Da tempo ho in mente di scrivere qualcosa sulla nozione di "complottismo" e le polemiche ad essa legate, ma non ci sono ancora riuscito. E' quindi con piacere che segnalo questi due articoli, molto sensati, di Riccardo Paccosi, dal sito "Appello al popolo". Spero prima o poi di riuscire a dare il mio contributo.
(M.B.)
http://www.appelloalpopolo.it/?p=14605
http://www.appelloalpopolo.it/?p=14609
sabato 31 ottobre 2015
mercoledì 28 ottobre 2015
Le Cassandre della scuola
Pubblichiamo un intervento di Fabio Bentivoglio e Michele Maggino sulla scuola. E' apparso sulla rivista Indipendenza e su Megachip.
(M.B.)
Una
Cassandra dal passato
(con
due domande agli insegnanti di oggi e una morale finale)
Martedì
9 marzo 1999. Sono in riunione: oggi c'è il Collegio dei Docenti.
Ieri è stato pubblicato il D.P.R. n. 275 (il regolamento
sull'autonomia scolastica). L'insieme delle riforme fatte approvare
da Berlinguer e Bassanini sull'autonomia scolastica hanno suscitato
un grande fermento nel mondo scolastico: si respira aria nuova, di
rinnovamento, di vera riforma “all’altezza dei tempi” ecc...
Ma,
eccomi qua: mi chiamano Cassandra e sono qui per avvertire i miei
colleghi, profetizzando sicure (per me) catastrofi per la scuola
pubblica statale italiana: competitività, linguaggi aziendali,
addestramento alla flessibilità, test, subalternità ai comandi
della tecnica e ai locali poteri territoriali, profilo professionale
docente analogo a quello dell’animatore sociale ecc… . Cerco di
convincerli che lo
spettacolo delle scuole che si fanno concorrenza a colpi di spot è
[sarà]
umiliante
e faccio notare che l’autonomia “ha
messo in moto nelle scuole una sorta di accattonaggio di massa, cui
troppi insegnanti partecipano con colpevole superficialità”.
Subisco quasi un linciaggio.
Flash
dal futuro.
Ottobre
2015: Le due domande cruciali, nel 2015, sono le seguenti.
Prima
domanda: La “Buona
scuola di Renzi” è una “novità” o, al contrario, è l’approdo
coerente di questa storia?
Seconda
domanda: Opporsi alla
cosiddetta “Buona scuola” significa contrastare gli specifici
provvedimenti di tale “riforma” o, anche, contrastare, nelle
scuole, la logica aziendalistica che si è radicata nella prassi
scolastica ben prima dell’attuale riforma? Ad esempio: partecipare
all’accattonaggio di massa per reperire fondi (da parte di docenti,
famiglie e studenti) o legittimare la prassi dei cosiddetti
“contributi volontari”, è o non è votare contro la Costituzione
e a favore della “Buona scuola”?
Proviamo
a metterla sul semiserio e torniamo al 1999!!
Resisto
al linciaggio morale e insisto:
-
Vedrete, entreranno le imprese nella gestione della scuola!
-
Buuhh, nessuno ti può credere, dici solo un mucchio di sciocchezze….
Link
dal futuro:
Non
demordo.
-
Vedrete, il dettato
costituzionale (La
Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce
scuole statali per tutti gli ordini e gradi)
sarà sostituito dal dettato
del marketing della grande distribuzione.
-
Stai delirando, taci, non ti rendi conto delle follie che ci stai
dicendo?!
Link
dal futuro:
-
Lo so, lo vedo: di questo passo gli insegnanti saranno valutati e
scelti dagli studenti!
-
Ma smettila. Stupidaggini allo stato puro! Parole in libertà!!
Link
dal futuro:
http://www.lastampa.it/2013/01/31/cultura/scuola/verona-nasce-la-scuola-del-domani-gli-insegnanti-li-scelgono-i-bambini-nEEkeU2rDJgD7sfOzRGOfL/pagina.html
Sono
implacabile, nonostante l'evidente enorme contrarietà dell'uditorio
dei miei colleghi; devo insistere, devo avvertirli di ciò verso cui
stiamo andando incontro.
-
Io vi dico che continuando su questa linea gli insegnanti si
trasformeranno in gestori passivi delle procedure imposte dalla
tecnica.
-
Fatelo tacere: questo è un delirio da fantascienza!!
Link
dal futuro:
Ormai
nessuno mi ferma.
-
Le scuole saranno considerate come aziende, le riforme saranno
dettate dal mondo degli industriali.
