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domenica 21 giugno 2015

Un appello da Brindisi


Oltre alla lettera aperta a Renzi che abbiamo pubblicato giovedì, Elena Maria Fabrizio ci ha fatto cortesemente pervenire un appello contro il DDL scuola, espresso dall'assemblea dei lavoratori del suo Liceo. Lo pubblichiamo con piacere perché ci sembra un documento interessante del dibattito in corso.
(M.B.)



Appello per il ritiro del Ddl a salvaguardia della scuola pubblica, ugualitaria, laica e democratica

L’assemblea dei lavoratori del Liceo Scientifico Statale “Fermi-Monticelli” di Brindisi, riunitasi in data 29 maggio 2015, esprime il proprio deciso e motivato dissenso nei confronti del Ddl Scuola (stampato Camera n. 2994) attualmente in discussione al Senato.

L’assemblea rimarca innanzi tutto i fondamenti del vivere civile e democratico che impongono alla legge di essere sempre espressione del popolo sovrano; che tale sovranità si esprime tanto nel rispetto dei principi costituzionali, quanto nel rapporto sempre vivo tra il Parlamento che delibera e la sfera pubblica che avanza temi, contributi, ragioni e bisogni, ai quali il Parlamento non può rendersi pregiudizialmente impermeabile.
Sulla base del principio che la nostra Costituzione ci ha affidato una scuola pubblica, egualitaria, laica e democratica, l’opinione pubblica italiana (docenti, famiglie, alunni, associazioni, intellettuali, studiosi) si è mobilitata per affermare tutte le ragioni per le quali il Ddl non può considerarsi evoluta e giusta espressione di quel principio.
Il Ddl definisce una nuova riorganizzazione delle scuole nella direzione di un maggiore protagonismo dei dirigenti scolastici, ai quali sono attribuiti inspiegabili nuovi poteri tra i quali si segnalano:

il conferimento di incarichi triennali ai docenti inseriti negli ambiti territoriali (mercé chiamata diretta), la valorizzazione del merito dei docenti (art. 9, comma 1 e 2), la gestione dell’organico dell’autonomia assegnato (art. 1, comma 1 e 2, art. 2, comma 15, art. 7, comma 4, art. 8, comma 1, art. 9, comma 7, art. 10, comma 1);

la possibilità di utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da quelle per le quali sono abilitati (art. 9, comma 2)

la scelta degli indirizzi a cui il Collegio dei docenti deve attenersi per l’elaborazione del Piano dell’offerta formativa (art. 2, comma 4: «Il piano è elaborato dal collegio dei docenti sulla base degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico»)


Le norme indicate trascurano innanzi tutto un principio generale che richiama i fondamenti storici e costituzionali delle società democratiche secondo il quale i poteri, la cui natura è di tendere all’ingrandimento, hanno sempre bisogno di essere bilanciati e limitati per evitare la facile deriva autoritaria del loro esercizio. Nello specifico queste ed altre norme ad esse vincolanti vanno abolite per i seguenti motivi.

