Oltre alla lettera aperta a Renzi che abbiamo pubblicato giovedì, Elena Maria Fabrizio ci ha fatto cortesemente pervenire un appello contro il DDL scuola, espresso dall'assemblea dei lavoratori del suo Liceo. Lo pubblichiamo con piacere perché ci sembra un documento interessante del dibattito in corso.
(M.B.)
Appello per
il ritiro del Ddl a salvaguardia della scuola pubblica, ugualitaria,
laica e democratica
L’assemblea
dei lavoratori del Liceo Scientifico Statale “Fermi-Monticelli”
di Brindisi, riunitasi
in data 29 maggio 2015, esprime il proprio deciso e motivato dissenso
nei confronti del Ddl Scuola (stampato Camera n. 2994) attualmente in
discussione al Senato.
L’assemblea
rimarca innanzi tutto i fondamenti del vivere civile e democratico
che impongono alla legge di essere sempre espressione del popolo
sovrano; che tale sovranità si esprime tanto nel rispetto dei
principi costituzionali, quanto nel rapporto sempre vivo tra il
Parlamento che delibera e la sfera pubblica che avanza temi,
contributi, ragioni e bisogni, ai quali il Parlamento non può
rendersi pregiudizialmente impermeabile.
Sulla
base del principio che la nostra Costituzione ci ha affidato una
scuola pubblica, egualitaria, laica e democratica, l’opinione
pubblica italiana (docenti, famiglie, alunni, associazioni,
intellettuali, studiosi) si è mobilitata per affermare tutte le
ragioni per le quali il Ddl non può considerarsi evoluta e giusta
espressione di quel principio.
Il
Ddl definisce una nuova riorganizzazione delle scuole nella direzione
di un maggiore protagonismo dei dirigenti scolastici, ai quali sono
attribuiti inspiegabili nuovi poteri tra i quali si segnalano:
il
conferimento di incarichi triennali ai docenti inseriti negli ambiti
territoriali (mercé chiamata diretta), la valorizzazione del merito
dei docenti (art. 9, comma 1 e 2), la gestione dell’organico
dell’autonomia assegnato (art. 1, comma 1 e 2, art. 2, comma 15,
art. 7, comma 4, art. 8, comma 1, art. 9, comma 7, art. 10, comma 1);
la
possibilità di utilizzare i docenti in classi di concorso diverse da
quelle per le quali sono abilitati (art. 9, comma 2)
la
scelta degli indirizzi a cui il Collegio dei docenti deve attenersi
per l’elaborazione del Piano dell’offerta formativa (art. 2,
comma 4: «Il piano è elaborato dal collegio dei docenti sulla base
degli indirizzi per le attività della scuola e delle scelte di
gestione e di amministrazione definiti dal dirigente scolastico»)
Le
norme indicate trascurano innanzi tutto un principio generale che
richiama i fondamenti storici e costituzionali delle società
democratiche secondo il quale i poteri, la cui natura è di tendere
all’ingrandimento, hanno sempre bisogno di essere bilanciati e
limitati per evitare la facile deriva autoritaria del loro esercizio.
Nello specifico queste ed altre norme ad esse vincolanti vanno
abolite per i seguenti motivi.
1)
Perché ledono la democrazia scolastica fondata sulla libertà
d’insegnamento, sul pluralismo e sull’autonomia personale.
2)
Perché con la liberalizzazione degli insegnamenti mortificano la
dignità e professionalità dei docenti e il loro ruolo culturale,
obbligandoli ad essere flessibili in discipline per le quali
potrebbero non aver maturato esperienza didattica e formazione
adeguata, senza considerare il danno che si infligge alla qualità
della didattica e alla preparazione culturale degli alunni, tanto
agognate dal Ddl.
3)
Perché delegittimano gli organi collegiali come effetto diretto ed
immediato della programmazione triennale demandata alle esclusive
scelte iniziali del Dirigente in materia di offerta formativa.
