Penso che una riflessione su questo tema sia un buon modo per discutere di un problema che mi sta molto a cuore, quello della creazione di un possibile nuovo movimento anticapitalista all'altezza dei problemi attuali, e del ruolo in esso del movimento della decrescita da una parte, e del pensiero marxista dall'altra. È noto che in genere i marxisti sono ostili, o quantomeno diffidenti, nei confronti della decrescita, ritenendo che si tratti di una realtà incapace di contrastare il capitalismo, o magari connivente con esso. Io ritengo invece che il movimento della decrescita abbia importanti potenzialità anticapitalistiche, e che in ogni caso un eventuale futuro movimento anticapitalista, se mai nascerà, non avrà sicuramente le caratteristiche che immaginano i marxisti, ma sarà appunto o il movimento della decrescita o qualcosa che gli assomiglierà. Questo mi porta a guardare al movimento della decrescita con occhi diversi rispetto a tanti marxisti, senza nascondermi i suoi punti critici ma cercando, appunto, di metterne in evidenza le potenzialità anticapitalistiche. Una riflessione su “Fourier e la decrescita” può forse aiutare a chiarire tutto questo.
2. Per cominciare,
ci si può chiedere quanto sia adeguata la presentazione di Fourier
come di un “precursore della decrescita”. Ovviamente è molto
difficile che in un pensatore morto nel 1837 si possano trovare
risposte dirette ai problemi del mondo moderno e alle domande che si
sviluppano all'interno di un movimento come quello della decrescita,
che ha poco più di dieci anni di vita. La curatrice è in effetti
molto attenta a non dare l'impressione di voler “iscrivere”
Fourier al movimento della decrescita, e si limita quindi a indicare
una serie di assonanze su alcuni temi: la critica al dominio
dell'economia sulla società e alla crescita della produzione
industriale come fine in sé, la richiesta di una produzione di beni
non soggetti a rapida obsolescenza e in generale l'idea della
produzione guidata dai bisogni e non dal profitto, le piccole
comunità come fondamento della società futura. Fra le tante
suggestioni possibili, a mio avviso un punto molto interessante del
pensiero di Fourier è la sua lontananza da posizioni di tipo
“moralistico-ascetico” che talvolta possono essere associate sia
a un certo tipo di socialismo, sia a un certo tipo di ecologismo.
Fourier non mira alla creazione di tipi antropologici del tutto
nuovi, spogliati degli aspetti passionali dell'essere umano e dediti
ad una vita di virtù altruistiche. Egli vuole non reprimere le
passioni ma far sì che esse si possano esprimere in modi non
distruttivi nei confronti degli individui e della comunità [1]. La
stessa brama di ricchezza non è negata da questo strano
rivoluzionario: nelle comunità che egli immagina non vige
l'egualitarismo stretto, vi sono in esse differenze di ricchezza fra
gli individui, che sono mitigate dal fatto di non essere così
stridenti come nella società del suo tempo, e soprattutto dal fatto
che a tutti è assicurato un alto livello di vita. La libera
espressione delle passioni riguarda tutti gli aspetti della vita,
anche l'alimentazione [2].
Le forme concrete in cui
Fourier immaginava tutto questo rappresentano, come è noto,
l'aspetto più pittoresco del suo pensiero. La minuta organizzazione
dei suoi “Falansteri” può oggi certo far sorridere, eppure ci
sembra che abbia colto qualcosa di importante, rispetto a questo
pensatore, Walter Benjamin, quando in una delle sue “Tesi di
filosofia della storia” scrive, in un noto passo, che la concezione
del lavoro di Fourier, contrapposta a quella positivistica della
socialdemocrazia con cui Benjamin polemizza, è quella di “un
lavoro che, lungi dallo sfruttare la natura, è in grado di sgravarla
dalle creature che dormono latenti nel suo grembo”[3].
Questo stesso passo di
Benjamin può introdurci, io credo, verso una più attenta
considerazione delle complesse problematiche cui ci porta
l'accostamento del pensiero di Fourier con i nostri problemi.
