Riceviamo da Fabio Bentivoglio questo articolo di Walter Moretti, che pubblichiamo volentieri (M.B.)
Diritti
delle coppie omosessuali: proviamo a “comprendere”
di
Walter
Moretti
Se
siamo qui a scrivere sulla questione dei diritti delle coppie
omosessuali, dopo aver letto e sentito milioni di parole in
proposito, è perché ritengo che il dibattito sia a un livello a dir
poco avvilente, perché monopolizzato da quelli che Massimo
Bontempelli nel suo scritto “Diciamoci la verità” (Koiné,
Gennaio/giugno 2001 ed. C.R.T.) ha definito i teorici del
“libertarismo arbitraristico”, tipico della sinistra
progressista, a fronte del falso moralismo repressivo tipico dei
cattolici e della destra.
Prima
ancora di dividersi in merito alla questione in oggetto, ritengo di
fondamentale importanza cercar di comprendere perché oggi il tema
del diritto delle coppie omosessuali di sposarsi e avere figli
(queste due possibilità sono strettamente collegate tra di loro,
nonostante i tentativi di farli apparire come scindibili, perché se
anche il parlamento non dovesse legalizzare l'adozione, tale
possibilità dovrà comunque esser concessa per via giudiziaria) sia
avvertito come una questione così dirimente, addirittura un
discrimine di civiltà, in un’ epoca in cui l’economia e di
conseguenza la politica hanno fatto piazza pulita di tutti i diritti
sociali acquisiti dal dopoguerra fino all’inizio degli anni ‘80.
Non mi occupo professionalmente di filosofia e di storia (che coltivo
per mio interesse personale), ma credo che se sapute interrogare,
queste discipline siano in grado di darci delle “lezioni” che
consentono di meglio decodificare le questioni del nostro tempo. Sono
“lezioni” che costano fatica, ma credo che valga la pena
riproporle sia pure in termini ultra sintetici.
La
lezione di Kant.
Comprendere significa “sussumere il particolare all’universale”,
ossia ricondurre una realtà particolare a un principio più generale
che la comprenda e attraverso il quale possa essere spiegata.
Proviamo quindi a comprendere (nel senso appena detto) la questione
particolare in oggetto alla luce del più generale contesto in cui si
colloca.
La
lezione di Marx.
Nell’opera Per
la critica dell’economia politica
(1859)
Marx ci espone la sua concezione della storia distinguendo e
articolando ogni società storica in struttura,
data dall’intreccio tra forze produttive e i rapporti di
produzione, sovrastruttura,
ossia le istituzioni politiche e giuridiche, e forme
di coscienza,
cioè
le idee filosofiche, artistiche, religiose... attraverso le quali gli
uomini si rappresentano le società in cui vivono:
“...
nella
produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in
rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà,
cioè in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato
grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L’insieme
di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica
della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una
sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme
determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita
materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e
spirituale della vita.”
"Non
è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al
contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza."
Constatare
la veridicità di questo assunto marxiano con degli esempi storici è
agevole, ma limitiamoci qui a verificarne la validità nella società
contemporanea plasmata interamente, come vedremo, dal modo di
produzione capitalistico, ormai divenuto letteralmente totalitario;
si tratta dunque di riconoscere l’impronta di tale “struttura”
nelle odierne forme
di coscienza.
Nella
sua analisi scientifico dialettica del capitale, Marx distingue la
circolazione
semplice
dalla circolazione
capitalistica.
La
circolazione
semplice
(cioè la circolazione di merci in un sistema pre-capitalistico)
segue lo schema M1 – D – M2 dove M1 è la merce che viene
scambiata sul mercato in cambio di denaro (D) che è solo mezzo
di circolazione,
e M2 la merce acquistata col denaro ricavato
Circolazione
capitalistica:
D1 – M – D2 dove D1 è il denaro investito per la produzione di
merci (M) allo scopo di realizzare un profitto attraverso la loro
vendita, cioè una quantità di denaro (D2) maggiore di D1. Quindi
il denaro è il punto di partenza della circolazione e la merce
l’intermediario per realizzare il profitto: il denaro verrà
nuovamente investito per produrre altre merci ed accrescere così
all’infinito il plusvalore, cioè la differenza tra D2 e D1.