-
Vai via! Il tuo è solo estremismo distruttivo!!
Link
dal futuro:
Nessuno
mi ascolta, ovviamente; se no, non mi chiamerebbero Cassandra.
Sempre
dal futuro segnaliamo:
Per
sorridere un po' si veda:
-
Ne sono convinto. Abbiamo iniziato un processo inarrestabile di
privatizzazione. Ma vedrete, non disperate: ci sarà ancora qualcuno
non all’altezza
dei tempi.
Ma non qui in Italia, ma in Finlandia, sì, in Finlandia di cui oggi
nessuno parla; lì la scuola sarà rigorosamente statale e per
diventare insegnanti bisognerà studiare tanti anni, senza selezioni
con i test. Pazzesco vero!?!
Link
dal futuro:
Un
ricco archivio di un'altra Cassandra, a memoria futura:
Morale
della favola:
le battaglie si possono vincere se si individuano i fronti strategici
su cui combatterle.
Michele
Maggino
Fabio
Bentivoglio
domenica 25 ottobre 2015
Un video e una discussione
Fiorenzo Fraioli ha pubblicato sul suo blog un video in cui propone alcune considerazioni un po' pessimiste. Poiché mi sento anch'io piuttosto pessimista in questo periodo, mi sono sentito in consonanza con lui. Il video è questo:
http://egodellarete.blogspot.it/2015/10/considerazioni-bombastiche.html
Io e Fiorenzo abbiamo avuto un breve scambio email, che, col suo permesso, pubblico qui.
MB:
http://egodellarete.blogspot.it/2015/10/considerazioni-bombastiche.html
Io e Fiorenzo abbiamo avuto un breve scambio email, che, col suo permesso, pubblico qui.
MB:
ciao Fiorenzo,
avevi lasciato un commento su mainstream, ma avevamo deciso di non pubblicare più commenti lì, quindi l'ho pubblicato su badiale&tringali.
Ho visto il tuo video sul fatto che "si è perso un treno". Sono d'accordo con te, penso che segnalerò il tuo video con brevissimo commento. Secondo me i litigi fra sovranisti sono stati secondari, il vero problema è che il successo del M5S ha tolto per il breve/medio periodo ogni spazio ad altre forze di opposizione.
Ciao
FF
Ciao Marino, ti rispondo con un po' di ritardo anche perché in questo periodo l'esistenza mi è diventata un po' complicata. La vita è come il tempo, ogni tanto il cielo si riempie di nuvole. Ma sembra che stia per tornare il sole.
Non sono d'accordo con te sul fatto che il problema sia il successo del m5s. Infatti quando noi sovranisti abbiamo cominciato (diciamo nel 2011?) il m5s esisteva già. Dunque non dobbiamo misurarci con la crescita di un movimento in quel momento lanciatissimo, ma con la nostra mancata crescita. Dare la colpa al m5s significa, a mio parere, non assumersi la responsabilità di riconoscere i nostri limiti. Tolti, per ovvie ragioni, i problemi conseguenti alla mancanza di mezzi e all'incapacità di muoverci sul piano della comunicazione politica con l'abilità di consumati professionisti, il nostro vero limite è stato quello di non essere riusciti a costruire un universo che fosse almeno dialogante al suo interno.
Ma questo l'ho già detto nel video. Mi piacerebbe conoscere meglio il tuo punto di vista, anche se dovessi insistere con la tesi che è stato il m5s a tagliarci l'erba sotto i piedi.
Un saluto, Fiorenzo
MB
Caro Fiorenzo,
la tua obiezione che il problema non è il m5s perché quando i sovranisti hanno cominciato esso c'era già, penso ci permetta di capire il punto del nostro dissenso. Infatti, mi sembra che essa indichi che il tuo ragionamento implicito sia come segue: il movimento sovranista aveva un'occasione storica e l'ha persa. C'è stato quindi un cambiamento nella situazione, e la responsabilità di questo cambiamento non può essere del m5s perché esso era già presente fin dall'inizio, cioè esso in questa vicenda è una grandezza costante e ciò che è costante non può essere la causa di ciò che cambia. Se questa ricostruzione del tuo ragionamento è corretta, è facile indicare il punto del nostro dissenso: io mi sono convinto che il movimento sovranista non ha mai avuto nessuna possibilità. Non ha quindi perso nessuna occasione. La presenza del m5s gli ha tolto, fin dall'inizio, ogni reale possibilità. L'unica cosa sensata che si poteva realmente pensare di fare era influenzare il m5s. Questo per me è un cambiamento di opinione, perché fino a poco tempo fa la pensavo diversamente.