Infatti, questo “sgravare la natura dalle creature che dormono
latenti nel suo grembo” può essere vista come la prefigurazione di
un rapporto con la natura che cerca di non forzare le dinamiche di
sviluppo naturale, ma anche, al contrario, come un'imposizione
astratta di mutamenti squilibranti, come potrebbe essere oggi
l'ingegneria genetica. È probabile che in Fourier si possano trovare
spunti che portano in una direzione o nell'altra, e che questo sia
tipico della sua posizione di iniziatore di un “nuovo mondo” di
idee. Analoghe considerazioni si possono fare per molti altri aspetti
del suo pensiero. Quando Fourier scrive che “noi desideriamo troppo
poco” [4] è evidente, mi pare, che lo sviluppo di un simile
pensiero può andare in direzioni molto diverse, sia nella direzione
di una “abbondanza frugale” nella quale si desidera molto in
termini di tempo libero e di relazioni umane, sia nella direzione di
un consumismo nel quale si desidera molto ma in termini di ricchezze
materiali. Queste ambiguità mi sembrano connaturate al pensiero di
Fourier, al suo essere, come dicevo, un precursore che intravede
molti possibili sviluppi futuri ma ancora in uno stato germinale,
come potenzialità la cui attuazione può assumere aspetti e
significati molto diversi.
Per rispondere alla
domanda iniziale, allora, potremmo dire che Fourier, senza forse
essere a rigore un “precursore”, offre al mondo della decrescita
alcuni spunti importanti di riflessione, pur di sapersi muovere nella
complessità del suo pensiero con attenzione e cura, e senza
nascondere la possibilità di spunti e interpretazioni che possono
andare in direzioni diverse. Mi sembra che da questo punto di vista
il saggio introduttivo di Guillaume sia molto equilibrato e sia
quindi un buon punto di partenza per chi voglia riflettere su Fourier
da questa angolatura.
3. Se cerchiamo
adesso di approfondire queste riflessioni, credo sia interessante
confrontarsi con quanto scrissero Marx ed Engels su Fourier, come
pure sugli altri utopisti suoi contemporanei (Saint-Simon,
Owen). È noto che Marx ed Engels furono aspramente critici verso
tutte le forme di socialismo utopistico, astratto, ineffettuale, a
loro contemporanee, e che, anche per distinguersi da esse, coniarono
per la loro concezione l'espressione “socialismo scientifico”.
Ciò che mi sembra interessante per la nostra discussione attuale è
il fatto che, aspramente critici verso gli epigoni, Marx ed Engels
hanno invece giudizi più complessi, sfumati e articolati verso i
grandi utopisti delle generazioni precedenti, appunto Fourier, Owen,
Saint-Simon.
Nel “Manifesto”, i
nostri autori ascrivono fra i meriti degli utopisti sia quello di
riconoscere “il contrasto fra le classi e l'azione degli elementi
dissolventi nella stessa società dominante” [5] sia quello di
“patrocinare nei loro progetti principalmente gli interessi della
classe operaia” [6], mentre contemporaneamente ne rilevano i
limiti, quelli appunto di delineare costruzioni utopistiche e
fantastiche, spiegando tali limiti con l'arretratezza delle
condizioni storiche, con “la forma non sviluppata della lotta fra
le classi” [7]. La sintesi di questi giudizi di Marx ed Engels nel
“Manifesto”, nel momento stesso in cui polemizzano con molte
delle forme del socialismo a loro contemporanee, comprese quelle
degli epigoni degli utopisti, è probabilmente il passo seguente:
“questa descrizione fantastica della società futura corrisponde,
in un momento in cui il proletariato è ancora pochissimo sviluppato,
cosicché esso stesso si rappresenta in modo ancora fantastico la sua
propria posizione, al suo primo impulso, pieno di presentimenti,
verso una trasformazione generale della società”[8]. È evidente
che si tratta di un giudizio molto diverso rispetto a quello,
sferzante, riservato ai più tardi epigoni dei maestri del socialismo
utopistico. Il socialismo dei primi utopisti ha cioè, nel
giudizio di Marx ed Engels all'altezza del “Manifesto”, una sua
necessità storica, rappresenta il primo impulso verso la
trasformazione della società, e viene però superato dagli sviluppi
storici, in particolare dallo sviluppo della lotta di classe e dal
conseguente sviluppo del proletariato come classe cosciente.