1) Perché ledono la democrazia scolastica fondata sulla libertà d’insegnamento, sul pluralismo e sull’autonomia personale.
2) Perché con la liberalizzazione degli insegnamenti mortificano la dignità e professionalità dei docenti e il loro ruolo culturale, obbligandoli ad essere flessibili in discipline per le quali potrebbero non aver maturato esperienza didattica e formazione adeguata, senza considerare il danno che si infligge alla qualità della didattica e alla preparazione culturale degli alunni, tanto agognate dal Ddl.
3) Perché delegittimano gli organi collegiali come effetto diretto ed immediato della programmazione triennale demandata alle esclusive scelte iniziali del Dirigente in materia di offerta formativa.
4) Perché da esse dipende la logica della valutazione. La valutazione del merito dei docenti (art. 13), stabilita direttamente dal dirigente scolastico, sulla base dei criteri indicati dal Comitato per la valutazione, è una scelta non idonea allo scopo dichiarato di premiare i meritevoli e di migliorare la qualità della didattica.
a) Rispetto alla «premialità» o «retribuzione accessoria», essa incentiverà esclusivamente solo una parte del personale, peraltro con risorse irrisorie (200 milioni l’anno), mentre la maggior parte non solo continuerà a percepire buste paga ferme al 2009 e ormai sotto il livello del costo della vita di almeno 4 punti percentuali, ma non avrà neanche la possibilità di ricevere il medesimo riconoscimento per il lavoro svolto per quanto encomiabile esso potrà essere.
b) Rispetto al miglioramento della qualità della didattica, si evidenzia innanzi tutto che delegare l’esito della valutazione al Ds e la scelta dei criteri di valutazione a cui attenersi ad un Comitato per la valutazione, presieduto dal Ds e composto da due docenti e da due rappresentanti dei genitori (per il primo ciclo) o da un rappresentante dei genitori e uno degli alunni (per il secondo ciclo), non garantisce lo scopo desiderato. Perché non si può demandare una funzione così delicata a pochi soggetti che potrebbero non possedere un’adeguata formazione culturale e potrebbero farsi orientare da applicazioni soggettive, parziali e arbitrarie degli oscuri e indeterminati parametri richiesti (art.13, comma 3, punti a, b, c).
Al contrario si ritiene che: a) fondamentale scopo della valutazione sia il miglioramento degli apprendimenti e della formazione culturale e complessiva degli alunni; b) per essere efficace tale obiettivo non debba essere associato a nessuna forma di retribuzione economica del merito; c) unica garanzia di imparzialità e qualità della valutazione sia affidare la scelta dei criteri e dei metodi al Collegio dei docenti. Il quale opera per norma costituzionale e etica in spirito di collaborazione e solidarietà, facendosi orientare dalla piena consapevolezza che la scuola italiana è un’istituzione dello Stato di diritto democratico, fondata sui principi universali di libertà, eguaglianza, inclusione, giustizia sociale, partecipazione democratica al miglioramento di un bene che è pubblico e tale deve rimanere.
5) Tali norme vanno inoltre abolite insieme a quelle relative alla logica degli ambiti territoriali. Perché la formazione di ambiti territoriali, la cui ampiezza definitiva e i criteri di elaborazione non sono stati ancora definiti, ma nei quali confluiranno docenti precari, sovrannumerari e in mobilità (art. 4), crea di fatto un’inaccettabile mobilità di tutto il personale, con grave lesione dei diritti acquisiti dai docenti e ancora una volta della stessa qualità didattica inficiata dalla discontinuità. Abolendo le vigenti normative di reclutamento, ricollocamento e trasferimento, potenzia la discrezionalità dei Dirigenti che per dare piena attuazione al Piano triennale dell’offerta formativa mercé chiamata nominativa dei docenti prescelti possono promuovere una gestione arbitraria e clientelistica degli stessi ambiti territoriali e quindi della scuola.


L’intera linea politica del Ddl è condizionata da una visione miope e irresponsabile, aggravata dalla mancanza di una visione culturale, sociale e pubblica di scuola, perché si limita alla proposta di un riassetto amministrativo che va ulteriormente a ingorgare e amplificare la già nota iperattività del Piano dell’offerta formativa avviata con l’autonomia scolastica (art. 2). E lo fa seguendo un preciso orientamento che si può sintetizzare nella logica del risparmio e nello scarso valore che si attribuisce alla scuola come bene pubblico.
Il Ddl sorvola sulla necessità di massicci investimenti statali che un tale piano di riforma è chiamato a sostenere se vuole raggiungere gli scopi di qualità e formazione in tutte le scuole e su tutto il territorio italiano, e quindi per tutti gli studenti. Esso in più punti affida alla ricerca di risorse esterne e private fondamentali oneri per l’attuazione di alcuni aspetti cardine della riforma e del potenziamento dell’offerta formativa (art. 2, comma 3: «Le istituzioni scolastiche, nei limiti delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica…» e passim; art. 2, comma 14: «Le istituzioni scolastiche, nel limite delle risorse disponibili, realizzano i progetti inseriti nei piani triennali dell'offerta formativa, anche utilizzando le risorse di cui all'articolo 7, comma 6, e all'articolo 8»; art. 2, comma 10, punto 5: «Ai fini della predisposizione del piano, il dirigente scolastico promuove i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel territorio»). Ne conseguiranno evidenti ulteriori e insanabili differenziazioni sul territorio nazionale e difficoltà insormontabili nelle zone economicamente meno favorite.
Si legalizza così la possibilità dello Stato di abdicare alla sua funzione sociale ed economica, infliggendo un ulteriore duro colpo all’art. 3 della Costituzione e quindi al Welfare. Basti pensare all’angosciante problema della dispersione scolastica, affrontato con irresponsabile incompetenza, laddove si ignora intenzionalmente la matrice socio-economica di problemi come la scarsa alfabetizzazione e le difficoltà nell’apprendimento, spesso connessi alle diseguaglianze economico-sociali diffuse sul territorio italiano, che al contrario hanno bisogno di un programma di istruzione speciale che parta dalla scuola primaria e di un adeguato sostegno sociale.