4)
Perché da esse dipende la logica della valutazione. La
valutazione del merito dei docenti (art. 13), stabilita direttamente
dal dirigente scolastico, sulla base dei criteri indicati dal
Comitato per la valutazione, è una scelta non idonea allo scopo
dichiarato di premiare i meritevoli e di migliorare la qualità della
didattica.
a)
Rispetto alla «premialità» o «retribuzione accessoria», essa
incentiverà esclusivamente solo una parte del personale, peraltro
con risorse irrisorie (200 milioni l’anno), mentre la maggior parte
non solo continuerà a percepire buste paga ferme al 2009 e ormai
sotto il livello del costo della vita di almeno 4 punti percentuali,
ma non avrà neanche la possibilità di ricevere il medesimo
riconoscimento per il lavoro svolto per quanto encomiabile esso potrà
essere.
b)
Rispetto al miglioramento della qualità della didattica, si
evidenzia innanzi tutto che delegare l’esito della valutazione al
Ds e la scelta dei criteri di valutazione a cui attenersi ad un
Comitato per la valutazione, presieduto dal Ds e composto da due
docenti e da due rappresentanti dei genitori (per il primo ciclo) o
da un rappresentante dei genitori e uno degli alunni (per il secondo
ciclo), non garantisce lo scopo desiderato. Perché non si può
demandare una funzione così delicata a pochi soggetti che potrebbero
non possedere un’adeguata formazione culturale e potrebbero farsi
orientare da applicazioni soggettive, parziali e arbitrarie degli
oscuri e indeterminati parametri richiesti (art.13, comma 3, punti a,
b, c).
Al contrario si ritiene che: a) fondamentale scopo della valutazione
sia il miglioramento degli apprendimenti e della formazione culturale
e complessiva degli alunni; b) per essere efficace tale obiettivo non
debba essere associato a nessuna forma di retribuzione economica del
merito; c) unica garanzia di imparzialità e qualità della
valutazione sia affidare la scelta dei criteri e dei metodi al
Collegio dei docenti. Il quale opera per norma costituzionale e etica
in spirito di collaborazione e solidarietà, facendosi orientare
dalla piena consapevolezza che la scuola italiana è un’istituzione
dello Stato di diritto democratico, fondata sui principi universali
di libertà, eguaglianza, inclusione, giustizia sociale,
partecipazione democratica al miglioramento di un bene che è
pubblico e tale deve rimanere.
5)
Tali norme vanno inoltre abolite insieme a quelle relative alla
logica degli ambiti territoriali. Perché
la formazione di ambiti territoriali, la cui ampiezza definitiva e i
criteri di elaborazione non sono stati ancora definiti, ma nei quali
confluiranno docenti precari, sovrannumerari e in mobilità (art. 4),
crea di fatto un’inaccettabile mobilità di tutto il personale, con
grave lesione dei diritti acquisiti dai docenti e ancora una volta
della stessa qualità didattica inficiata dalla discontinuità.
Abolendo le vigenti normative di reclutamento, ricollocamento e
trasferimento, potenzia la discrezionalità dei Dirigenti che per
dare piena attuazione al Piano triennale dell’offerta formativa
mercé chiamata nominativa dei docenti prescelti possono promuovere
una gestione arbitraria e clientelistica degli stessi ambiti
territoriali e quindi della scuola.
L’intera
linea politica del Ddl è condizionata da una visione miope e
irresponsabile, aggravata dalla mancanza di una visione culturale,
sociale e pubblica di scuola, perché si limita alla proposta di un
riassetto amministrativo che va ulteriormente a ingorgare e
amplificare la già nota iperattività del Piano dell’offerta
formativa avviata con l’autonomia scolastica (art. 2). E lo fa
seguendo un preciso orientamento che si può sintetizzare nella
logica del risparmio e nello scarso valore che si attribuisce alla
scuola come bene pubblico.