Trent'anni più tardi,
Engels, nella parte finale del cosiddetto Anti-Dühring [9], esprimerà giudizi non troppo diversi [10]. Tracciando un rapido schizzo del socialismo utopistico,
Engels mette in primo piano il fatto che il proletariato aveva,
all'epoca degli utopisti, appena iniziato la sua evoluzione di classe
indipendente. “All'immaturità della produzione capitalistica,
all'immaturità della posizione delle classi, corrispondevano teorie
immature” [11]. Una volta spiegato in questo modo il carattere
immaturo e fantastico delle elaborazioni degli utopisti, Engels
prosegue così: “una volta stabilito tutto questo, non ci fermeremo
neanche un momento di più su questo lato che oggi appartiene
completamente al passato” [12]. Criticando chi perda il proprio
tempo a mettere in luce gli aspetti fantastici e immaturi nel
pensiero degli utopisti, Engels afferma “noi preferiamo invece
rallegrarci dei germi geniali di idee e dei pensieri che affiorano
dovunque sotto questo manto fantastico e per i quali i filistei non
hanno occhi” [13]. Dopodiché Engels si dedica appunto a mettere in
evidenza gli aspetti creativi e progressivi delle elaborazioni di
Saint-Simon, Fourier, Owen.
Come possiamo allora
riassumere il giudizio che Marx ed Engels danno degli utopisti del
primo Ottocento? Da una parte, essi colgono con chiarezza ed elogiano
gli spunti originali, creativi, progressivi di quegli autori.
Dall'altra ne evidenziano i lati fantastici e ineffettuali, il
distacco dalla realtà che ne fa appunto degli utopisti. Il punto che
mi preme adesso sottolineare è che i punti deboli degli utopisti
sono certo considerati, da Marx ed Engels, come degli “errori”
criticabili sul piano intellettuale: ma si tratta di errori
necessari, indotti da una situazione di arretratezza degli sviluppi
sociali, e che era necessario attraversare per arrivare ad una
situazione più avanzata. Errori fecondi, si potrebbe dire. Il punto
cruciale è che questo modo di interpretare la vicenda del socialismo
utopistico è retto da una precisa interpretazione della storia [14]:
Marx ed Engels vedono la storia del loro tempo da una parte come il
dispiegamento sempre più esteso nello spazio e sempre più
approfondito nella società del modo di produzione capitalistico,
dall'altra come la progressiva presa di coscienza, da parte del
proletariato, dei suoi interessi di classe e della necessità,
arrivati ad un certo punto dello sviluppo delle forze produttive,
della presa del potere e del passaggio al socialismo. È solo dentro
a questa interpretazione storica che ha senso parlare di “immaturità”
riguardo alla situazione del primo Ottocento, è solo di fronte
all'evidenza della crescita della forza proletaria che Engels può
nell'Anti-Dühring giudicare
le elaborazioni degli utopisti apprezzabili documenti di un'epoca
passata. Qui è in
gioco quello che ritengo essere uno dei punti deboli di tutto il
marxismo, cioè la tesi che lo sviluppo del modo di produzione
capitalistico implichi lo sviluppo del soggetto sociale che
rappresenta la base del superamento del capitalismo e del passaggio
al socialismo.