Domani metterò una segnalazione del tuo video, potrei anche riportare questo nostro scambio email, se a te va bene.
Ciao
FF
Certo che a me va bene.
Ti faccio però osservare un particolare: quando parlo di occasione perduta non mi riferisco al fatto che il movimento sovranista potesse diventare una forza politica in grado di influire sugli equilibri elettorali, bensì alla possibilità di riuscire a trasmettere una narrazione dei fatti tale da essere un lievito. Una narrazione, rivolta alla sinistra "diffusa e orfana" ancora presente nel corpo sociale, che non fosse inquinata da polemiche e divisioni che hanno origine, prima ancora che da contrapposizioni ideologiche reali (quindi serie), da uno spirito settario che ricorda "sinistramente" le divisioni degli anni settanta. L'unità di misura di questa capacità non poteva che essere, a mio avviso, la nascita di un partito sovranista, sia pur destinato a percentuali minoritarie. Questo è il lievito che avevo in mente, e il lascito per le generazioni che ci seguiranno. Nell'azione politica, io credo, la cosa più importante è commisurare gli obiettivi alle forze disponibili, e questo obiettivo era a portata di mano. Era...mercoledì 21 ottobre 2015
Spostamenti
Segnaliamo questa intervista a Luciano Gallino, che ha progressivamente assunto posizioni sempre più critiche nei confronti dell'euro. Fa piacere vedere che la forza della ragione non è solo una metafora.
(M.B.)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/24/luciano-gallino-fine-della-democrazia-inizio-con-thatcher-e-continua-con-renzi/2037773/
(M.B.)
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/24/luciano-gallino-fine-della-democrazia-inizio-con-thatcher-e-continua-con-renzi/2037773/
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domenica 18 ottobre 2015
Uno sguardo all'indietro/2
Seconda parte di un articolo del 2003, scritto da me, Massimo Bontempelli e Federico Dinucci. La prima parte è stata pubblicata ieri.
(M.B.)
Totalità dialettica. Passiamo adesso a questioni apparentemente meno "concrete", ma a nostro giudizio di grande importanza. Si tratta di tematiche che potremmo definire "filosofiche" e che hanno a che fare con quel bisogno di una nuova cultura al quale accennavamo poco fa. È a questo livello che le nostre posizioni divergono maggiormente rispetto al marxismo. Fino a questo momento le nostre posizioni possono apparire quelle di una delle tante forme di marxismo critico ed eterodosso, ma a partire da questa voce crediamo risulterà chiara una presa di distanza dal marxismo e dal materialismo, comunque vengano declinati.
Decenni di cultura storicistica e marxista ci hanno condotto a identificare la totalità dialettica con la storia. La storia appariva, entro questa cultura, come la realtà ultima e definitiva oltre la quale non è possibile nessuna istanza conoscitiva o morale. Ma poiché la storia è il regno del mutamento, la conoscenza e la morale, il vero e il bene apparivano essi stessi cangianti e mobili, e all’essere umano veniva negato ogni fondamento metafisico al quale ancorare la propria vita. Giudichiamo questa impostazione culturale un errore che sfocia in un sostanziale nichilismo (per il quale si veda la prossima voce).
Per “totalità dialettica” intendiamo quell’orizzonte metafisico che alla storia fa da contesto, pur rimanendone distinto. La totalità dialettica è la struttura trascendentale della storia: possiamo vederla all’opera nella storia, ma non è essa stessa storica. Detto in una battuta: se la storia è il regno del divenire, la totalità dialettica (oggetto del sapere filosofico) è invece il regno dell’immutabile. Se ogni cosa mutasse e nulla (nemmeno l’orizzonte) rimanesse fermo allora neppure il mutamento sarebbe percepibile. La stessa coscienza del nostro “stare nella storia” presuppone l’esistenza di un orizzonte immutabile rispetto al quale ciò che si muove possa stagliarsi1.