Il
Ddl sorvola sulla necessità di massicci investimenti statali che un
tale piano di riforma è chiamato a sostenere se vuole raggiungere
gli scopi di qualità e formazione in tutte le scuole e su tutto il
territorio italiano, e quindi per tutti gli studenti. Esso
in più punti affida alla ricerca di risorse esterne e private
fondamentali oneri per l’attuazione di alcuni aspetti cardine della
riforma e del potenziamento dell’offerta formativa (art. 2, comma
3: «Le istituzioni scolastiche, nei limiti delle risorse umane,
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e,
comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica…»
e passim; art. 2, comma 14: «Le istituzioni scolastiche, nel limite
delle risorse disponibili, realizzano i progetti inseriti nei piani
triennali dell'offerta formativa, anche utilizzando le risorse di cui
all'articolo 7, comma 6, e all'articolo 8»; art. 2, comma 10, punto
5: «Ai fini della predisposizione del piano, il dirigente scolastico
promuove i necessari rapporti con gli enti locali e con le diverse
realtà istituzionali, culturali, sociali ed economiche operanti nel
territorio»). Ne conseguiranno evidenti ulteriori e insanabili
differenziazioni sul territorio nazionale e difficoltà
insormontabili nelle zone economicamente meno favorite.
Si
legalizza così la possibilità dello Stato di abdicare alla sua
funzione sociale ed economica, infliggendo un ulteriore duro colpo
all’art. 3 della Costituzione e quindi al Welfare. Basti pensare
all’angosciante problema della dispersione scolastica, affrontato
con irresponsabile incompetenza, laddove si ignora intenzionalmente
la matrice socio-economica di problemi come la scarsa
alfabetizzazione e le difficoltà nell’apprendimento, spesso
connessi alle diseguaglianze economico-sociali diffuse sul territorio
italiano, che al contrario hanno bisogno di un programma di
istruzione speciale che parta dalla scuola primaria e di un adeguato
sostegno sociale.
Dopo
aver assistito negli ultimi anni a un depauperamento senza precedenti
della Scuola da parte di governi attenti soltanto a risanare il
bilancio dello Stato, con un taglio di risorse pari a otto miliardi
di euro e 150 mila posti di lavoro, mai restituite, con il
dimezzamento del Fondo di Istituto e del MOF negli ultimi quattro
anni, con le “razionalizzazioni” previste della legge 133/2008,
con la trattenuta illegittima del 2,5% del TFR sulla paga del
lavoratori, con il blocco degli scatti e della rivalutazione
dell’indennità di vacanza contrattuale, con i circa 4 mila euro di
arretrati per mancati aumenti di stipendio, i fondi stanziati dal
Governo (art. 21 e Legge di Stabilità) risultano palesemente
insufficienti.
La
valorizzazione delle professionalità si realizza anche e soprattutto
attraverso il riconoscimento giuridico-economico dei diritti
costituzionalmente garantiti, dalla libertà dell’insegnamento alla
giusta retribuzione di un lavoro connotato da una importante funzione
sociale, finalizzato come è al bene superiore dello sviluppo
culturale e sociale di tutto il paese. L’adeguamento degli stipendi
impone inoltre il riconoscimento non pregiudiziale del principio che
la retribuzione è il corrispettivo di una professione che si deve
presupporre esercitata con dovere, responsabilità e rispetto delle
regole.
Il
Ddl tace anche sulla valorizzazione della professionalità del
personale Ata che è stato ridotto di 45 mila unità negli ultimi tre
anni, a cui al contrario vanno riconosciute competenze e
responsabilità nella complessa gestione e realizzazione del progetto
didattico. Insieme al bisogno di coinvolgere tali figure
professionali nei momenti di partecipazione alle decisioni della vita
scolastica, ridefinendone i profili giuridici ed economici, occorre
predisporre un immediato piano di stabilizzazione; consolidare in
diritto gli attuali posti in organico di fatto, istituire l'organico
funzionale di istituto e procedere alla internalizzazione del
servizio di pulizia della scuola.