Già
da questa prima lezione marxiana si capisce quindi che la
caratteristica peculiare del modo di produzione capitalistico è
quella di dover crescere all’infinito. Verificare ciò non dovrebbe
essere difficile, giacché basta aprire una qualsiasi pagina di
giornale o accendere la televisione per leggere o sentirci dire che:
“bisogna crescere”, “serve più sviluppo”, “il nostro
problema è la crescita” etc. etc. etc.... Se ne deduce quindi che
la categoria di infinito
è una delle chiavi di volta per capire molte cose della nostra
società. E per riflettere su questa categoria è utile la lezione di
Hegel.
La
lezione di Hegel.
Nel primo libro della Scienza
della logica,
tra
le altre categorie dell’essere,
è trattata anche quella di infinito
collegata a quella di finitudine
e di limite
(altra categoria concettualmente strategica).
Il
limite
è quel confine che determina un perimetro oltre il quale un essere
non è più ciò che è: una mela è una mela e non una pera perché
delimitata da quelle caratteristiche fisico chimiche che ne
determinano la “melinità”. Quindi, dopo aver trattato la
categoria di limite
come presupposto costitutivo di ogni essere, Hegel passa a trattare
la categoria di finitudine,
e quindi quella di infinità
ad essa dialetticamente contrapposta, distinguendo tra infinità
positiva
ed infinità
negativa
(o cattivo
infinito,
per usare le sue parole):
“una
volta che sono stati separati l’uno dall’altro, finito e infinito
sono riferiti l’uno all’altro appunto dalla negazione che li
separa. Questa negazione è il limite di ciascuno rispetto
all’altro... Così ambedue hanno un limite, e l’infinito, avendo
un limite, è in realtà finito.”
Quindi,
ci dice Hegel, l’infinito inteso come negazione della finitudine,
come al di là del finito, è un infinito la cui infinità, sul piano
puramente concettuale, è logicamente incongruente, perché
determinata dalla finitezza della separazione dal finito; è
l’infinito del “... e così via all’infinito”; è l’infinito
della retta, per intendersi; quello che Hegel chiama, appunto, “il
cattivo infinito”, che, nel suo concetto, conduce necessariamente
alla trascendenza. Pensare questo tipo di infinito entro la nostra
realtà ci è infatti impossibile, perché tale realtà è
rigidamente strutturata entro limiti dati: dalla vita stessa, al
pianeta su cui viviamo. Tale tipo di infinito Hegel lo distingue
dall’infinito positivo, cioè dal buon infinito, spiegando come
l’unico infinito logicamente congruente e comprensibile sia dato
dall’unità dell’infinito e del finito. Scrive Hegel
“Nessuno
dei due [finito
e infinito] può
essere posto come compreso senza il suo altro posto in lui qual suo
proprio momento, né l’infinito senza il finito, né il finito
senza l’infinito.”
Dunque,
l’unico infinito “comprensibile” è quello che comprende in sé
il finito. E se la forma geometrica più adatta a descrivere la
cattiva infinità è la retta, quella per descrivere la buona
infinità (cioè quella includente la finitudine) non può che essere
il cerchio, in quanto figura in sé conclusa, ma che, proprio in
questo suo essere finita, è infinita, perché ogni suo punto finale
è un punto iniziale, che rende il circolo percorribile all’infinito.
Questo è l’infinito a noi perfettamente comprensibile,
immaginabile, perché compatibile con la nostra realtà.