Dopo aver assistito negli ultimi anni a un depauperamento senza precedenti della Scuola da parte di governi attenti soltanto a risanare il bilancio dello Stato, con un taglio di risorse pari a otto miliardi di euro e 150 mila posti di lavoro, mai restituite, con il dimezzamento del Fondo di Istituto e del MOF negli ultimi quattro anni, con le “razionalizzazioni” previste della legge 133/2008, con la trattenuta illegittima del 2,5% del TFR sulla paga del lavoratori, con il blocco degli scatti e della rivalutazione dell’indennità di vacanza contrattuale, con i circa 4 mila euro di arretrati per mancati aumenti di stipendio, i fondi stanziati dal Governo (art. 21 e Legge di Stabilità) risultano palesemente insufficienti.
La valorizzazione delle professionalità si realizza anche e soprattutto attraverso il riconoscimento giuridico-economico dei diritti costituzionalmente garantiti, dalla libertà dell’insegnamento alla giusta retribuzione di un lavoro connotato da una importante funzione sociale, finalizzato come è al bene superiore dello sviluppo culturale e sociale di tutto il paese. L’adeguamento degli stipendi impone inoltre il riconoscimento non pregiudiziale del principio che la retribuzione è il corrispettivo di una professione che si deve presupporre esercitata con dovere, responsabilità e rispetto delle regole.

Il Ddl tace anche sulla valorizzazione della professionalità del personale Ata che è stato ridotto di 45 mila unità negli ultimi tre anni, a cui al contrario vanno riconosciute competenze e responsabilità nella complessa gestione e realizzazione del progetto didattico. Insieme al bisogno di coinvolgere tali figure professionali nei momenti di partecipazione alle decisioni della vita scolastica, ridefinendone i profili giuridici ed economici, occorre predisporre un immediato piano di stabilizzazione; consolidare in diritto gli attuali posti in organico di fatto, istituire l'organico funzionale di istituto e procedere alla internalizzazione del servizio di pulizia della scuola.

Gli operatori della scuola e tutta la società non possono chinarsi al ricatto che sottende questo Ddl, che per realizzare il piano straordinario delle assunzioni di fatto stravolge il modello organizzativo della scuola a scapito dei diritti di lavoratori e studenti.
A questo proposito si rileva la lampante ingiustizia con la quale si vorrebbe mettere in opera questo piano (art. 10) escludendo dalle assunzioni 30 mila docenti abilitati inseriti nelle GaE, 20 mila idonei di concorso, 50 mila diplomati magistrali ai quali il Consiglio di Stato ha riconosciuto il diritto all’immissione in ruolo, circa 70 mila insegnanti inseriti nelle graduatorie d’istituto nella maggioranza dei casi regolarmente abilitati e con almeno 36 mesi di servizio alle spalle. È palese la incostituzionalità di una proposta di legge che disconosce alle abilitazioni stessa validità legale.
Con le deleghe in bianco in materia di sistema nazionale di istruzione e formazione il Governo può intervenire nella ridefinizione del testo unico, nelle modalità di formazione e reclutamento del personale docente con cadenza triennale, nel riordino delle classi disciplinari e nell’attribuzione degli insegnamenti secondo i criteri della flessibilità, nella ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno, nella revisione dei percorsi dell'istruzione professionale, nell’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione della scuola dell’infanzia, nella garanzia dell'effettività del diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, nella promozione e diffusione della cultura umanistica, nella valorizzazione del patrimonio e della produzione culturali, musicali, teatrali, coreutici e cinematografici. Con una tale mole di deleghe si sottrae di fatto buona parte della legislazione scolastica alla deliberazione parlamentare e si apre uno scenario di modifiche all’ordinamento meramente potestative.

Alla luce delle motivate e reiterate ragioni su esposte, l’assemblea

chiede

il ritiro di questo disegno di legge;

una riforma democratica della scuola nel metodo e nel merito, che coinvolga direttamente chi vi opera ogni giorno;

l’assunzione immediata di tutti i precari aventi diritto sui posti disponibili senza differenziazioni ingiustificate tra gli stessi; un piano pluriennale di stabilizzazioni che ponga fine all’uso improprio del precariato, quindi l’equivalenza tra SSIS e PAS - TFA e la confluenza di tutti gli abilitati in un'unica graduatoria dalla quale assumere a tempo indeterminato;

una adeguata considerazione delle figure professionali appartenenti ai profili ATA, ed un piano di assunzioni che riguardi anche le posizioni di questi lavoratori;

l’impegno del Governo ad un urgente, costante e crescente piano di investimenti nella scuola statale;

l’integrale revisione della Legge Gelmini, con il ripristino delle ore disciplinari tagliate e l’abbassamento del numero di allievi per classe a max 20-22;

rivendica

l' immediato rinnovo del contratto nazionale scaduto da sei anni

la stabilizzazione del personale Ata.



A tal fine l’assemblea si appella a tutte le forze politiche presenti in Senato affinché si impegnino nella discussione e diffusione del seguente appello e di tutte le altre istanze che il lavoratori della scuola, i sindacati, le famiglie, le associazioni hanno presentato e espresso più volte in documenti, appelli, petizioni, mozioni, lettere, manifestazioni in piazze reali e virtuali.

Inoltre adotta come forma di comunicazione l’invio via mail del presente documento ai Senatori della Repubblica componenti la Commissione del Senato ed ai Senatori

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