Pagine

domenica 4 settembre 2016

Qualche osservazione sull'intervento di Cesaratto (P.Di Remigio)


(Riceviamo e volentieri pubblichiamo uno scritto di Paolo Di Remigio a proposito dell'intervento di Cesaratto che abbiamo segnalato sul blog. M.B.)


L'intervento di Cesaratto, «Il proletariato (non) ha nazione …»1, largamente condivisibile, anzi illuminante in molti punti, nella sua prima parte non sembra spingere abbastanza in profondità la critica della sinistra e forse anche questo contribuisce a rendere oggi, come scrive lo stesso Cesaratto, «maledettamente difficile» la «prospettiva politica di cambiamento».
Un primo eccesso di delicatezza appare rispetto alla citazione di Gallisot: «Proprio perché la classe operaia è priva di proprietà, non è più lacerata dai limiti dell’interesse privato, diventa per ciò stesso suscettibile di solidarietà». Questa proposizione contiene un doppio, grave errore: 1. Sembra credere che la proprietà privata sia incompatibile con la solidarietà; ma nessun proprietario privato è soltanto proprietario privato; egli è anche membro di una famiglia, a cui è legato dalla più forte delle solidarietà, cioè dall'affetto; inoltre è membro di uno Stato a cui paga (in qualche misura) le tasse e presta, se necessario, servizio militare, e queste sono forme concrete della solidarietà con cui è prodotta la res publica. 2. Sembra credere che l'essere priva di proprietà renda particolarmente «suscettibile di solidarietà» la classe operaia; invece è evidente proprio il contrario, che la necessità di dover fronteggiare da una posizione debole la lotta per la vita nella società civile può solo facilitare l'assunzione di stili di vita egoistici. Gli interessi egoistici, infatti, non terminano con la proprietà privata: l'interesse a trovare un lavoro decente mette in competizione i proletari in modo più duro che i borghesi. La proposizione di Gallisot è insomma del tutto immotivata, un desiderio scambiato per realtà.
Vediamo ora cosa risponda Cesaratto. Egli ricorda giustamente che le classi operaie delle diverse nazioni sono in concorrenza a. in quanto partecipano indirettamente alla concorrenza tra i diversi capitalismi nazionali; b. in quanto sono esposti alla concorrenza dei lavoratori immigrati; ma dimentica che il salario, il prezzo della forza lavoro, si forma sulla base della concorrenza tra i lavoratori. Eppure nella stessa citazione di Marx riportata qualche riga sotto si trova una smentita indiretta del mito della solidarietà operaia: « … per poter combattere … la classe operaia si deve organizzare nel proprio paese, in casa propria, come classe …». Ossia, prima la classe operaia è una pluralità di operai in concorrenza che ha, certo, interessi comuni, ma che tuttavia non agisce secondo questi interessi comuni, che dunque restano in sé, potenziali, che possono unirla, ma non la uniscono ancora; poi questa pluralità in concorrenza rinuncia alla propria dispersione atomistica, si organizza, cioè ogni atomo diventa membro di una unità, e questa unità è la classe come classe, come realtà e non più solo semplice possibilità. Il superamento della dispersione, l'unità, non può dunque essere mai concepita come già data in natura: è sempre una costruzione intelligente e questa costruzione è stata storicamente il partito. La classe operaia si trova cioè nella medesima situazione di un popolo, che, certo, ha lingua, abitudini comuni, ma nel contempo ha interessi differenti che creano concorrenza, conflitto. Presupporre una solidarietà operaia e una conflittualità statale, attendersi da quella il superamento di questa, è uno dei pregiudizi inspiegabili in termini razionali, che paralizzano tutta l'attuale sinistra e rendono maledettamente difficili le prospettive politiche di cambiamento.
Un secondo eccesso di delicatezza nell'intervento di Cesaratto appare nel riferimento a Gellner. Secondo costui: « … l’emergere delle entità nazionali (è stato) funzionale allo sviluppo capitalistico». In effetti, però, il capitalismo non ha creato gli Stati nazionali, li ha trovati, e solo con estrema lentezza li ha piegati alle sue esigenze, peraltro non univoche ma contrastanti. Lo Stato nazionale e lo Stato moderno in generale vengono alla luce nel basso medioevo, per opera delle monarchie europee, cui la nobiltà feudale, costrettavi dalle insubordinazioni contadine, consente di esercitare un potere che prende progressivamente carattere pubblico. Questa storia autonoma dello Stato nazionale è trascurata dalla filosofia della storia marxista nella misura in cui, come vede bene Cesaratto, essa lo concepisce come falsa coscienza, evidentemente sulla fragile base della presunta naturalezza della solidarietà operaia. Occorre l'antistatalismo di von Hayek per riportare qualche marxista a una visione più equilibrata dello Stato. Anche qui però non si verifica una discussione sui presupposti. La prospettiva statale è fatta propria, controvoglia, dal marxista Davidson, in contrasto con la prospettiva delle entità sovranazionali che von Hayek auspica in odio alle politiche statali redistributive. Questa riappropriazione trascura però che le entità sovranazionali non sono nulla di nuovo sotto il sole, e hanno un nome preciso. Le entità politiche in generale sono di due specie: gli Stati, in cui virtualmente tutti godono gli stessi diritti, qualunque ne sia l'estensione; gli imperi, in cui una etnia gode di più diritti a spese delle altre. La UE non è un'entità sovranazionale hayekiana, è il nome dell'imperialismo regionale della Germania, che opera entro l'imperialismo globale statunitense. Lo svuotamento dei poteri dello Stato all'interno dell'entità sovranazionale di cui parla Hayek, tale da privare gli Stati di capacità redistributive, vale dunque non in generale, ma soltanto per le etnie assoggettate: gli operai tedeschi nella UE non vivono i drammi della disoccupazione e della povertà propri degli operai delle «entità» colonizzate – insieme alle merci la Germania ha esportato anche la disoccupazione. Proprio questo rende una stupida velleità ogni discorso sulla classe operaia europea, ogni speranza su una solidarietà cosmopolita o internazionalista tra colonizzatori e colonizzati. Così la lotta contro l'entità sovranazionale hayekiana non è che lotta contro l'imperialismo, e come tutte le lotte anti-imperialiste va condotta in nome dello Stato-nazione. Senza troppe riserve mentali.
1 Cfr. http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2016/08/il-proletariato-non-ha-nazione.html#more

1 commento:

  1. Comunque sia, a livello nazionale italiano ,non vedo ancora personalità del calibro intellettuale e morale di Rosa Luxemburg in grado di dettare le linee di azione al movimento operaio italiano, ai disoccupati , ai precari, ai giovani, ai piccoli imprenditori strozzari dalle banche ;ma vedo soltanto tante parole e tanto opportunismo, quindi da qui non si esce almeno per i prossimi 20 anni.
    E nel lungo periodo, in attesa che gli intellettuali italiani (quali?)si sveglino, saremo tutti morti , marxisti al caviale compresi

    RispondiElimina