A
questo punto ci dobbiamo domandare quale sia l’“infinito” di
cui vive il modo di produzione capitalistico. Se è chiara la
precedente spiegazione, si capisce che tale infinito è quello
“cattivo”, ossia l’infinito al di là del finito, e quindi
l’infinito che non tollera limite alcuno. E già questo dovrebbe
essere una brutta notizia, dato che, come abbiamo detto, la realtà
umana si struttura entro la finitudine. Vediamo a questo punto se,
osservando quanto accade nel mondo, riusciamo a riconoscere questa
caratteristica nella realtà politica, culturale e financo fisica che
ci circonda. Per vedere ciò è utile una breve ricostruzione a sommi
capi dello sviluppo capitalistico dal dopoguerra ad oggi.
La
lezione della storia.
Partiamo dal dopoguerra perché questo è l’inizio di un nuovo
ciclo fortemente espansivo del capitalismo, dopo la crisi degli anni
Trenta e la successiva seconda guerra mondiale, che lasciò dietro di
sé, letteralmente, un intero continente da ricostruire: città,
infrastrutture, industrie etc. In vista anche di questo scopo, dal 1°
al 22 luglio 1944 si tiene la conferenza di Bretton Woods, dove i
principali paesi industrializzati del mondo stilano accordi per
regolamentare le relazioni commerciali e finanziarie. Il tipo di
sviluppo capitalistico che ne segue è quindi un capitalismo
fortemente regolamentato, operante entro limiti ben definiti, in
grado comunque di svilupparsi vertiginosamente grazie proprio alla
ricostruzione post bellica e alla reale esigenza delle persone di
dotarsi di quei beni durevoli (case, ferrovie, automobili,
televisori, frigoriferi etc.) andati distrutti durante la guerra o
non ancora in produzione su scala industriale. Ed è proprio grazie
a questa forte espansione del capitale che sono state possibili
quelle riforme, promosse dalle sinistre occidentali, che hanno
portato a reali processi di emancipazione sociale, se pure con grandi
battaglie collettive. Ciò è stato possibile perché, grazie alla
rigida regolamentazione del capitalismo, gli Stati nazionali potevano
gestire interi ambiti della vita collettiva con logiche non
mercantili, erogando servizi (istruzione, sanità, trasporti) che
andavano a formare il cosiddetto salario indiretto, mentre il
capitale poteva comunque crescere grazie appunto alla crescente
domanda di beni. Senza entrare troppo nel dettaglio, questo tipo di
assetto è andato avanti fino alla fine alla fine degli anni
Sessanta, dopodiché, con la fisiologica diminuzione della domanda di
beni durevoli e con le crescenti conquiste sociali del mondo del
lavoro, l’accumulazione capitalistica ha iniziato a segnare il
passo. Per questo, gradatamente e anche in modo non coordinato,
iniziarono tutta una serie di “riforme” – sulle quali adesso
non entriamo nel dettaglio per non dilungarsi troppo – che portano
all’inizio degli anni Ottanta ad una nuova fase dello sviluppo
capitalistico, che vede il capitale, e quindi la logica di mercato,
invadere inesorabilmente quegli ambiti che fino a quel momento erano
gestiti con logiche non mercantili, non aziendalistiche, esattamente
per permettere al capitale di continuare a perseguire la sua crescita
infinita. Fino ad arrivare ai giorni nostri, dove la scuola è
diventata “l’azienda scuola”, gli ospedali “aziende
sanitarie”, e dove la logica di mercato ha invaso qualsiasi ambito
della vita collettiva (i trasporti, lo sport, la cultura, la ricerca
scientifica....), mentre il territorio subisce continue distruzioni
per far posto a nuove costruzioni, nuove strade, nuove aziende, nuove
infrastrutture..., spazzando via – ed ecco il punto – in ogni
ambito, i limiti costitutivi dell’ambito stesso: è ovvio che una
scuola che risponde a logiche aziendali non è più una scuola; un
ospedale non è più un ospedale ecc…
A
questo punto si dovrebbe quantomeno iniziare a intravedere le ragioni
per le quali oggi ci troviamo a discutere della necessità di dare la
possibilità anche alle coppie omosessuali di sposarsi, mettere su
famiglia e quindi poter adottare figli, mentre contemporaneamente si
fa piazza pulita dei diritti di tutti, etero e omosessuali
indistintamente. Le condizioni materiali perché possa sussistere la
“famiglia” (certezza di un reddito adeguato, stabilità
