(Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento di Paolo Di Remigio
M.B.)
Dopo
la fine del pensiero politico del mondo classico si è disposti a
riconoscere all'individuo almeno la possibilità di essere onesto, ma
è pregiudizio comune che lo Stato sia essenzialmente un male. Per i
cattolici è una costruzione soltanto umana, quindi bisognosa di
guida trascendente; per i liberali è una sgradevole necessità; Marx
lo concepisce come una ipocrisia; il fascismo, che pure sembrerebbe
volerlo esaltare, non accetta il pluralismo, la divisione dei poteri
che consente il dominio della legge e impedisce l'esercizio del
potere carismatico, e ciò equivale a dire che non ne accetta
l’essenza.
La
sequenza di queste visioni non è solo storica, ha una base logica.
Nel cristianesimo la natura dell’uomo è corrotta dalla
colpevolezza originaria che soltanto lo spontaneo gesto salvifico di
Dio può espiare; così l'uomo, perduto finché il suo destino è
nelle sue mani, è salvo solo se si affida all'istituzione che quel
gesto salvifico ha fondato; questo significa, nella sfera politica,
che gli uomini sono perduti nell'ambito dello Stato, che non può
andare oltre l'attuazione di un diritto punitivo, redenti soltanto
nella Chiesa che li immerge nella caritas.
Come
il liberalismo che ne ha raccolto l'eredità, l'illuminismo respinge
il peccato originale tra gli inganni dei preti: gli uomini sarebbero
naturalmente
ragionevoli, dunque in grado di conoscere, senza bisogno di guida
ecclesiastica, che il loro utile è raggiungibile solo tramite la
mediazione sociale, che l'egoismo coincide con la generosità;
sarebbero semmai la superstizione diffusa dalla Chiesa e la tirannia
esercitata dallo Stato ad accecare gli individui e a impedire il
dispiegamento della loro libertà e del progresso di cui essa è
portatrice.
Questa
convinzione illuminista forma uno dei presupposti più profondi del
socialismo. Che tuttavia il socialismo non vi si possa limitare, è
avvertibile in Marx. Con le nozioni di alienazione
religiosa e alienazione
politica Marx fa sua la critica illuminista alla religione e alla
politica; ma nel contempo le considera meri sintomi di un'alienazione
originaria, l'alienazione economica, superata la quale esse sarebbero
dissolte a fortiori.
Poiché però l'alienazione economica sorge sul terreno naturale
della società civile e dell'egoismo individuale, non su quello
consapevole quindi colpevole
dello Stato, Marx deve oltrepassare l'illuminismo e recuperare la
nozione teologica di peccato originale, deve cioè considerare
l'individuo naturale
stupido e colpevole. Questa separazione di Marx dall'illuminismo è
evidente nella sua nozione di ideologia;
essa esprime la stessa invincibile opacità degli uomini su se stessi
contenuta nella rappresentazione teologica di peccato
originale. Dal momento poi che il
male non può essere superato né dall'individuo né dalla ragione,
ma dal movimento storico, Marx recupera un secondo motivo teologico:
affida a quella che chiama la classe operaia il compito messianico
di interrompere il corso della storia, di ribaltare il male del mondo
e di realizzare la libertà naturale dell'individuo. Così, mentre
nell'illuminismo la libertà naturale è già presente, in Marx è il
sogno dell'umanità che la storia, animata dallo sviluppo della forza
produttiva, sta per realizzare. Nelle sue diverse varianti il
socialismo ha oscillato tra illuminismo e messianismo, tra fede
nell'individuo naturale e fede nell'avvento
dell'individuo naturale, come si dice di solito: tra riformismo e
rivoluzione. Mentre poi il riformismo ha saputo rivalutare il
significato dello Stato, le ali rivoluzionarie hanno condiviso con
l'illuminismo e la teologia la diffidenza verso lo Stato, anzi
l'hanno acuita in disprezzo. Senza questo disprezzo sarebbe
incomprensibile l'attuale disponibilità della sinistra a offrire i
suoi servizi alla criminalità finanziaria mondializzata in cui
l'illuminismo ha conosciuto la sua ultima degenerazione.