4. Arrivati a questo punto, possiamo provare a usare quanto abbiamo fin qui capito per una discussione sull'oggi. La riflessione su “Fourier e la decrescita” è secondo me interessante non solo per i contributi che il pensiero di Fourier può dare alle nostre discussioni, ma soprattutto per l'analogia che possiamo scorgere fra l'utopismo del primo Ottocento e il movimento per la decrescita. In entrambi abbiamo infatti, a mio avviso, la stessa commistione di idee importanti e originali e di strane fantasie, in entrambi abbiamo il tentativo di realizzare cambiamenti epocali attraverso piccoli gruppi (i Falansteri di Fourier e i monasteri del terzo millennio di Pallante), in entrambi vi è un certo distacco dal mondo della politica e delle concrete lotte degli interessi contrapposti, che è insieme causa ed effetto della difficoltà di impostare una efficace azione politica di cambiamento. Se questa analogia è valida, potremmo allora provare ad adottare, nei confronti della decrescita, l'approccio intellettuale che ebbero Marx ed Engels nei confronti del socialismo utopistico. Come abbiamo detto, esso si basava su una analisi della situazione storica del primo Ottocento confrontata con quella successiva, e su una precisa interpretazione della storia di quel periodo. Dobbiamo allora analizzare la nostra situazione attuale, e capire se l'interpretazione storica di Marx ed Engels sia valida ancora oggi. A me sembra, per rispondere su quest'ultimo punto, che di tale interpretazione sia venuto meno un punto fondamentale: l'idea cioè che lo sviluppo del modo di produzione capitalistico porti con sé lo sviluppo del soggetto sociale rivoluzionario, destinato quindi ad agire nella storia abbattendo il capitalismo e costruendo il socialismo. La storia dei circa 120 anni seguiti alla morte di Marx ed Engels ha dimostrato a mio avviso l'erroneità del loro assunto. Se questo è vero, viene meno uno dei punti fondamentali della loro giudizio storico sul socialismo utopistico, e possiamo allora mettere in evidenza forti analogie fra la nostra situazione storica e quella in cui hanno vissuto gli utopisti: siamo oggi probabilmente in presenza di un passaggio d'epoca (l'intrecciarsi di numerose crisi, della quali abbiamo parlato nel primo post di questo blog, è un indice di questo passaggio), come lo si era nel primo Ottocento, di fronte agli effetti della Rivoluzione industriale e della Rivoluzione Francese; questo passaggio provoca un attacco ai livelli di vita dei ceti subalterni, come successe con la creazione del proletariato industriale; e non abbiamo un soggetto sociale sul quale basarci per un'azione politica di contrasto alle forze distruttrici del capitalismo attuale (allora perché la moderna lotta delle classi era appena agli inizi, oggi perché non possiamo più credere al carattere rivoluzionario del proletariato).
In sostanza, la nostra
situazione contemporanea sembra assomigliare di più a quella in cui
si trovavano i primi utopisti che a quella in cui vissero e operarono
Marx ed Engels, perché questi ultimi radicavano le loro elaborazioni
in un movimento storico di crescita di un soggetto sociale che
sembrava potere farsi carico dell'azione politica rivolta al
superamento del capitalismo. I primi utopisti non avevano un tale
soggetto storico “a disposizione”, e nemmeno noi. Se questa
analogia è corretta, essa ci permette di capire, seguendo
l'impostazione di Marx ed Engels, la necessità del fatto che le
elaborazioni ideologiche che tentano di contrastare il dominio
attuale, e di guardare ad una società migliore, abbiano alcuni dei
caratteri di astrattezza e “fantasticheria” tipici dell'utopismo:
esse potranno però anche contenere i “germi geniali di idee”
dei quali parlava Engels.
Le analogie storiche,
ovviamente, non sono mai perfette. Da molti punti di vista la nostra
situazione è diversa da quella del primo Ottocento. In particolare,
si era allora all'inizio del processo di crescita del capitalismo,
dal quale era lecito aspettarsi almeno la potenzialità di sviluppi
positivi. Oggi stiamo assistendo ad una crisi dalla quale non sembra
possibile scorgere, in questo momento, vie d'uscita che assicurino il
mantenimento di fondamentali conquiste di civiltà. D'altra parte, un
secolo e più di riflessioni e analisi su questa società del
capitale ci permettono di capire molto meglio il suo funzionamento,
rispetto a quanto era possibile a Fourier e Owen.