Gli
operatori della scuola e tutta la società non possono chinarsi al
ricatto che sottende questo Ddl, che per realizzare il piano
straordinario delle assunzioni di fatto stravolge il modello
organizzativo della scuola a scapito dei diritti di lavoratori e
studenti.
A
questo proposito si rileva la lampante ingiustizia con la quale si
vorrebbe mettere in opera questo piano (art. 10) escludendo dalle
assunzioni 30 mila docenti abilitati inseriti nelle GaE, 20 mila
idonei di concorso, 50 mila diplomati magistrali ai quali il
Consiglio di Stato ha riconosciuto il diritto all’immissione in
ruolo, circa 70 mila insegnanti inseriti nelle graduatorie d’istituto
nella maggioranza dei casi regolarmente abilitati e con almeno 36
mesi di servizio alle spalle. È palese la incostituzionalità di una
proposta di legge che disconosce alle abilitazioni stessa validità
legale.
Con
le deleghe in bianco in materia di sistema nazionale di istruzione e
formazione il Governo può intervenire nella ridefinizione del testo
unico, nelle modalità di formazione e reclutamento del personale
docente con cadenza triennale, nel riordino delle classi disciplinari
e nell’attribuzione
degli insegnamenti secondo i criteri della flessibilità, nella
ridefinizione del ruolo del personale docente di sostegno, nella
revisione dei percorsi dell'istruzione professionale,
nell’istituzione del sistema integrato di educazione e di
istruzione della scuola dell’infanzia, nella garanzia
dell'effettività del diritto allo studio su tutto il territorio
nazionale, nella promozione e diffusione della cultura umanistica,
nella valorizzazione del patrimonio e della produzione culturali,
musicali, teatrali, coreutici e cinematografici. Con una tale mole di
deleghe si sottrae di fatto buona parte della legislazione scolastica
alla deliberazione parlamentare e si apre uno scenario di modifiche
all’ordinamento meramente potestative.
Alla
luce delle motivate e reiterate ragioni su esposte, l’assemblea
chiede
il
ritiro di questo disegno di legge;
una
riforma democratica della scuola nel metodo e nel merito, che
coinvolga direttamente chi vi opera ogni giorno;
l’assunzione
immediata di tutti i precari aventi diritto sui posti disponibili
senza differenziazioni ingiustificate tra gli stessi; un piano
pluriennale di stabilizzazioni che ponga fine all’uso improprio del
precariato, quindi l’equivalenza tra SSIS e PAS - TFA e la
confluenza di tutti gli abilitati in un'unica graduatoria dalla quale
assumere a tempo indeterminato;
una
adeguata considerazione delle figure professionali appartenenti ai
profili ATA, ed un piano
di assunzioni che riguardi anche le posizioni di questi lavoratori;
l’impegno
del Governo ad un urgente, costante e crescente piano di investimenti
nella scuola statale;
l’integrale
revisione della Legge Gelmini, con il ripristino delle ore
disciplinari tagliate e l’abbassamento del numero di allievi per
classe a max 20-22;
rivendica
l'
immediato rinnovo del contratto nazionale scaduto da sei anni
la
stabilizzazione del personale Ata.
A
tal fine l’assemblea si appella a tutte le forze politiche presenti
in Senato affinché si impegnino nella discussione e diffusione del
seguente appello e di tutte le altre istanze che il lavoratori della
scuola, i sindacati, le famiglie, le associazioni hanno presentato e
espresso più volte in documenti, appelli, petizioni, mozioni,
lettere, manifestazioni in piazze reali e virtuali.
Inoltre
adotta come forma di comunicazione l’invio via mail del presente
documento ai Senatori della Repubblica componenti la Commissione del
Senato ed ai Senatori
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