Pasquinelli indica due fattori causali per la nascita della “tesi del superamento”: sul piano materiale, la relativa stabilizzazione del capitalismo, avvenuta dopo i turbolenti anni Settanta del Novecento, e la conseguente “cetomedizzazione” dei ceti subalterni. Sul piano intellettuale, le critiche al marxismo sviluppate dal mondo intellettuale post-strutturalista, e in generale l'egemonia conquistata dalla “narrazione” intellettuale post-modernista. Il complesso di queste correnti intellettuali (lo “spirito del tempo”, potremmo dire) convergeva nella tesi che “le società occidentali non erano più capitalistiche ma strane amebe “post-borghesi” “. Queste posizioni avrebbero influenzato alcuni autori di estrazione marxista, come Preve. Ma con la crisi attuale esse avrebbero dimostrato di avere il fiato corto: “L'apparenza che fossimo entrati in una società post-capitalistica e post-borghese, che la storia fosse finita, che la lotta di classe fosse un ricordo di tempi andati, ha lasciato tracce ma sta esaurendo la sua forza espansiva”. La crisi, secondo Pasquinelli, porterà alla ripresa della lotta di classe e quindi alla ripresa dell'opposizione di destra e sinistra.
Fin qui l'articolo di Pasquinelli, che ho riassunto nella parte che mi interessa discutere. Credo che nel tentativo di dissipare la confusione che, come ho detto, mi sembra addensarsi in questi dibattiti, sia necessario cercare di delimitare l'oggetto della discussione. È chiaro infatti che alla “tesi del superamento” ci si può arrivare con percorsi molto diversi, ed essa può quindi avere valenze diverse. In questo articolo discuterò un ambito preciso nel quale è stata elaborata questa tesi: il gruppo intellettuale che ha pubblicato la rivista “Koiné” nella seconda metà degli anni Novanta. Farò riferimento al pensiero di Massimo Bontempelli e Costanzo Preve, che sono stati i principali "riferimenti filosofici" della rivista. Con una ulteriore precisazione: per quanto riguarda Bontempelli mi riferisco all'intero ambito della sua produzione, che conosco bene sia per letture sia per frequentazione personale. Per quanto riguarda Preve mi riferisco alla sua produzione degli anni Novanta, che conosco meglio di quella successiva. Fatte queste premesse, vediamo in che cosa la ricostruzione di Pasquinelli mi sembra poco convincente, almeno in riferimento al pensiero di Bontempelli e Preve.
1. Il post-modernismo: Pasquinelli, come
si è detto, vede l'origine intellettuale della “tesi del
superamento” nel pensiero post-strutturalista e in generale nella
temperie culturale post-moderna che è egemone nel mondo occidentale
almeno a partire dagli anni Ottanta. Una tale affermazione a me
sembra falsa se presa in senso stretto, e vuota se presa in senso
generico. Vediamo quest'ultimo punto: proprio perché il post-moderno
è il pensiero egemone da decenni, è lo “spirito del tempo”
(come scrivevo sopra), è ovvio che in un modo o nell'altro ne siamo
stati tutti influenzati: Bontempelli, Preve, io, Pasquinelli e così
via. Ma questa ovvietà non dice chiaramente nulla sul modo specifico
in cui questa influenza viene elaborata: è una vuota banalità. Se
si va a vedere il contenuto specifico delle tesi fondamentali di
Bontempelli e Preve, si scopre che esse si contrappongono
frontalmente alle tesi fondamentali del post-modernismo, e quindi la
tesi dell'influenza di quest'ultimo sui primi, se presa in senso
stretto, cioè come affermazione del fatto che le tesi
post-moderniste si ritrovino nel pensiero di Bontempelli e Preve, è
semplicemente falsa. Infatti, qual è la tesi fondamentale del
post-modernismo? Mi sembra che si possa sintetizzare nella tesi della
non esistenza della Verità in senso forte, nel senso che la
tradizione filosofica occidentale ha ad essa attribuito. Ma la tesi
fondamentale del pensiero filosofico di Bontempelli e Preve è
proprio quella del carattere veritativo della filosofia. Chi sono i
pensatori di riferimento del post-modernismo? Molti e variati,
naturalmente, ma credo si possa affermare che Nietzsche e Heidegger
sono gli autori imprescindibili. Chi sono gli autori fondamentali per
Bontempelli e Preve? Anche qui molti e vari, ma il riferimento
fondamentale è ad Hegel e Marx, precisamente le due “bestie nere”
del post-modernismo. Tutto questo è indice di una contrapposizione
radicale fra il pensiero di Bontempelli e Preve e la temperie
culturale post-moderna. Per mostrare questa contrapposizione si
potrebbero portare citazioni dall'intera produzione di questi due
autori, ma per brevità mi limito a una citazione per uno, prese
entrambe da un libro che mette assieme un testo di Bontempelli e uno
di Preve: “Nichilismo Verità Storia”, edizioni CRT 1997.
