la cui prima funzione è fare
della moltitudine internamente repulsiva degli individui un
individuo, pacificarla, per metterla in grado di fronteggiare altre
società altrettanto individualizzate, appare l'origine unica della
violenza, che scomparirebbe con la sua scomparsa. In altri termini,
il pensiero ‘progressista’ sottrae all'individuo la sua
repulsività accollandola allo Stato e, con una coerenza che sfida il
senso della realtà, intravede nella fine dello Stato il trionfo
della pace.
giovedì 6 ottobre 2016
L'essenziale su Benigni
Giorgio Cremaschi dice l'essenziale sulle ultime uscite di Benigni
http://sollevazione.blogspot.it/2016/10/benigni-un-buffone-di-regime-di-giorgio.html
http://sollevazione.blogspot.it/2016/10/benigni-un-buffone-di-regime-di-giorgio.html
mercoledì 5 ottobre 2016
Paolo Di Remigio sulla riforma costituzionale
(Un breve intervento dell'amico Di Remigio sulla riforma. M.B.)
Nessuno
parla peggio della riforma costituzione di chi le è a favore. Per
elogiarla dice che accelererà i processi decisionali. Le decisioni
si prendono però dopo 'matura' riflessione e, a meno che non si sia
sul campo di battaglia, la decisione rapida è sempre quella
sbagliata. Il bicameralismo aveva questo fine, rallentare il processo
decisionale affinché il suo risultato fosse ben ponderato: la
lentezza è la virtù di chi sa decidere. Sostenere poi che i
problemi attuali dell'Italia siano
un effetto del 'ping-pong' tra le due Camere è quanto meno
avventato. Più probabile il contrario: i nostri problemi vengono
dall'irresponsabilità con cui un intero ceto dirigente ha deliberato
senza ben capire cosa stesse facendo e senza riflettere sulle
conseguenze, in fiduciosa obbedienza alle direttive della grande
finanza bancarottiera. Così hanno firmato il trattato di Maastricht
senza riflettere che il cambio fisso avrebbe cancellato la nostra
competitività e che i suoi parametri ci avrebbero condannato
all'austerità, hanno introdotto il pareggio del bilancio pubblico
senza pensare che esso vanificava l'impegno della Repubblica per la
piena occupazione; hanno votato la 'Buona scuola' senza indagare sui
danni già provocati dall'autonomia e il Jobs Act trascurando che
avrebbe depresso la domanda in un contesto di domanda già depressa.
La rapidità è la virtù di chi deve soltanto eseguire ordini.
domenica 2 ottobre 2016
sabato 1 ottobre 2016
Grande giornalismo d'inchiesta
Poi si stupiscono del discredito che colpisce la categoria dei giornalisti.