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venerdì 1 maggio 2015

Rumore molesto/1

Ripubblico, in due puntate, un saggio del 2007. Si tratta del mio contributo ad un'opera a più mani, curata da Roberto Massari, "I Forchettoni rossi". Occorre naturalmente situare lo scritto nel contesto dell'epoca, che era quello del secondo governo Prodi, sostenuto in Parlamento da una nutrita rappresentanza di Rifondazione. Il mondo della "sinistra radicale" era attraversato da forti tensioni dovute al sostanziale appoggio che il governo Prodi forniva alle iniziative belliche USA, dalla guerra in Afghanistan all'ampliamento della base di Vicenza. Nelle discussioni su questi temi appariva evidente, a mio parere, il carattere vuoto e retorico di gran parte dei discorsi pronunciati nell'ambito della "sinistra radicale". Cercai in questo saggio di analizzare questo vuoto e questa retorica, perché, al di là delle occasioni contingenti, mi sembravano, e mi sembrano tuttora, uno degli elementi che bloccano la costruzione di un autentico soggetto sociale e politico di resistenza antisistemica.
(M.B.)



1. Le parole dei politici non hanno alcun significato razionale, se non quello di rappresentare messaggi in codice interni al ceto politico. I politici o dicono menzogne, o dicono sciocchezze, o si lanciano messaggi tra di loro. Questo fatto deve essere considerato un dato di partenza per ogni discussione sulla politica contemporanea. Esso appare in qualche modo acquisito dal senso comune. Nessuno sembra fare più caso alle promesse dei politici, nessuno pensa che l’impegno formalmente preso da uno di loro abbia qualche valore dopo un anno, un mese, o anche dopo cinque minuti. Per comprendere questi fatti, occorre capire che la nozione di politica ha cambiato completamente significato. Fino a qualche decennio fa la politica era l’attività umana che governava e indirizzava la polis, che lo facesse in senso conservatore o progressista, moderato o radicale, riformista o rivoluzionario. Oggi non è più la politica a governare e indirizzare la polis, ma l’economia, una economia che finalizza l’intera vita sociale al profitto.  Estromessa dall’ambito suo proprio, la politica si riduce a semplice amministrazione delle ricadute sociali dell’economia del profitto. Rinunciando a indirizzare la vita sociale,  la politica si è ridotta a puro scontro di cordate di amministratori, finalizzato unicamente alla crescita di potere (e danaro) della propria cordata.
Questo non significa, si badi bene, che la politica sia autonoma dalla realtà sociale. Al contrario, è proprio nella sua autoreferenzialità che la politica è funzionale alla logica profonda della fase attuale dell’economia capitalistica. Infatti, come abbiamo detto, la fase contemporanea è quella in cui l’economia del profitto si estende a tutti gli ambiti della realtà sociale, piegandoli alla propria logica. La politica autoreferenziale non fa che giocare i propri giochi di potere, usando le carte che questa situazione le fornisce, e abbandonando così l’intera realtà sociale all’invasione devastante della logica del profitto. L’autoreferenzialità della politica è dunque, nella situazione attuale, la migliore garanzia del procedere indisturbato dell’economia capitalistica [1].
I difetti così evidenti dei politici attuali derivano da questa situazione di fondo, e non sono quindi emendabili con un semplice cambiamento delle persone. In particolare, da qui derivano le caratteristiche del linguaggio dei politici.