A partire da queste
considerazioni, quale dovrebbe essere allora l'atteggiamento di un
anticapitalista nei confronti del movimento della decrescita?
Si tratta di un movimento
di pensiero e di azione ricco di aspetti diversi e anche
contraddittori, e l'analisi fin qui svolta dovrebbe aver mostrato
l'inevitabilità di tali caratteristiche. Poiché un movimento di
resistenza anticapitalistica, nella situazione attuale, avrà sempre
queste caratteristiche, il compito degli anticapitalisti dovrebbe
essere quello di una “critica simpatetica”, cioè una critica che
favorisca lo sviluppo delle potenzialità positive e contrasti gli
elementi di confusione e regresso che sono inevitabilmente presenti
in esso. Un approccio di questo tipo dovrà a mio avviso fare
riferimento all'analisi marxista del modo di produzione
capitalistico, che è l'approccio teorico nel quale meglio si può
inquadrare la critica alla crescita come dogma (su quest'ultimo punto
non mi soffermo ulteriormente perché esso è stato sviluppato in
“Marx e la decrescita”).
Per
concludere, la tesi fondamentale che ricavo dal complesso di questa
analisi è allora la seguente: di fronte al crollo epocale di ogni
prospettiva di superamento del capitalismo sulla base di un soggetto
sociale che sarebbe costituito all'interno del processo capitalistico
stesso, e di fronte al carattere ormai distruttivo dello sviluppo
capitalistico, ogni possibile futuro movimento culturale, sociale,
politico anticapitalista avrà al suo inizio forti elementi di tipo
“utopistico” che potranno rappresentare punti di partenza di
sviluppi sia positivi sia negativi. Il passaggio attraverso una fase
di questo tipo, che potrà presentare confusione teorica e ingenuità
politica, è un passaggio non aggirabile, e la critica, da parte di un
anticapitalista, agli aspetti confusionari e regressivi di tali
movimenti deve essere impostata come una critica “interna”,
rivolta a valorizzarne gli aspetti positivi, razionali,
solidaristici. Assumere invece, nei confronti di movimenti come
quello della decrescita, un atteggiamento di rifiuto complessivo
equivarrebbe a “buttare via il bambino con l'acqua sporca” e
poiché, nella situazione attuale, il “bambino” di un nuovo
anticapitalismo sarà sempre, ripetiamolo, inevitabilmente
accompagnato dall'”acqua sporca” di aspetti confusionari e
regressivi, un tale atteggiamento di rifiuto equivarrebbe al rifiuto
di ogni possibilità reale di costruzione di un movimento
anticapitalista. È una scelta comprensibile per i filistei ciechi
irrisi da Engels più di un secolo fa, ma non per chi voglia
realmente contrastare la crisi di civiltà che il mondo attuale porta
con sé.
(Marino Badiale)
[2] “le raffinatezze gastronomiche sono qui incoraggiate come motivi di saggezza”. Da Il socialismo prima di Marx, cit., pag.99
[3] W.Benjamin, Angelus
Novus, Einaudi 1982, pag.82.
[4] Il socialismo prima
di Marx, cit., pag.121.
[5] K.Marx, F.Engels,
Manifesto del partito comunista, Editori Riuniti 1971,
pagg.106-107.
[6] Ibidem
[7] K.Marx, F.Engels,
op.cit., pag.108.
[8] Ibidem
[9] Si tratta di una serie di articoli, pubblicati sulla stampa socialista tedesca nel 1877, di critica alle posizioni di un intellettuale dell'epoca, Eugen Dühring. Gli articoli verranno raccolti in volume l'anno successivo. Il titolo originale del volume, evidentemente ironico, è “Il rovesciamento della scienza del signor Dühring”, ma il testo è universalmente noto come Anti-Dühring.
[10] Non intendiamo naturalmente fare qui una ricostruzione del complesso delle posizioni di Marx ed Engels rispetto al socialismo utopistico, per cui ci limitiamo a discutere due testi ben noti.