lavorativa e abitativa, servizi veri per i figli…) sono state
azzerate con impressionante compattezza dalla destra e dalla
sinistra, dai laici progressisti e dai cattolici conservatori senza
batter ciglio. Mentre stiamo scrivendo, sulle prime pagine dei
giornali campeggia la notizia, coerente con l’analisi di cui sopra,
che il governo vuol tagliare drasticamente la pensione di
reversibilità tra marito e moglie, e ciò proprio mentre in
Parlamento si stanno scannando per dare, giustamente, tra gli altri
diritti, quello della pensione di reversibilità anche alle coppie
omosessuali. Per non parlare dello stupore ebete di quanti commentano
i dati dell’Istat sul crollo delle nascite in Italia. C’è la
crisi…
In
ogni caso, per fare qualche verifica sperimentale circa la
lungimiranza delle “lezioni” di cui sopra, proviamo a pescare
qualche notizia qua e là:
Aziende
multinazionali come Ikea o Eataly, note falcidiatrici di diritti del
lavoro, si battono per dare il diritto alle coppie omosessuali di
formare una famiglia. Quindi, con i fatti operano contro le famiglie,
intese come micro comunità di lavoratori che hanno bisogno di
salario, stabilità ecc. …, e dall’altra sono a favore delle
famiglie, intese però come micro comunità di consumatori.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/26/gay-in-cina-prima-erano-arrestati-rinchiusi-valgono-300-miliardi-dollari/1533071/
Da
questo articolo, invece, veniamo a sapere che la rivista Forbes ha
stimato il “potenziale commerciale” mondiale del mondo Lgbt in
tremila miliardi di dollari. E anche una società come quella cinese
che fino al 1997 internava gli omosessuali come malati di mente, oggi
è costretta ad accettare volente o nolente questa realtà. Ma
risulta un po’ difficile credere che la causa di ciò sia il
rispetto dei diritti...
E’
sorprendente poi vedere come le vere ragioni che muovono certe
dinamiche vengano fuori, loro malgrado, dalla bocca degli stessi
protagonisti che portano avanti queste battaglie, spesso in totale
buona fede. Si ascolti a questo proposito quanto dice alla
giornalista che lo sta intervistando l’attore Carlo Gabardini,
grande sostenitore della causa in questione (dal minuto 1.30):
“...
l’economia non guarda cos’hai tra le gambe, ma guarda solo al
portafogli”. Ecco una buona chiave di lettura per comprendere le
ragioni della corrente progressista.
Arrivati
a questo punto dovrebbe essere più chiaro come, dietro a questa
battaglia politica, al di là della consapevolezza degli attori in
campo, non vi sia una questione di diritti, bensì di doveri: il
dovere del capitale di crescere e quindi di espandersi in ogni ambito
della vita, abbattendo qualsiasi limite che ne ostacoli la crescita.
Si potrebbe obiettare, però, che il fatto che tale allargamento dei
diritti vada a favore del capitale non inficia l’eventuale istanza
di giustizia insita nella causa stessa, e certamente in parte è
così. Per rispondere però a questa obiezione, propongo di
riflettere su quanto scritto da Massimo Bontempelli in un suo breve
testo dal titolo “Diciamoci la verità” (Koiné, Gennaio/Giugno
2001 ed. C.R.T.), in merito a tali problematiche:
“...La
coppia omosessuale non può essere regolata istituzionalmente alla
stessa maniera di quella eterosessuale. [...] Ciò non significa un
giudizio negativo della coppia omosessuale rispetto a quella
eterosessuale, perché non esistono due tipologie della coppia, ma
altrettante tipologie quante sono le coppie stesse, che possono
essere più o meno umanamente ricche a seconda dei percorsi
interpersonali che riescono a costruire, e non certo a seconda della
preferenza sessuale che implicano. Non significa che la coppia
omosessuale non debba essere tutelata come quella eterosessuale su
tutta una serie di piani, dall’accesso alla casa alla reversibilità
della pensione. Significa, però, che la pretesa di sussumere il
reciproco impegno di una coppia omosessuale, con i diritti e i doveri
che ne derivano verso la comunità, nella categoria del matrimonio, e
gli effetti verso terzi nella categoria della famiglia, sfocia
nell’indistinzione delle forme di vita in un totale soggettivismo
contrattualistico, che non garantisce alcun equilibrio alla società.