Nel dopoguerra i vari partiti politici erano ancora espressione dei diversi gruppi sociali e ne rappresentavano gli interessi. In questa situazione, il linguaggio pubblico dei politici non poteva staccarsi completamente dalla realtà: nel momento in cui c’è un riferimento sociale esterno alla politica, al quale in qualche modo occorre rendere conto del proprio operato, il linguaggio deve conservare un po’ di concretezza. Ma negli ultimi decenni, come s’è detto, la politica perde ogni riferimento a realtà sociali esterne e diventa totalmente autoreferenziale. I politici non esprimono più, se non per finzione retorica, interessi estranei alla propria sfera. D’altra parte, le dinamiche sociali ed economiche che hanno operato nei paesi occidentali negli ultimi decenni, riassunte normalmente sotto il concetto un po’ impreciso di “globalizzazione” [2], comportano una enorme accelerazione dei processi di mutamento dell’economia, e quindi della società. Cambia continuamente, ad un ritmo molto più veloce che in precedenza, l’ambiente nel quale si svolgono le lotte di potere dei politici. Il politico è dunque lanciato in una giungla nella quale succedono continuamente cose nuove: nuovi pericoli e, certo, anche nuove opportunità di potere e di carriera. In questa situazione, occorre essere sempre pronti a schivare i nuovi pericoli e a cogliere le nuove opportunità. Ma per fare questo non si può essere legati dai vincoli di impegni assunti in precedenza. Ora, quando un politico prende la parola in pubblico corre appunto il rischio di impegnarsi in qualcosa: se dice di essere favorevole all’idea x, o sostiene che è bene aiutare il gruppo sociale y, prende degli impegni che può essere gravoso mantenere, se solo un mese, un giorno o cinque minuti dopo scopre che è più conveniente, nelle lotte di potere, sostenere l’idea z o il gruppo sociale w.
L’unico modo per evitare questo grave rischio è allora non dire mai nulla, cioè usare un linguaggio completamente privo di contenuti razionali. Ai politici serve un linguaggio malleabile, manipolabile, piegabile all’esigenza del momento. I politici hanno bisogno di un linguaggio-argilla, che non faccia resistenza. Ora, ciò che fa resistenza alla manipolazione sono i contenuti razionali. Occorre quindi svuotare il linguaggio di ogni contenuto razionale. Come si fa? I contenuti razionali del linguaggio sono veicolati essenzialmente in due modi: dal collegamento delle parole con la realtà, e dalla logica. Rapporto con la realtà e logica danno rigidità agli impegni assunti e impediscono che il linguaggio diventi un’argilla plasmabile a seconda dell’interesse del momento. Se nostro figlio ci chiede di acquistargli un cane da tenere in casa, e noi gli diciamo che si può fare purché egli si assuma la responsabilità di badare all’animale, questo impegno ha un senso rigido perché le parole “cane” e “badare al cane” hanno un legame preciso con la realtà: un cane è un essere ben determinato, che fa una serie di cose (come mangiare e defecare) che implicano una serie di azioni in cui consiste il “badare al cane”. Stesso discorso per la logica: se nostro figlio esce con 20 euro per fare la spesa e torna a casa con uno scontrino di 15 euro e 3 euro di resto, noi gli chiediamo che fine hanno fatto gli altri 2 euro, e vogliamo una risposta precisa. La logica è rigida.
Se questo è chiaro, è anche chiaro cosa occorre fare per ridurre il linguaggio allo stato di argilla manipolabile a piacere: occorre eliminare il contatto del linguaggio con la realtà, e occorre eliminare la logica.
L’eliminazione del contatto con la realtà è legata ad un altro aspetto del linguaggio dei politici (e dei media): il parlare d’altro. Se infatti si deve parlare, e non si può mai parlare della realtà, dei problemi veri,  è chiaro che bisogna parlare dell’irreale e dei problemi falsi: bisogna inventarsi discussioni e problematiche assolutamente slegate dalla realtà, per riempire i propri discorsi. Questa deviazione costante e massiccia permette di definire il complesso del discorso pubblico in cui siamo immersi come una enorme “arma di distrazione di massa”.
Un linguaggio al quale siano sottratti logica e rapporto con la realtà è un linguaggio nel quale non si possono esprimere argomentazioni razionali. Si possono però esprimere opinioni. Se facciamo attenzione al linguaggio pubblico che ci viene proposto da giornali e televisioni (cioè il linguaggio dei politici, ma non solo), vediamo che quasi sempre esso ci propone opinioni, e mai o quasi mai argomentazioni razionali. Purtroppo questa è una caratteristica del linguaggio dei media che sembra penetrata nel senso comune, per cui oggi, anche nei contesti comunicativi non direttamente dipendenti dai media (per esempio in internet), è molto difficile sviluppare discussioni nelle quali si confrontino argomentazioni razionali.
Proseguendo l’analisi, ricordiamo che ai politici interessano unicamente le lotte di potere interne ai gruppi dominanti (politici ed economici). Gli unici contenuti reali che essi intendono esprimere, quando prendono la parola, sono quelli relativi a tali lotte: attacchi ai gruppi di potere avversi, segnali ai propri alleati, richieste di fette maggiori della torta. Sono questi i contenuti reali del loro linguaggio.