Bontempelli: “Il mondo storico umano
contiene dunque in sé, come suo fondamento assoluto di verità, una
articolazione universale e immodificabile di significati ontologici,
che rappresentano, nella loro unità dialettica, la verità fondativa
dell'essere sociale” (pagg.99-100).
Preve: “In Hegel la verità diventa
correttamente l'oggetto di una scienza filosofica […]. La sua
eredità non viene però raccolta […]. Invece della corretta
nozione hegeliana di scienza filosofica, basata sulle reciproca
connessione essenziale delle parti nell'intero che ne esprime la
verità, si affermano nella modernità due concezioni separate e
incomunicabili di scienza e filosofia.” (pag.127).
È immaginabile che un pensatore
post-moderno possa scrivere frasi del genere? A me sembra di no.
Riassumendo: il pensiero di Bontempelli
e Preve si contrappone frontalmente alle tesi fondamentali del
pensiero post-moderno, quindi l'idea che la “tesi del superamento”,
almeno nella forma che assume in Bontempelli e Preve, sia derivata
dalla temperie culturale post-moderna, appare difficile da sostenere.
2. Capitalismo e borghesia. La “tesi
del superamento” è da Pasquinelli collegata alla tesi che la
società contemporanea sia una società post-borghese e
post-capitalistica. Ma quest'ultima tesi non ha davvero nulla a che
fare con quanto hanno teorizzato Bontempelli e Preve. Essi hanno
sostenuto una cosa completamente diversa, cioè che la società
attuale è una forma di capitalismo post-borghese. Naturalmente, una
simile tesi ha senso solo se si comprende che per Bontempelli e Preve
la nozione di “borghesia” è distinta da quella di “capitalismo”.
Non è qui il luogo per approfondire questo tema (certo molto
importante), quello che voglio sottolineare è che per i due autori
in questione la società moderna è una società capitalistica contro
le cui ingiustizie occorre lottare, e quindi è completamente
fuorviante iscriverli al gruppo dei pensatori che hanno creduto alla
fine “di ogni idea di emancipazione rivoluzionaria dal
capitalismo”, come scrive Pasquinelli. La cosa buffa è che questo
punto, oltre a ricorrere continuamente negli scritti di Bontempelli e
Preve, è anche facilmente ricavabile dal passo di Preve che lo
stesso Pasquinelli cita. Infatti in esso Preve parla della classe
dominante “in un primo tempo borghese-capitalistica e oggi
semplicemente capitalistica (e post-borghese)”: dove si capisce
chiaramente che quanto Preve sostiene è il carattere capitalistico
ma non borghese dell'attuale classe dominante (e quindi, come si
inferisce facilmente, degli attuali rapporti sociali). Naturalmente,
la tesi della distinzione fra borghesia e capitalismo può essere
discussa, criticata e rifiutata, ma non può essere stravolta.
Inserire Preve (o Bontempelli) nel calderone di chi teorizza che la società contemporanea sia post-capitalistica, come sembra fare
Pasquinelli, è davvero fare violenza alla verità.
Questo era quanto mi sembrava
necessario dire per contrastare quella che ritengo una ricostruzione
poco convincente delle origini intellettuali della “tesi del
superamento”, almeno nella forma che tale tesi assume in
Bontempelli e Preve.
