MISERIA
DELL'EUROPEISMO
Mentre
l'estremismo islamico dispone i suoi adepti a sfidare la morte, gli
eroi del sogno europeo sfidano in questi giorni non solo la realtà,
ma perfino il ridicolo. L'europeismo è la più giovane delle
ideologie. Come tutte le ideologie, esso è un modo per santificare
con l'aureola dell'universalità interessi particolari. Ideologia
è infatti una visione che non sa staccarsi dallo spirito fazioso,
che afferma come bene un'esigenza opposta a un'altra
esigenza da annullare come male. Questo bene affermato
dall'ideologia è così la contraddizione di essere tutta la vera
realtà e di non esserlo, ma di avere il residuo del male al
di là di sé, di essere assoluto e di essere relativo.
L'ideologia risolve questa contraddizione evitando di conoscere
l'esigenza che smentisce la sua universalità e attribuendole a
priori le idee contrarie alle proprie. Le sfugge così la
risposta razionale alla contraddizione, che il bene va concepito non
come innocenza prima della caduta, ma come virtù che conosce il male
e la nullità del male; e le resta preclusa la filosofia, il
pensiero fedele al logos eracliteo, che organizza il quadro in
cui gli opposti armonizzano in una compatibilità sensata, la cui
universalità non è omogeneità, ma sistema.
L'ideologia
si presta a diventare un'arma nel contrasto sociale perché nega il
diritto del differente. Il socialismo nega il diritto del talento
particolare, il liberalismo nega il diritto dell'uguaglianza;
entrambi sfuggono al compito di organizzare la compatibilità
dell'uguaglianza con il talento, di far confluire l'égalité
e la liberté nella fraternité. Rispetto al socialismo
e al liberalismo, che hanno qualcosa di sublime in quanto l'esigenza
che fanno valere con troppa esclusività è comunque elemento
necessario di ogni società, l'europeismo si presenta subito come un
misero aborto; gli manca infatti quella minima coerenza, vanto di
ogni ideologia, con cui può acquisire la maschera della razionalità:
esso si presenta da subito come la contraddizione di negare le
frontiere spacciandole per un rudimento arcaico e di affermarle
contro Stati sentiti come pericolosi rivali (la Cina, l'India ecc.),
di essere cioè cosmopolita quando ha in mente le nazioni europee, di
dimenticare il cosmopolitismo e abbracciare il nazionalismo
quando ha in mente Stati extra-europei. Prima ancora che un'ideologia
l'europeismo è uno stato di ebbrezza.
Essendo
però ideologia, il sogno europeo deve opporsi a un male, deve negare
il diritto di una realtà all'esistenza: l'europeismo nega il diritto
dello Stato sovrano. In questo negare conserva il sentimento di
essere nel bene e di rimanere nell'universalità, perché crede di
negare non una realtà prima, un bene, ma soltanto un male, una
negazione. Gli Stati sono infatti totalità esclusive; come
totalità essi sono negativi in quanto restringono l'arbitrio
degli individui – in questa critica l'europeismo è identico al
liberalismo –, come esclusivi gli Stati sono negativi in
quanto sono conflittuali – qui inclina al pacifismo. Così però
l'europeismo fa propri gli errori del liberalismo e del pacifismo.
Come il liberalismo, trascura che l'individuo presuppone la
protezione della personalità e della proprietà, che la protezione
implica obbedienza nei confronti di chi protegge, che dunque la
libertà in senso pregnante, anziché arbitrio nell'ambito
privato, è propriamente una forma di obbedienza, l'obbedienza
dell'individuo alle leggi dello Stato in quanto le riconosce giuste.
Quando poi gli imputa la guerra, l'europeismo commette lo stesso
errore del pacifismo: non solo dimentica che la guerra è una
delle forme della violenza, soppressa la quale resta la violenza in
generale che può contenere forme ancora più orribili, ma
soprattutto nega alla guerra ogni valore morale uguagliando
scioccamente il soldato all'assassino, cioè presuppone la guerra
come il male assoluto, dimenticando che ogni collettività può
garantirsi la libertà e garantirla agli individui, solo se è capace
di difenderli, e che più orribile della guerra è l'asservimento;
il rifiuto della guerra spinto fino al pacifismo fanatico che nega
allo schiavo il diritto alla ribellione è disprezzo della dignità
dell'uomo non meno del culto della violenza: se questo riduce l'uomo
alla sua pura biologia, il pacifista, con una riduzione simile,
subordina la libertà alla nuda vita.
Lo
Stato afferma la sua sovranità, cioè la sua libertà e quella dei
cittadini che ne deriva, elevando muri e difendendoli; dunque limita
il diritto di entrare nel suo territorio e di uscirne.
L'universalismo europeista desidera il bene e lo concepisce come
estensione dei diritti; dunque esige l'abbattimento dei muri. Poiché
desidera il bene, ma non lo pensa, all'europeismo sfugge che ogni
diritto è un effetto dello Stato sovrano e svanisce con
l'indebolirsi del potere statale, che, in altri termini, la libertà
dell'individuo è annullata non soltanto dallo Stato tirannico, ma in
modo ancora più profondo dal venir meno dello Stato; infatti un
diritto non è una beneficenza privata, ma è reale solo se può
essere posto il corrispondente dovere, se dunque è effettiva la
legalità. Così, estendere diritti è sempre anche estensione dei
doveri: l'attuazione del diritto all'immigrazione, l'attuazione del
diritto del capitale a spostarsi ovunque implicano per i lavoratori
il dovere di accettare nuovi concorrenti, quindi di rassegnarsi a
redditi più esigui, a tempi di disoccupazione più lunghi, ad
aumenti dell'imposizione fiscale per allargare l'assistenza pubblica
o, peggio, al degrado delle sue prestazioni, in definitiva possono
comportare la disgregazione della vita sociale. È impensabile dunque
che un'estensione dei diritti possa verificarsi tramite
l'indebolimento della sovranità senza provocare effetti dirompenti.
Una
vecchia abitudine contratta nel loro lungo passato cattolico e ormai
inconsapevole spinge i popoli dell'Europa meridionale a disprezzare
la realtà etica e ad anelare al suo altro, a lasciarsi privare del
bene ingannati dalla prospettiva del meglio. L'europeismo ha saputo
sfruttare questa antica debolezza, così da suscitare sogni e
illusione nei progressisti e nei rivoluzionari, ancor più che nei
conservatori di cui serve gli interessi immediati: gli è bastato
sguazzare in un vuoto sentimentalismo parolaio che ha l'impudenza di
fare appello alla gioventù proprio mentre ne tradisce le prospettive
e la rimanda all'elemosina dei vecchi. Ne segue il paradosso che
l'europeismo è più forte proprio dove provoca più danni. Se però
la sua forza poggia ormai soprattutto sull'ingenuità, allora si può
sperare che si avvicini il momento del disinganno.
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