Riassumendo, nel linguaggio dei politici ci aspettiamo di trovare mancanza totale di legami con la realtà esterna al loro mondo, spostamenti rispetto ai problemi veri, mancanza di logica, e i riferimenti alle lotte interne ai ceti dominanti come unico contenuto reale.
Un’ultima osservazione: un linguaggio di questo tipo non veicola contenuti razionali, come s’è detto. Si configura piuttosto come un rumore, e anzi come un rumore molesto, perché occupando l’intero spazio della comunicazione pubblica rende difficile o impossibile il dialogo razionale. È faticoso comunicare in un ambiente rumoroso. Il rumore molesto dei politici (e più in generale, l’intero discorso dei media) ha in ultima analisi proprio questa funzione: impedire il dialogo razionale fra le persone [3].

Nel resto di questo saggio mostreremo esempi di questo tipo di linguaggio, traendoli dal settore della cosiddetta “sinistra radicale”, cioè dell’area dell’estrema sinistra che ha scelto l’allenza col centrosinistra e a partire dal 2006 appoggia il governo Prodi. E’ interessante esaminare quest’area, che in questo libro è stata etichettata con l’espressione “forchettoni rossi”, perché la trasformazione dei suoi aderenti da critici radicali del capitalismo e della guerra a zelanti sostenitori di un governo liberista in politica economica e favorevole alle guerre in politica estera è stata rapidissima. Cercherò di mostrare come tale trasformazione sia stata possibile anche grazie ad un linguaggio svuotato di razionalità e di realtà.

2. Una discussione politica.
È probabile che, nel senso  comune, il discorso pubblico della sinistra radicale appaia lontano dallo schema che abbiamo sopra delineato. La sinistra radicale è percepita, e si percepisce, come una delle frange più “intellettuali” del mondo politico, come l’ambito di quelli che “fanno le analisi” e “fanno la teoria”. Il discorso dell’estrema sinistra dovrebbe essere cioè un discorso di profonda razionalità. Questa percezione non è necessariamente lusinghiera, può anzi essere accompagnata da un giudizio di scarsa concretezza politica. Mostreremo però, almeno in qualche caso significativo, che tale percezione è erronea, e che il carattere intellettualmente e teoreticamente fondato del discorso dell’estrema sinistra è un’illusione superficiale. Per vederlo, cominciamo con l’esaminare un passaggio del dibattito che ha accompagnato il congresso di Venezia del Partito di Rifondazione Comunista del marzo 2005.
Chi parla è Patrizia Sentinelli, esponente della maggioranza del partito, che in quel momento vuole l’alleanza fra Rifondazione e centrosinistra:



"La crisi del liberismo non si evolve automaticamente a sinistra. Può evolversi in senso opposto, a destra….Non si può sfuggire a questo problema, non lo si può risolvere voltandosi dall’altra parte: da chi e come verrà governata la crisi del liberismo ne dipendono gli sbocchi. Ci sarà una volta a sinistra o una stretta di destra?… E’ chiaro che il riformismo esiste. C’è una tendenza del riformismo, che è in crisi, a risolvere i suoi problemi con una svolta centrista. E’ evidente che se questa tendenza non viene contrastata, vince" [4].
.
Il discorso di Sentinelli sembrerebbe basato su analisi razionali della realtà economica e sociale degli ultimi decenni, e su concetti ben fondati (liberismo, riformismo). Esaminiamolo però in dettaglio.
La crisi del liberismo, ci dice Sentinelli, non porta automaticamente a sinistra, può invece portare a destra, e il riformismo può svoltare al centro. Ma cosa vuol dire? Per neoliberismo [5] si intende l’insieme della trasformazioni sociali ed economiche che hanno cambiato il mondo negli ultimi decenni. Il neoliberismo, una volta instaurato, è un assetto socioeconomico sistemico, che ingloba società, istituzioni, partiti, non una vicenda storica che può evolversi di qua o di là. Pensare al neoliberismo come ad una vicenda che può avere una direzione di destra o una direzione di sinistra, ha la medesima sensatezza che pensare che un treno possa correre o lungo la rotaia di destra o invece lungo quella di sinistra. Il  binario del neoliberismo è costituito da due rotaie che, come quelle della ferrovia, corrono esattamente nella stessa direzione. I fatti ci dicono che quando la sinistra reale è al governo, il neoliberismo non si evolve in altro modo che secondo la sua propria logica, che la sinistra favorisce e gestisce, per esempio con le privatizzazioni.