Da tali considerazioni discendono alcune conseguenze palesemente in contrasto con ogni forma di storicismo. Primo, accanto (e per certi versi al di sopra) dei saperi transeunti (scientifici, tecnici e pratici) esiste un sapere assoluto. Ovviamente il fatto che esista un sapere assoluto non significa automaticamente che tale sapere sia completamente attingibile e dominabile, e neppure che esso sia un contenuto dato una volta per tutte, una formula magica il cui possesso garantisca dall’errore. Il sapere assoluto si costruisce, in ogni momento storico, nel dialogo e nella critica reciproca (si veda alla voce Ragione e Scienza). Il punto fondamentale per noi è che dialogo e critica hanno senso solo se si mantengono fissi l’orizzonte trascendentale e la tensione al sapere assoluto; tolti questi, dialogo e critica degenerano nella chiacchiera insulsa e vuota tipica del mondo intellettuale contemporaneo.
Secondo, se esiste un sapere assoluto esiste anche la verità assoluta (o almeno la sua possibilità).
Terzo, nessun sapere transeunte potrà mai acquisire piena coscienza del proprio carattere storico (esorcizzando così l’angoscia del divenire) se non in stretto dialogo con il sapere assoluto.
Queste nostre posizioni teoriche ci collocano fuori dalla tradizione marxista e dentro quella tradizione idealistico-dialettica che vede i suoi principali (anche se non unici) punti di riferimento in Eraclito, Platone, Plotino ed Hegel. È in questa tradizione che crediamo vada cercato un antidoto al nichilismo delle moderne società capitalistiche.
(M.B.)
Totalità dialettica. Passiamo adesso a questioni apparentemente meno "concrete", ma a nostro giudizio di grande importanza. Si tratta di tematiche che potremmo definire "filosofiche" e che hanno a che fare con quel bisogno di una nuova cultura al quale accennavamo poco fa. È a questo livello che le nostre posizioni divergono maggiormente rispetto al marxismo. Fino a questo momento le nostre posizioni possono apparire quelle di una delle tante forme di marxismo critico ed eterodosso, ma a partire da questa voce crediamo risulterà chiara una presa di distanza dal marxismo e dal materialismo, comunque vengano declinati.
Decenni di cultura storicistica e marxista ci hanno condotto a identificare la totalità dialettica con la storia. La storia appariva, entro questa cultura, come la realtà ultima e definitiva oltre la quale non è possibile nessuna istanza conoscitiva o morale. Ma poiché la storia è il regno del mutamento, la conoscenza e la morale, il vero e il bene apparivano essi stessi cangianti e mobili, e all’essere umano veniva negato ogni fondamento metafisico al quale ancorare la propria vita. Giudichiamo questa impostazione culturale un errore che sfocia in un sostanziale nichilismo (per il quale si veda la prossima voce).
Per “totalità dialettica” intendiamo quell’orizzonte metafisico che alla storia fa da contesto, pur rimanendone distinto. La totalità dialettica è la struttura trascendentale della storia: possiamo vederla all’opera nella storia, ma non è essa stessa storica. Detto in una battuta: se la storia è il regno del divenire, la totalità dialettica (oggetto del sapere filosofico) è invece il regno dell’immutabile. Se ogni cosa mutasse e nulla (nemmeno l’orizzonte) rimanesse fermo allora neppure il mutamento sarebbe percepibile. La stessa coscienza del nostro “stare nella storia” presuppone l’esistenza di un orizzonte immutabile rispetto al quale ciò che si muove possa stagliarsi1.
Da tali considerazioni discendono alcune conseguenze palesemente in contrasto con ogni forma di storicismo. Primo, accanto (e per certi versi al di sopra) dei saperi transeunti (scientifici, tecnici e pratici) esiste un sapere assoluto. Ovviamente il fatto che esista un sapere assoluto non significa automaticamente che tale sapere sia completamente attingibile e dominabile, e neppure che esso sia un contenuto dato una volta per tutte, una formula magica il cui possesso garantisca dall’errore. Il sapere assoluto si costruisce, in ogni momento storico, nel dialogo e nella critica reciproca (si veda alla voce Ragione e Scienza). Il punto fondamentale per noi è che dialogo e critica hanno senso solo se si mantengono fissi l’orizzonte trascendentale e la tensione al sapere assoluto; tolti questi, dialogo e critica degenerano nella chiacchiera insulsa e vuota tipica del mondo intellettuale contemporaneo.
Secondo, se esiste un sapere assoluto esiste anche la verità assoluta (o almeno la sua possibilità).
Terzo, nessun sapere transeunte potrà mai acquisire piena coscienza del proprio carattere storico (esorcizzando così l’angoscia del divenire) se non in stretto dialogo con il sapere assoluto.