Pasquinelli solleva però molti altri
temi, indipendenti dalla discussione sul pensiero di Preve, e
meritevoli di una esame approfondito, che non posso fare qui per non
allungare ulteriormente questo intervento. Mi limito ad accennare
brevemente a due punti importanti.
Per prima cosa, osserviamo che
Pasquinelli sembra ritenere che la ripresa dello scontro di classe,
inevitabile nella attuale situazione di crisi generale del
capitalismo, porterà alla ripresa della contrapposizione di destra e
sinistra. Questo perché egli ritiene che la dicotomia di destra e
sinistra “inequivocabilmente scaturisce” dalla “opposizione tra
le classi”: ma è proprio questo il punto in questione. La
questione, cioè, non è se esistano il capitalismo o la lotta di
classe, la questione è se la lotta di classe nel capitalismo si
rappresenti politicamente sempre e comunque nella forma della
contrapposizione di destra e sinistra. Secondo Bontempelli, e secondo
l'autore di queste righe, non è così: la contrapposizione di destra
e sinistra è una forma particolare dello scontro politico
all'interno del capitalismo, che è stata superata dagli sviluppi
recenti delle società capitalistiche. Naturalmente, per capirci,
occorre mettersi d'accordo su cosa si intende per sinistra (e
destra). La nozione proposta da Bontempelli e me si può trovare nei
nostri scritti (in particolare qui e qui). In estrema sintesi, in
questi testi sosteniamo che la sinistra è il luogo culturale e
politico che nella modernità ha coniugato le istanze di
emancipazione dei ceti subalterni con le istanze di sviluppo
economico e tecnologico. La sinistra è stata vitale finché è stato
possibile pensare di ottenere l'emancipazione attraverso lo sviluppo.
Da alcuni decenni siamo entrati in una situazione nella quale lo
sviluppo economico è essenzialmente de-emancipatorio, e questo
toglie lo spazio vitale della sinistra.
Questa, dicevo, è la nozione di
sinistra da noi utilizzata. Ovviamente, quanto appena detto
rappresenta una semplice enunciazione dogmatica, non argomentata, di
alcune tesi. Le argomentazioni si trovano nei testi citati. Riporto
qui tale enunciazione solo per spiegare che la tesi del superamento
di destra e sinistra è strettamente legata ad una precisa
definizione di cosa si debba intendere per “sinistra”.
Vengo allora all'ultimo punto
che volevo discutere: qual è la definizione di “sinistra” cui fa
riferimento Pasquinelli? Essa non è esplicitata nell'articolo che
stiamo discutendo, ma si trova, espressa con tutta la chiarezza
necessaria, in un commento ad un altro post pubblicato su “Sollevazione”: “considero di sinistra chi e solo chi
postula come necessario fuoriuscire dal capitalismo per una società
dove la ricchezza venga equamente distribuita fra tutti e quindi i
mezzi di produzione non siano più strumenti per i privilegi di una
classe sociale (capitale) ma beni comuni, proprietà sociale”. Cioè
per Pasquinelli “sinistra” è definita
come “anticapitalismo socialista” (distinto quindi da un
eventuale anticapitalismo reazionario o fascista). Questa è una
definizione chiara e precisa, ma ha un difetto: è in contrasto col
significato che la nozione di “sinistra” ha avuto nella storia,
perché esclude la sinistra riformista (nel senso storico della
parola “riformismo”, che non è ovviamente quello attuale). La
sinistra è stata storicamente il luogo politico di chi lottava per
l'emancipazione dei ceti subalterni, ma questa lotta non coincideva
necessariamente con l'anticapitalismo. Nella sinistra si sono
incontrati i rivoluzionari e i riformisti, chi voleva superare il
capitalismo e chi nella sostanza lo accettava cercando di
indirizzarne gli sviluppi a favore delle classi subalterne. Se questo
è vero (e mi pare innegabile che lo sia), introdurre
l'anticapitalismo come condizione necessaria nella
definizione di “sinistra” significa in realtà
rifiutare la nozione di “sinistra” come è storicamente esistita,
e introdurre una nozione nuova. Questo vuol dire che Pasquinelli
rifiuta anch'egli la sostanza della nozione storica di “sinistra”,
ma invece di mettere da parte il nome assieme alla sostanza,
preferisce tenersi la scatola con l'etichetta “sinistra” dopo
averne cambiato il contenuto. Si tratta di una scelta teorica che non
contribuisce, mi sembra, alla chiarezza intellettuale.