Il neoliberismo è in crisi, ci dice Sentinelli. Davvero? Nella realtà funziona benissimo, perché la sua logica di funzionamento è incorporata ormai nell’assetto complessivo della vita sociale, e fa ottenere ai suoi ceti dominanti profitti giganteschi. Certo, il neoliberismo fa funzionare malissimo la società, le istituzioni non economiche, gli equilibri psicologici, e produce guerre imperiali e morte ambientale, morale, fisica. Ma tutto questo non riguarda la sua logica, perché il neoliberismo non è fatto per la vita umana.
Sentinelli si chiede se la crisi del neoliberismo piegherà a destra o a sinistra. Problema che avrebbe qualche rilievo se fosse in atto una crisi del neoliberismo e se destra e sinistra rappresentassero due suoi esiti anche soltanto parzialmente diversi. Ma tutta la storia degli ultimi decenni indica univocamente che le cose non stanno così. Il neoliberismo si spezza ma non si piega, e finché non si spezza segue ferreamente la sua rigidissima logica, che non è piegabile di qua o di là, e non dà quindi luogo ad alcun problema di esiti alternativi, né è in alcun modo governabile dall’esterno, perché il suo meccanismo economico è governato soltanto e totalmente dal suo proprio automatismo asociale e autoreferenziale.

Sentinelli afferma che non si può sfuggire al problema della direzione che prenderà la crisi del neoliberismo (crisi in realtà inesistente, come abbiamo detto), e che tale crisi deve essere governata. Sono queste le tipiche frasi standardizzate della sinistra, che funzionano da cortina fumogena. Quando si è di fronte a una dinamica storica profondamente negativa, di fronte alla quale non si è in grado né di assumere una posizione di rottura radicale, né di dirsi la banale verità che ci si accoda ad essa, ci si dice che il fenomeno va governato e che il problema va comunque affrontato. Si tratta di un linguaggio che serve a staccare il pensiero dalla realtà.
“Il riformismo esiste”. Davvero? La categoria di riformismo è una delle più fasulle della sinistra contemporanea, e quella che vi è più universalmente diffusa. L’area maggioritaria della sinistra si loda come riformista; la sinistra radicale ne dissente proprio per via del riformismo, ma nello stesso tempo può accettare di stringervi alleanze più o meno solide e durevoli, perché il riformismo è comunque di sinistra, e quindi è preferibile alla destra; la sinistra ancora più radicale si contrappone invece in modo netto alla sinistra moderata, ma sempre perché quest’ultima è riformista, in quanto qui il riformismo è visto come antagonistico alla rivoluzione.
Ma cos’è questo riformismo che caratterizzerebbe una parte della sinistra, e rispetto al quale tutta la sinistra sente la necessità di definirsi? In realtà, si tratta di un nulla. Il riformismo è storicamente esistito finché sono esistiti margini di emancipazione sociale compatibili con l’accumulazione del capitale: le riforme sociali sono stati gli spazi di questa emancipazione, e il riformismo era la politica reale che le promuoveva. Ma allora che senso può avere il riformismo nell’ambito di un sistema sociale come quello attuale, che non può funzionare se non riducendo diritti del lavoro e garanzie sociali? Evidentemente nessuno. Allora perché se ne discute tanto? Perché, pur non indicando nulla  nella realtà sociale, indica, nella sfera dei partiti, la sinistra in quanto governativa. Discutere del riformismo è discutere di nient’altro che di “governismo”, senza alcun riferimento effettivo alla realtà sociale. Quando perciò la Sentinelli afferma che la sinistra radicale deve interagire con quella moderata per evitare che il riformismo viri da sinistra al centro, l’unico contenuto reale di questa affermazione è che Rifondazione Comunista deve far parte di una maggioranza governativa di centrosinistra per evitare di essere emarginata da una diversa collocazione della sinistra moderata.
E’ evidente allora che, nonostante le apparenze, il linguaggio di Sentinelli è un linguaggio privo di spessore teorico, un linguaggio che non parla della realtà storica effettiva, ed il cui unico contenuto si situa sul piano dei rapporti interni al ceto politico.