Queste nostre posizioni teoriche ci collocano fuori dalla tradizione marxista e dentro quella tradizione idealistico-dialettica che vede i suoi principali (anche se non unici) punti di riferimento in Eraclito, Platone, Plotino ed Hegel. È in questa tradizione che crediamo vada cercato un antidoto al nichilismo delle moderne società capitalistiche.
sabato 17 ottobre 2015
Uno sguardo all'indietro/1
Tempo fa avevo preannunciato la ripubblicazione, su questo blog, di due vecchi articoli scritti da me assieme a Massimo Bontempelli e Federico Dinucci, e pubblicati su "Diorama Letterario", la rivista di Marco Tarchi. In realtà ho finora pubblicato solo il primo, "Invito all'esodo", diviso in due parti, che trovate qui e qui. Mantengo fede al mio impegno e pubblico il secondo articolo, dal titolo "Uno sguardo all'indietro", anch'esso diviso in due parti. La seconda parte la trovate qui. Si tratta di un testo del 2003. Per l'inquadramento generale del dibattito, si vedano i due link sopra citati. In questo testo, stimolati dagli interventi di alcuni collaboratori di "Diorama", in risposta al nostro primo articolo, avevamo provato a ridiscutere alcune delle "parole" fondamentali della nostra tradizione marxista. Al di là delle singole tesi, credo che questo tipo di discussione sia ancora necessaria. Non ripubblico alcune righe di introduzione, che erano direttamente rivolte a Tarchi e ai suoi collaboratori.
(M.B.)
Uno sguardo all'indietro
M.Badiale, M.Bontempelli, F.Dinucci
Sono però evidenti i gravi limiti della vulgata marxista, che la rendono insostenibile come concezione generale dell’uomo e della storia. Proprio tali limiti hanno giustificato una serie di critiche e di contrapposizioni che sarebbe giunto il momento di superare. Un esempio di tali contrapposizioni è quella fra vetero-marxismo (che riduce immediatamente strutture e istituzioni sociali al modo di produzione) e sociologismo post-moderno (che si rifiuta di collegare l’infinita ricchezza dei fenomeni sociali ad un qualsiasi ordine concettuale complessivo). Un altro esempio è quello della contrapposizione fra ”materialisti” (sostenitori della riduzione di tutti gli aspetti della realtà sociale all’economia) e “spiritualisti” (sostenitori della tesi secondo la quale il fattore causale ultimo della storia è dato dall’evoluzione delle idee o delle mentalità). E’ facile rispondere a questi ultimi, come hanno sempre fatto i marxisti, che gli uomini devono mangiare e coprirsi prima di potersi dedicare alle idee, ed è altrettanto facile replicare ai primi che fra i bisogni umani fondamentali che devono essere soddisfatti da una società vi è anche quello, specifico dell’essere umano, del dare un senso alla propria vita. Tali dibattiti appaiono sterili, immobilizzati nella contrapposizione di due mezze verità, ed è nostra convinzione che solo un profondo rinnovamento culturale possa aiutare a scioglierne le aporie.
Un piccolo contributo a questo rinnovamento culturale, e al dibattito ad esso necessario, può venire dalle seguenti osservazioni, che rappresentano in sostanza una fra le possibili “ipotesi di lavoro” nell’elaborazione di una concezione generale della storia umana che superi i limiti del marxismo conservandone le valenze conoscitive.
Per prima cosa osserviamo che già in Marx e nella tradizione marxista esistono strumenti teorici che permettono di limitare il determinismo economicistico. Uno di questi strumenti è rappresentato dalla nozione di “formazione sociale”. Mentre il modo di produzione e la sua logica si collocano d un livello profondo e astratto, rappresentando un meccanismo logico “semplice” che si suppone governare la società, e si contrappongono quindi all’infinita ricchezza, molteplicità e casualità della realtà sociale, con il termine “formazione sociale” intendiamo la sintesi di quest’infinita molteplicità e complessità del tessuto sociale unificata alla luce della struttura “semplice” del modo di produzione. In questo modo i multiformi aspetti della realtà sociale non sono “dedotti” dalla logica del modo di produzione, ed è possibile pensare la dinamica storica non come risultato delle contraddizioni del modo di produzione, ma come esito aleatorio della specifica interazione, entro la formazione sociale, tra modo di produzione e tessuto sociale.