(M.B.)
Questo post viene pubblicato anche su "Appello al popolo": http://www.appelloalpopolo.it/?p=13687
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MI pare che la tesi della fine della borghesia sia nello stesso tempo condivisibile, ma anche incompatibile con la visione della società principalmente come sede della lotta di classe. Se c'è il capitalismo, ma non c'è più una sua classe di riferimento, allora il capitalismo si qualifica in modo impersonale come un meccanismo automatico e i cui danni ricadono un po' su tutta la società.
RispondiEliminaLa mia tesi è proprio questa, il che ovviamente non significa che non esistano persone fisicamente definite che giudino il maccanismo capitalistico, ma che si tratta ormai di una cupola globale verso cui ha ben poco senso lottare, tanto costoro sono potenti, irragiugibili e remoti. E' il terribile meccanismo capitalistico che va bloccato ,e ciò non può che avvenire costruendo uan cultura alternativa e fornendole a capacità di impatto mediatico.che posa competere con le capacità mediatiche di chi ha il potere.
Se invece si parla di post-borghesia, allora questa eclissi della borghesia sembra porsi più che come una sua scomparsa, come una sua rigenerazione, e su un'ipotesi come questa non mi sentirei certo di convenire.
A me sembra che la "scomparsa della borghesia" altro non sia che l'effetto della scomparsa di qualunque altra classe che non si identifichi nella borghesia.
EliminaMi riferisco alla "borghesizzazione" totale delle società occidentali, iniziata grosso modo a seguito della caduta del muro di Berlino, cioè a quella trasformazione antropologica e culturale di massa grazie alla quale tutti ambiscono uniformemente alle stesse mete esistenziali senza distinzione di condizione economica e sociale.
In questo senso è corretto dire che il riferimento socio-culturale del capitalismo non è più la borghesia, dato che anche l'odierno proletario (anzi soprattutto lui) tende a vedere nel capitalista (nell'uomo ricco e potente) il proprio indiscusso modello di riferimento.
Quindi, a mio avviso, persone come Pasquinelli sono totalmente autorefereziali, poiché pretendono di scorgere nella dimensione collettiva ciò che è e resta una loro idea personale di società (quella culturalmente e antropologicamente divisa in classi) che non esiste più da lustri.
La vostra spiegazione della crisi della "sinistra" non chiarisce la simultanea scomparsa della "destra". Dalla fine degli anni 70 a oggi il radicalismo di destra – cioè la critica al liberalismo in nome di un socialismo particolarista (tradizionalista, nazionale o razziale che sia) – è declinato quanto quello di sinistra.
RispondiEliminaLa verità è che una società in piena decadenza, votatasi al consumismo più stucchevole e quindi a un radicale atomismo, fatta di consumatori con un talk show al posto del cervello, non genera più energie ideali e quindi aggregative. Là dove non esiste più spirito di sacrificio non c'è più voglia di fare la guerra, quindi di fare politica: basti vedere Tsipras, che vuole rovesciare le imposizioni della Trojka ma senza toccare euro e UE perché qualcuno potrebbe farsi male. O si veda Pasquinelli, che difende a spada tratta i diritti civili di terza generazione senza vedere che questi sono la coscienza ("falsa" al pari di ogni altra) del superindividualismo dominante.
Dietro al tracollo delle ideologie e alla nascita del pensiero unico, pardon di regime, sta il disfacimento antropologico dell'umanità occidentale, impestata da 70 anni di pace e di benessere. Questo poi si risolve in un livellamento promiscuo in una massa indistinta di individui che pensano solo a fregarsi l’un l’altro: si perdono, assieme alle identità razziali, nazionali e culturali, anche quelle di classe. Di qui la scomparsa della vecchia borghesia notata da Cucinotta, ma anche del vecchio proletariato, e l’apparire di un meccanismo apparentemente onnicomprensivo ma intimamente putrefatto, dietro al quale si intravedono nuovi barbari (ad es. le orde islamiste) pronti a lasciare la propria impronta insanguinata sui percorsi della storia universale.