3. Il dibattito sulla guerra.
Nel resto di questo saggio esamineremo alcune delle discussioni che si sono svolte nella sinistra radicale, nei primi mesi del 2007, in riferimento al tema della guerra. Dovrebbe essere questo un tema rispetto al quale parlare in maniera chiara. La guerra è una gran brutta cosa, ma almeno un pregio ce l’ha, quello appunto di fare chiarezza. Rispetto alla partecipazione del proprio paese ad una guerra non dovrebbe essere possibile tergiversare, eludere, rimuovere. O si è favorevoli o si è contrari. Vedremo adesso come la sinistra radicale riesca invece ad essere elusiva.
Esamineremo alcuni interventi legati alla “piccola crisi” del governo Prodi nel febbraio 2007. Ricordiamo i fatti: vi è in Senato una discussione sulla politica estera del governo Prodi, introdotto da una relazione del Ministro degli Esteri Massimo D’Alema. Nel successivo voto sulla relazione stessa, e quindi sulla politica estera del governo, due senatori della maggioranza (Turigliatto e Rossi) non partecipano al voto. Assieme alla mancanza dei voti favorevoli di alcuni senatori a vita (che in precedenza avevano votato per il governo), questo causa la sconfitta del governo nel voto sulla relazione di D’Alema, e cioè sul complesso della politica estera del governo stesso. Si apre una piccola crisi che si conclude senza che il governo cada.

Questa vicenda ha grande risonanza nel mondo della sinistra perché fa emergere le contraddizioni interne alla sinistra stessa. Il tema della politica estera tocca infatti un valore che, in linea di principio, dovrebbe essere fondamentale per la sinistra contemporanea, quello della pace. Le scelte concrete del governo Prodi delle quali si discute sono essenzialmente due: quella di continuare la guerra in Afghanistan al fianco delle forze Nato e Usa, e quella di costruire una nuova base militare Usa a Vicenza. Si tratta di scelte che vanno, ovviamente, in direzione diametralmente opposta a quella della pace, e che manifestano una chiara subordinazione del governo italiano alla strategia Usa della “guerra infinita”. Il che pone un problema fondamentale molto chiaro e molto semplice a chi sostiene il governo Prodi e contemporaneamente dichiara la propria opposizione alla “guerra infinita” di Bush (opposizione che può essere motivata con argomentazioni pacifiste e non-violente, oppure antimperialistiche):
Problema fondamentale: come si può essere oppositori alla “guerra infinita” Usa se si sostiene il governo Prodi che fa la guerra al seguito degli Usa?
Ci si aspetterebbe allora che nelle discussioni interne al mondo della sinistra radicale relative alla “piccola crisi” del governo Prodi fosse esplicitato e trattato in profondità questo problema fondamentale. Faremo adesso alcuni esempi per mostrare che non è così.

4.
Cominciamo con un appello: “Per la continuità del governo Prodi. Per un ascolto e un dialogo con le istanze del popolo dell'Unione” [6]. L’appello è firmato da vari esponenti del mondo politico e culturale legato alla sinistra radicale.