Per illustrare questa dinamica, ci serviremo di un paragone. Una formazione sociale può essere vista come il sistema formato da un frullino e dalla panna sulla quale il frullino agisce. La panna (il tessuto sociale innervato dalla logica riproduttiva del modo di produzione) si trova inizialmente in forma liquida, in un secondo momento monta, infine si solidifica. Il frullino (modo di produzione) svolge la stessa identica attività durante questi tre stadi: si limita a ruotare (sempre alla stessa velocità, sempre nello stesso senso). Chi volesse trovare nel movimento del frullino le ragioni delle varie “transizioni di stato” della panna rimarrebbe deluso. Dal movimento rotatorio (in sé logicamente infinito) non è possibile dedurre meccanicamente o dialetticamente alcunché. Allo stesso modo, dalla logica autoriproduttiva di un modo di produzione non è possibile dedurre gli stadi di sviluppo attraverso cui passa la formazione sociale, né tantomeno la logica del modo di produzione successivo. Le motivazioni di questi passaggi epocali vanno cercate non tanto nella logica riproduttiva del modo di produzione, quanto nell’interazione specifica (e per certi versi aleatoria) tra questa logica e le caratteristiche del tessuto umano e sociale da essa innervato; non vanno cercate insomma nel movimento rotatorio del frullino, ma nell’interazione tra questo movimento, in sé logicamente semplice e ripetitivo, e le caratteristiche della panna.
Entro questo tipo di concettualizzazione, la logica di un modo di produzione non implica in nessun modo la necessità del suo superamento. Nessuna scienza del modo di produzione può dunque garantire un certo decorso degli eventi (con l’annessa inevitabile vittoria futura dei “buoni”). Le cause delle “transizioni intermodali” (le transizioni da un modo di produzione all’altro, secondo una felice espressione di Costanzo Preve) vanno individuate entro le formazioni sociali, in tutta la loro complessità.
(M.B.)
Uno sguardo all'indietro
M.Badiale, M.Bontempelli, F.Dinucci
Modo
di produzione, Storia.
Nella tradizione marxista la nozione di “modo di produzione”
presuppone e giustifica un atteggiamento che potremmo qualificare
come “riduzionismo economico”: la storia e la società umane
vengono in sostanza ridotte a variabili dipendenti rispetto alla
sfera della produzione materiale, a effetti dei quali tale sfera è
la causa, e il modo di produzione è inteso appunto come la forma
organizzativa della produzione materiale. La sfera della produzione
materiale, secondo le note metafore, è la “struttura”, la solida
base sulla quale si eleva la “sovrastruttura” politica, giuridica
e culturale. La storia è storia del succedersi dei diversi modi di
produzione, e il motore ultimo di questa evoluzione (la lotta di
classe, il potenziamento delle forze produttive, etc.), è sempre
collocato entro il modo di produzione. Sono le contraddizioni interne
alla logica di uno specifico modo di produzione a indurre la sua
crisi e la sua sostituzione con un altro modo di produzione, cosicché
ciascun modo di produzione appare destinato a trasmutarsi in quello
successivo e la storia appare retta da un meccanismo deterministico
che garantisce un progresso ineluttabile e la vittoria finale del
proletariato.
Questa
tradizione, con i suoi limiti ed i suoi errori, ci ha insegnato
alcune cose importanti. Attraverso di essa abbiamo imparato a pensare
la storia come la
forma
intelligibile del divenire:
quell’ordine razionale che è necessario presupporre per dare un
senso all’altrimenti caotico susseguirsi degli eventi. Se è vero
che per ogni sequenza di eventi vi sono innumerevoli ordinamenti
possibili, l’ordinamento che abbiamo imparato a preferire è quello
che interpreta la storia come una successione “inclusiva” di
strutture ed eventi. Un evento acquista senso solo entro la struttura
che gli fa da contesto; tale struttura può essere a sua volta vista
come evento di una struttura più ampia, e così via, fino ad un
livello di profondità sufficiente, un livello costituito da
strutture molto vaste e pervasive: i modi di produzione della
tradizione marxista sono appunto strutture di questo tipo.Sono però evidenti i gravi limiti della vulgata marxista, che la rendono insostenibile come concezione generale dell’uomo e della storia. Proprio tali limiti hanno giustificato una serie di critiche e di contrapposizioni che sarebbe giunto il momento di superare. Un esempio di tali contrapposizioni è quella fra vetero-marxismo (che riduce immediatamente strutture e istituzioni sociali al modo di produzione) e sociologismo post-moderno (che si rifiuta di collegare l’infinita ricchezza dei fenomeni sociali ad un qualsiasi ordine concettuale complessivo). Un altro esempio è quello della contrapposizione fra ”materialisti” (sostenitori della riduzione di tutti gli aspetti della realtà sociale all’economia) e “spiritualisti” (sostenitori della tesi secondo la quale il fattore causale ultimo della storia è dato dall’evoluzione delle idee o delle mentalità). E’ facile rispondere a questi ultimi, come hanno sempre fatto i marxisti, che gli uomini devono mangiare e coprirsi prima di potersi dedicare alle idee, ed è altrettanto facile replicare ai primi che fra i bisogni umani fondamentali che devono essere soddisfatti da una società vi è anche quello, specifico dell’essere umano, del dare un senso alla propria vita. Tali dibattiti appaiono sterili, immobilizzati nella contrapposizione di due mezze verità, ed è nostra convinzione che solo un profondo rinnovamento culturale possa aiutare a scioglierne le aporie.