[11]
F.Engels, Anti-Dühring,
Editori Riuniti 1971, pag.275.
[12] Ibidem.
[13] Ibidem.
[14] Si potrebbe forse dire “da una precisa filosofia
della storia”, ma per parlare di “filosofia della storia”
scansando i molti equivoci che l'espressione porta con sé dovrei
fare una lunga digressione, quindi preferisco evitare tale formula.
Premessa fondamentale: è sempre meglio 'fare' che non fare, e non l'intendo nel senso renziano bensì di comportarsi in modo coerente con i propri ideali. Troppa gente ridicolizza come 'apolitiche' tante esperienze di vita alternativa, per essere poi in prima fila a comportarsi da bravo homo oeconomicus, dando così prova di fare una scelta sicuramente molto 'politica' ma ben poco in linea con quanto si professa pubblicamente.
RispondiEliminaDetto questo, è ovviamente importante che si riescano a costituire comunità prefigurative, capaci di trasformare l'impegno in un messaggio politiche, e non chiuse ed intimistiche. Facile a dirsi ma non sempre a farsi.
Per quanto riguarda Marx, la sua critica del capitalismo resta sempre attuale, ma tutto il resto va passato molto ben al setaccio per riuscire a ricavare qualcosa di utile per il futuro. Ritengo che sul socialismo e sull'alternativa al capitalismo in genere possa essere più utile Karl Polanyi, ad esempio.
Se prendi un marxista attuale e sicuramente intelligente come David Harvey, ad esempio, è molto difficile che possa accettare concetti come quello del picco del petrolio e di limite allo sviluppo; cerca sempre spiegazioni per la crisi che siano riconducibili trame finanziarie e simili. Lo 'sviluppo delle forze produttive' (che a me, non so perché, è sempre sembrato una forma più raffinata di 'tanto peggio, tanto meglio') ha un fascino ancora molto forte in certi settori.
Per chiudere, vorrei ricordare che l'anticapitalismo è una condizione necessaria ma non sufficiente. Si possono creare alternative al capitalismo ambientalmente insostenibili e altrettanto ingiuste. Ecco quindi che la capacità di tradurre l'idea in pratica si rivela necessaria per evitare di cadere dalla padella alla brace.
Caro Igor,
RispondiEliminauna delle idee del post era appunto quella di "passare al setaccio" le posizioni di Marx (ed Engels) su un tema preciso, quello del giudizio sul socialismo/comunismo utopistico del primo Ottocento nelle possibili relazioni con l'oggi. Quello che ne è venuto fuori mi è sembrato abbastanza interessante.
Ciao Marino. Ti do del tu perché non ho comunque alcuna intenzione di attentare a ciò che resta delle reciproche virtù. Per me corri un po' troppo e ci sarebbero dunque troppe cose da commentare ma, in via preliminare e, visto che abbiamo anche parlato di "fuffa", in matematica è consentita la contraddizione? :o))))
RispondiEliminaovviamente no, ma non stiamo andando fuori tema?
EliminaForse.
RispondiEliminaMa, molto banalmente, quando parliamo di crescita a me pare che questo concetto sia semanticamente legato ad un aumento e, per converso, alla decrescita si leghi una diminuzione.
Se fossimo d'accordo su questo
ad una decrescita che si definisca "felice" (o comunque associata con il valore positivo) potrebbe far da contraltare una crescita infelice.
Senza andare ad esaurire tutto l'ambito delle possibilità del campo come facciamo ad impegnare l'un con l'altro i due concetti?
sicuramente, si parla di “decrescita felice” o “serena” con l'implicita assunzione che la crescita non sia (o non sia più) né felice né serena
EliminaSì, mi par di capire, ma la mia riflessione si muoveva un po' nell'ottica di cui si era parlato nel post precedente: evitare di usare le parole come se fossero cortine fumogene. A me questa decrescita impegnata con la felicità o la serenità ricorda, per qualche ragione, l'avanzata di ritorno delle forze in rotta dell'Asse dopo il 1943. Forse saremmo più coerenti nel definirla triste e/o inevitabile e, se inevitabile fosse, interrogarci sui modi per gestirla alla meno peggio. A te è mai capitato di sentirti felice in quanto diminuito, limitato, costretto, coartato...?