Scrivete: "la questione è se la lotta di classe nel capitalismo si rappresenti politicamente sempre e comunque nella forma della contrapposizione di destra e sinistra". Si può andare più a fondo e chiedersi se le lotte che dividono l'umano genere siano integralmente (o anche solo prevalentemente) intelligibili in termini di scontro fra classi sociali. Ulteriormente, se il confronto fra classi debba configurarsi obbligatoriamente nei termini di scontro fra capitale e lavoro salariato. Potrebbe darsi che questi siano gli unici conflitti santificati dalla dottrina perché sono quelli che piacciono ai suoi fautori. Una lotta di classe della popolazione italiana residente contro le orde migratorie attratte dal capitale per moltiplicare l’esercito industriale di riserva si capovolge, nel vostro credo, in oscurantistica abiezione: la lotta di classe vi sta bene finché i nemici li decidete voi.
Ma qual è l’oggetto della discussione? La borghesia esiste ancora o non esiste più? Per rispondere a questa domanda occorre per prima cosa dare una definizione di borghesia. Senza questa definizione, la discussione gira a vuoto.
RispondiEliminaSi dice che la sinistra è funzionale al sistema capitalistico. Anche qui, senza definizioni è difficile capirsi. Anche il sindacato, si può dire, è funzionale al sistema. Perché il capitale tende ad affamare i lavoratori ma, nello stesso tempo ha bisogno di manodopera in salute, pronta per essere sfruttata. E ha bisogno anche di manodopera istruita se sale il livello tecnologico. Quindi, in questo senso, il sindacato assolve una funzione fondamentale nel sistema, come il rene nel corpo umano, si potrebbe dire.
E allora?
Post-modernismo, post-capitalismo, post-borghesia, post-destra/sinistra. Ma siamo proprio sicuri ? A me sembra distillato di ideologia, come « La fine della storia ». Post-storia! Un tentativo di dimostrare che “ there is not alternative”.
Non ci sono più le fabbriche? Non mi pare, dando uno sguardo al capitalismo globalizzato. Non ci sono più i lavoratori salariati? Nel mondo ce ne sono più di prima, più della “golden age”.
Se vogliamo parlare di aspetti concreti, possiamo parlare di finanza. I fondi pensione ad esempio, linfa vitale per i “Mercati”. Si può parlare dei risparmi giocati in borsa. E del debito privato. In questo caso potremmo definire il ruolo che anche i lavoratori salariati hanno assunto all’interno del sistema. Un mostro che mangia sé stesso.
L'oggetto della discussione sono alcune tesi di Moreno Pasquinelli, espresse nel testo citato. In particolare discuto la ricostruzione che Pasquinelli fa della genesi intellettuale della “tesi del superamento”, almeno per come essa appare in Preve (e Bontempelli). Inoltre discuto (rapidamente) l'argomento di Pasquinelli a favore della persistenza dell'opposizione di destra e sinistra, argomento basato sulla persistenza della lotta di classe e su una definizione di sinistra in termini di anticapitalismo.
EliminaSono d'accordo sul fatto che in queste discussioni è fondamentale dare delle definizioni il più possibile precise dei termini usati. È appunto quello che ho fatto in riferimento al termine “sinistra”.
Grande è la confusione (ma non sotto il cielo e la situazione non è propizia).
RispondiEliminaVedo che si è tenuto in conto la definizione da me riferita in altro post.
Neanche questa volta sarò avaro.
Il Tao inizia con la definizione che segue. Che potrebbe essere giovevole nella ricerca di una definizione di sinistra che contenga ragionevolezza sufficiente.
"I Termini veramente Termini (come è sinistra nde) non sono termini costanti "
ps non dovrebbero servire aiutini. Tuttavia si ricorda che non è possibile descrivere correttamente l'orbita di Mercurio senza considerare gli effetti relativistici