Un piccolo contributo a questo rinnovamento culturale, e al dibattito ad esso necessario, può venire dalle seguenti osservazioni, che rappresentano in sostanza una fra le possibili “ipotesi di lavoro” nell’elaborazione di una concezione generale della storia umana che superi i limiti del marxismo conservandone le valenze conoscitive.
Per prima cosa osserviamo che già in Marx e nella tradizione marxista esistono strumenti teorici che permettono di limitare il determinismo economicistico. Uno di questi strumenti è rappresentato dalla nozione di “formazione sociale”. Mentre il modo di produzione e la sua logica si collocano d un livello profondo e astratto, rappresentando un meccanismo logico “semplice” che si suppone governare la società, e si contrappongono quindi all’infinita ricchezza, molteplicità e casualità della realtà sociale, con il termine “formazione sociale” intendiamo la sintesi di quest’infinita molteplicità e complessità del tessuto sociale unificata alla luce della struttura “semplice” del modo di produzione. In questo modo i multiformi aspetti della realtà sociale non sono “dedotti” dalla logica del modo di produzione, ed è possibile pensare la dinamica storica non come risultato delle contraddizioni del modo di produzione, ma come esito aleatorio della specifica interazione, entro la formazione sociale, tra modo di produzione e tessuto sociale.
Per illustrare questa dinamica, ci serviremo di un paragone. Una formazione sociale può essere vista come il sistema formato da un frullino e dalla panna sulla quale il frullino agisce. La panna (il tessuto sociale innervato dalla logica riproduttiva del modo di produzione) si trova inizialmente in forma liquida, in un secondo momento monta, infine si solidifica. Il frullino (modo di produzione) svolge la stessa identica attività durante questi tre stadi: si limita a ruotare (sempre alla stessa velocità, sempre nello stesso senso). Chi volesse trovare nel movimento del frullino le ragioni delle varie “transizioni di stato” della panna rimarrebbe deluso. Dal movimento rotatorio (in sé logicamente infinito) non è possibile dedurre meccanicamente o dialetticamente alcunché. Allo stesso modo, dalla logica autoriproduttiva di un modo di produzione non è possibile dedurre gli stadi di sviluppo attraverso cui passa la formazione sociale, né tantomeno la logica del modo di produzione successivo. Le motivazioni di questi passaggi epocali vanno cercate non tanto nella logica riproduttiva del modo di produzione, quanto nell’interazione specifica (e per certi versi aleatoria) tra questa logica e le caratteristiche del tessuto umano e sociale da essa innervato; non vanno cercate insomma nel movimento rotatorio del frullino, ma nell’interazione tra questo movimento, in sé logicamente semplice e ripetitivo, e le caratteristiche della panna.
Entro questo tipo di concettualizzazione, la logica di un modo di produzione non implica in nessun modo la necessità del suo superamento. Nessuna scienza del modo di produzione può dunque garantire un certo decorso degli eventi (con l’annessa inevitabile vittoria futura dei “buoni”). Le cause delle “transizioni intermodali” (le transizioni da un modo di produzione all’altro, secondo una felice espressione di Costanzo Preve) vanno individuate entro le formazioni sociali, in tutta la loro complessità.
giovedì 15 ottobre 2015
Portogallo: pochi fatti veloci
Si è parlato molto poco, mi sembra, delle recenti elezioni in Portogallo. Segnalo questo articolo di Riccardo Achilli
http://www.linterferenza.info/contributi/portogallo-pochi-fatti-veloci-veloci/
http://www.linterferenza.info/contributi/portogallo-pochi-fatti-veloci-veloci/
lunedì 12 ottobre 2015
Ancora sull'economia dell'inganno
Sabato scorso abbiamo segnalato un articolo nel quale fra l'altro si parla di un recente libro di Akerlof e Shiller. Lo stesso libro è recensito da Marco Onado nell'inserto del Sole24ore di ieri. Mi sembra una recensione interessante. La trovate qui.
domenica 11 ottobre 2015
Paolo Di Remigio: il valore della sovranità
Un excursus hegeliano.