EliminaMolto è stato scritto per rispondere alle osservazioni di Carlo. Si può leggere uno dei tanti libri di Latouche o Pallante. Un testo breve è questo:
Eliminahttp://www.alfabeta2.it/2011/02/07/la-decrescita-non-e-impoverimento/
Maggiori approfondimenti qui:
http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854871700
Ti ringrazio Marino! Certo a causa di quell'eccesso di merci e scarsità di beni che limita il mio tempo libero mi leggerò con attenzione la versione breve ^_^
EliminaUn altro testo breve:
Eliminahttp://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=42671
Sì ho letto. Molto interessante, grazie. Purtroppo, però, a me pare che tutto l'impianto dell'impostazione soffra per l'antica e ben nota fallacy dell'utilitarismo.
EliminaAnche prima di etichettarli come merci, esistono beni/utili che possano essere così definiti per seipsos/in themselves?
Si potrebbe in prima battuta definire un bene come un prodotto dell'attività umana, destinato a soddisfare bisogni. Ma non sono sicuro di aver capito la domanda, quindi può darsi che la risposta non colga il punto.
EliminaNulla di particolare direi Marino. L'acqua è un "bene" o un "male"?
EliminaNon saprei, dipende dalle situazioni. Trovo difficile continuare questa conversazione, svolta al di fuori di ogni contesto che renda possibile la comprensione.
EliminaSono d'accordo Marino. Anche a me pare dipenda dalle situazioni o, se preferisci, dalle relazioni. Per te/me/noi tutti l'acqua potrebbe apparire come il bene supremo se fossimo sul punto di morire di sete in un arido deserto ma potrebbe essere anche il supremo male se fossimo sul punto di essere travolti da uno tsunami. Non sembra quindi che questi "beni" o "mali" possano esistere "in themselves".
EliminaCorollario:
se non esistessero in themselves, avrebbe senso definire la nostra attività/attitudine economica in base alla loro esistenza presuntiva?
Come ho detto, questa conversazione mi sembra un po' priva di contesto. Ma continui pure, non mi dispiacerebbe capire dove vuole arrivare.
EliminaNo Marino, ti chiedo scusa. Ci ho solo provato "bona fide". Il passaggio alla terza persona è generalmente indice di una reazione difensiva ed io non ho intenzione di aggredire od importunare nessuno. Ciao!
EliminaPer errore ho cancellato l'ultimo commento di Carlo. Mi scuso. Il commento era il seguente:
Elimina"No Marino, ti chiedo scusa. Ci ho solo provato "bona fide". Il passaggio alla terza persona è generalmente indice di una reazione difensiva ed io non ho intenzione di aggredire od importunare nessuno. Ciao!"
Posso solo aggiungere che non sono "passato alla terza persona", non ero mai passato alla seconda, come avevo spiegato a Carlo in qualche altro commento. Non do del tu alle persone che non conosco, tutto qui. So che normalmente in rete valgono regole diverse, ma questo è un mio piccolo angolo nel quale vorrei avere potermi sentire a mio agio.
D'accordo e lungi da me l'idea di metterti a disagio. Può essere poi che la cosa non andasse da nessuna parte ma, forse, si potrebbe anche provare semplicemente a pensare all'economia come uno dei possibili atteggiamenti in mezzo a tanti altri piuttosto che farne una scienza totalizzante di merci che tornerebbero semplicemente beni tramite eliminazione di un'etichetta senza che sia possibile definire un criterio che li renda beni al di fuori delle relazioni in cui essi siano inseriti.
EliminaCiao!
Scusami Marino, mi rendo conto nuovamente di essere stato ambiguo e non ho comunque una parola che mondi possa aprirti. Dunque provo a precisare meglio:
RispondiEliminacrescita/decrescita <-> felicità/infelicità