"Per la continuità del governo Prodi. Per un ascolto e un dialogo con le istanze del popolo dell'Unione.
La crisi aperta sulla mozione presentata dal ministro D'Alema, evidenzia tutto il potenziale negativo di un ritorno indietro negli schieramenti politici, anche e soprattutto quando ad agire sono istanze dei “poteri forti” che tanto hanno condizionato e continuano tuttora a condizionare la storia d'Italia. A nostro avviso la mozione, pur tra diverse contraddizioni, apriva invece una se pur timida possibilità di continuare il percorso di revisione e di rilancio dell'insieme di una politica estera basata su un nuovo multilateralismo e sulle iniziative di pace e di lotta alla povertà. Esprimiamo quindi la necessità che i percorsi di riforma sin qui avviati, a partire da quello della cooperazione allo sviluppo, ed il dibattito sulle presenze militari dell'Italia in ambito Nato, non vengano interrotte a causa della crisi. Auspichiamo invece che il segnale politico del Senato venga assunto dalla coalizione di centro-sinistra, come motivazione cogente a continuare la realizzazione di assetti e di aggiustamenti che rispondono al meglio alle sensibilità espresse dal popolo dell'Unione nelle varie istanze, come ha mostrato la partecipazione democratica in occasione delle lotte in Val di Susa e nella recente manifestazione di Vicenza. A questo scopo, è necessaria la continuità nella coalizione sul programma dell'Unione, senza altre forzature, ma anche un serio ed aperto dibattito nella maggioranza, che consolidi posizioni realmente condivise e non esponga il governo alla fragilità di comportamenti individuali istituzionali che non giovano certo al prosieguo del confronto."