Esiste un’esigenza sociale oggettiva di socializzazione primaria
attraverso i modelli archetipici del maschile e del femminile, del
paterno e del materno, di cui deve essere preservata l’autonomia
istituzionale, tanto più in un’epoca in cui si realizza così poco
sul piano empirico. La coppia omosessuale che pretenda non già la
sacrosanta tutela giuridica di alcuni vitali interessi comuni nati
dalla relazione, ma di aver formato un matrimonio ed una famiglia,
mostra un inconscio disprezzo verso la specificità, che dovrebbe
invece valorizzare, del proprio percorso, come un africano che
combattesse il razzismo pretendendo di essere considerato bianco di
pelle.”
Dunque,
ci dice Bontempelli, una coppia omosessuale che pretenda di aver
formato un matrimonio e una famiglia mostra un inconscio disprezzo
verso la specificità del proprio percorso. Ed è esattamente questo
il punto! Rispettare tale specificità, al contrario, vorrebbe dire
accettare quei limiti costitutivi della specificità stessa, come di
qualsiasi specificità.
A
questo punto però ci dobbiamo domandare perché il sentire comune
non percepisce più come una violazione l'abbattimento dei limiti che
determinano la specificità di un determinato ambito. Perché nessuno
si indigna più se la scuola diventa un'azienda, così come gli
ospedali diventano aziende sanitarie? Oppure, perché accettiamo più
o meno passivamente l'abominio delle biotecnologie finalizzate al
superamento dei limiti della Natura, come anche quelle tecnologie
della robotica finalizzate a superare i limiti dell'umano? Perché
non abbiamo più un'idea della maniera migliore di essere di ogni
cosa, quindi del limite costitutivo di ogni realtà? Se è chiara la
lezione di Marx la risposta è semplice: l’esigenza del capitale
(la struttura) di crescere indefinitamente non tollera limiti che
possano in qualche modo ostacolarne l’accumulazione, quindi
semaforo verde per tutto ciò che favorisce nuove occasioni di
profitto (mercato della salute, della riproduzione per via
tecnologica, degli uteri in affitto….) con la conseguenza di
plasmare inesorabilmente le nostre forme
di coscienza,
la nostra cultura, il pensiero filosofico, le arti, le scienze, fino
alle coscienze individuali nella direzione del cattivo infinito di
cui necessita. L’idea di libertà come assenza di limiti, tipica
della sinistra progressista, è la forma di coscienza plasmata dal
capitalismo assoluto. Coloro che sembrano opporsi a questa tendenza
(Family day, destre, cattolici di varia provenienza) grondano
ipocrisia, perché come i loro apparenti rivali hanno sterminato
nella pratica politica e sociale qualsiasi limite che possa tutelare
autenticamente la vita, la famiglia, la Natura e il bene collettivo.
Recuperare
quindi un rispetto dei limiti che ineriscono la nostra realtà ed
un'idea della maniera migliore di essere di ogni cosa, fondata
razionalmente, vuol dire, innanzitutto, rimettere al centro
dell'agenda filosofica e culturale un'idea razionale, trascendentale
di Uomo che vada oltre l'orizzonte mortifero dell'attuale
totalitarismo capitalistico.
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