Nelle
rappresentazioni comuni la libertà appare come arbitrio degli
individui, lo Stato come il limite delle libertà individuali. Più è
largo questo limite e lo Stato si ritrae dalla vita degli individui,
più gli individui sono liberi – questa la visione liberale; più
la gestione dello Stato è espressione della volontà degli
individui, più questi sono liberi – questa la visione democratica
e socialista. Si è concordi nel supporre che gli individui siano il
positivo, il bene, lo Stato il negativo, il male. Ciò contrasta però
con l'estensione logica dei termini; l'individuo è infatti il
particolare, rispetto a lui lo Stato è l'universale; poiché il
particolare (ossia l'equivalente al quantificatore «qualche») è
ciò che implica opposizione ad altro e l'universale (l'equivalente
al quantificatore «tutti») ciò in cui i differenti sono
uguagliati, il particolare è il conflittuale, dovrebbe perciò
corrispondere alla rappresentazione del negativo e del male,
l'universale è il pacificato, corrisponderebbe dunque al positivo e
al bene. In verità la visione liberale e quella democratica traggono
la loro plausibilità da un presupposto non tematizzato e per nulla
ovvio: esse si riferiscono a un individuo che è non soltanto
particolare, ma anche universale. Rispetto a questo individuo
che sa coniugare il suo interesse con la cosa pubblica, lo Stato deve
essere liberale e ritrarsi quanto è possibile, così come lo Stato
deve essere democratico ed affidarsi alla volontà degli individui in
quanto questi sono consapevoli della mediazione tra il loro
interesse e l'interesse universale.
La
filosofia ha identificato la volontà chiusa nel suo particolare con
l'arbitrio, la volontà consapevole della mediazione tra la
sua particolarità e l'universale con la libertà. L'arbitrio
è la volontà irriflessa, trascinata dalla tempesta degli impulsi
naturali fino all'autolesionismo e incapace di pensare e realizzare
il bene comune; la libertà è l'esistenza di diritti e doveri e la
loro corrispondenza. Tra arbitrio e libertà non c'è alternativa
reale, piuttosto: l'arbitrio è la forma iniziale della volontà che
l'educazione spinge a diventare libera. Rappresentare questa
educazione è l'obiettivo esplicito di ogni esposizione etica
hegeliana, non solo di quella della Fenomenologia, anche di
quella dei Lineamenti della filosofia del diritto; la prima si
riferisce all'individuo che dalla cupidità arriva alla ragione, la
seconda all'individuo socializzato che dalla proprietà privata
arriva al patriottismo. Percorreremo la prima di queste due vie per
abbozzare un'introduzione alla seconda.
L'economia dell'inganno
Osservazioni interessanti a partire dal "caso Volkswagen":
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/L-economia-dell-inganno-31441
http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/alter/L-economia-dell-inganno-31441
giovedì 8 ottobre 2015
Per fermare il regime
Leonardo Mazzei sottolinea, con l'abituale lucidità, l'importanza del referendum confermativo sulle attuali riforme costituzionali. Concordo con lui che sarà davvero l'ultima occasione per fermare la costituzione di un regime.
http://sollevazione.blogspot.it/2015/10/2016-prepariamoci-vincere-il-referendum.html
http://sollevazione.blogspot.it/2015/10/2016-prepariamoci-vincere-il-referendum.html
domenica 4 ottobre 2015
Sante parole
Sottoscrivo con piacere questo intervento di Aldo Giannuli:
http://www.aldogiannuli.it/la-resa-della-sinistra-pd-e-la-liquidazione-definitiva/
http://www.aldogiannuli.it/la-resa-della-sinistra-pd-e-la-liquidazione-definitiva/
sabato 3 ottobre 2015
Continua a piovere
Si parlava del tempo. Alluvione a Olbia, come due anni fa, e occorre abbattere un ponte appena costruito. Nel frattempo prosegue di gran carriera la creazione di un regime, come ci ricorda Calderoli perché gli altri si dimenticano di farlo. I due ordini di fenomeni mi sembrano collegati, il ceto politico più spettacolarmente cialtrone e incapace dell'intera storia dell'Italia unita sta cercando di garantirsi un futuro.
(M.B.)
(M.B.)
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