Cerchiamo adesso di esaminare il contenuto razionale di questo appello. Come abbiamo detto sopra, i contenuti razionali sono veicolati dal rapporto con la realtà e dalla logica. Rispettando questi principi, non dovrebbe essere difficile difendere il governo Prodi: basta prendere tre cose buone e giuste fatte dal governo stesso, elencarle e dire “poiché il governo ha fatto queste tre cose buone, è bene che continui a lavorare”. È evidente che in questo modo si rispetta il principio del legame con la realtà (perché si parla delle cose concrete fatte dal governo) e del legame con la logica (perché si usano legami logici del tutto elementari, nei quali è difficile sbagliarsi). Occorre allora subito notare che questo appello, firmato da politici e intellettuali, non fa questa cosa semplice ed elementare. Non ci dice tre cose concrete fatte dal governo Prodi, per le quali valga la pena difenderne la continuità. È lecito allora supporre che non lo si fa perché non è possibile farlo, perché, con tutta la buona volontà, e sforzandosi al massimo, gli autori di questo appello non riescono a trovare tre cose buone fatte dal governo Prodi. Non potendo fare la cosa semplice, sono costretti a fare le cose complicate. Non potendo dire in maniera semplice e chiara che il governo Prodi è un bene perché fa cose buone, sono costretti a usare frasi contorte e complicate, che oscillano fra il vuoto e la menzogna. Così, l’appello inizia accennando ai “poteri forti” che avrebbero contribuito alla crisi del governo. La risposta a questo inizio è del tutto ovvia: voi dovete dirmi perché è un bene che continui il governo Prodi. Se non ne siete capaci, sono autorizzato a pensare che il governo Prodi sia un male. Se il governo Prodi è un male, è un bene che esso cada, e non ha nessuna importanza chi lo fa cadere.
Questo semplice ragionamento mostra che l’inizio dell’appello è del tutto eccentrico rispetto al problema vero di cui si dovrebbe discutere. Il suo senso è proprio questo, spostare l’attenzione dal tema vero a problemi senza importanza.
Dopo questo inizio depistante, si parla della relazione di politica estera di D’Alema. Anche qui, per sostenere Prodi, gli autori dell’appello dovrebbero semplicemente dire che il governo ha fatto finora una buona politica estera, e spiegare perché. Ma non ce la fanno. Sono allora costretti a costruire frasi contorte, infarcite di riserve e di espressioni cautelative, per esprimere appoggio al governo senza poter mostrare una sola azione concreta positiva del governo stesso: “la mozione, pur tra diverse contraddizioni” (prima riserva), “apriva invece una se pur timida possibilità” (seconda riserva) “di continuare il percorso di revisione e di rilancio dell'insieme di una politica estera”: ma parlando di un governo in carica da circa sette mesi, che senso ha usare espressioni come “continuare un percorso di revisione e rilancio dell'insieme di una politica estera”? Il governo non dovrebbe semplicemente fare la sua politica estera ed essere giudicato sulle cose che fa? Si noti poi la stranezza del parlare dell’ “insieme della politica estera” invece che, semplicemente, della politica estera: se non è puro gusto della tortuosità fine a se stessa si tratta probabilmente di una riserva mentale per parare le critiche sulle singole iniziative di politica estera del governo Prodi: a chi critichi la scelta di rimanere in Afghanistan, di andare in Libano o di aumentare le spese militari, si risponderà naturalmente che non bisogna badare ai singoli particolare ma all’ “insieme” della politica estera.
Dopo queste tortuosità, si parla finalmente di qualcosa che, in qualche modo, il governo Prodi avrebbe fatto: avrebbe continuato il percorso (ecc.ecc.) di una politica estera “basata su un nuovo multilateralismo e sulle iniziative di pace e di lotta alla povertà”. In una singola frase gli estensori dell’appello riescono a mettere assieme il vuoto e la menzogna. La menzogna è quella delle “iniziative di pace”: le scelte fondamentali del governo Prodi sono scelte di guerra, non di pace: guerra in Afghanistan, missione militare in Libano, aumento delle spese militari, base militare di Vicenza. Il vuoto è quello relativo al “multilateralismo”, che è uno dei tipici falsi problemi con cui i politici spostano l’attenzione dai problemi veri. Un problema vero è la politica statunitense di aggressioni all’intero pianeta. Un altro problema vero è l’appoggio del governo Prodi a tale politica. Il problema falso è invece discutere se questa politica venga fatta in modo unilaterale o multilaterale. Discutere di questo falso problema serve solo a non discutere dei problemi veri, e quindi a rimuovere il problema fondamentale sopra enunciato.
Proseguiamo: l’appello a questo punto prova a mettere sul piatto qualcosa di concreto sulla cui base difendere il governo Prodi; ci prova, ma il massimo che ne viene fuori sono “i percorsi di riforma sin qui avviati, a partire da quello della cooperazione allo sviluppo”. Non dunque eventuali riforme, ma appena dei “percorsi di riforma” solo “avviati”. E quali sarebbero? L’unico del quale l’appello riesce a parlare è quello relativo alla riforma “della cooperazione allo sviluppo”, riforma della quale nulla ci viene spiegato: eppure, trattandosi dell’unica cosa concreta che viene ascritta in positivo al governo Prodi dagli estensori dell’appello, dovrebbe ben essere una questione sulla quale spendere qualche parola. Aggiungiamo solo che, per quel che ne possiamo capire dal nulla che ci viene detto, non sembra trattarsi di un tema così fondamentale, specie se lo confrontiamo con le questioni che sono realmente in gioco: guerra in Afghanistan, base di Vicenza, aumento delle spese militari.
Infine, l’appello auspica che il governo tenga conto di quanto successo al  Senato “come motivazione cogente a continuare la realizzazione di assetti e di aggiustamenti che rispondono al meglio alle sensibilità espresse dal popolo dell'Unione nelle varie istanze, come ha mostrato la partecipazione democratica in occasione delle lotte in Val di Susa e nella recente manifestazione di Vicenza”. Qui la tortuosità del linguaggio tocca davvero vette inimitabili. Non potevano dire semplicemente che il governo deve accogliere le richieste della gente che ha manifestato a Vicenza e in Val di Susa, e quindi non fare la TAV e non fare la seconda base militare Usa di Vicenza? No, non possono, perché se dicessero una cosa così semplice, sarebbe troppo facile trarne la conseguenza che se il governo non accoglie queste richieste, allora non bisogna sostenerlo. E così, invece delle cose concrete da fare o da non fare, che sono semplici e chiare, si passa alle “sensibilità espresse” da chi manifestava in Val di Susa o a Vicenza. Sono anime delicate, gli estensori di questo appello: non chiedono al governo di fare quello che i manifestanti chiedono a gran voce (NO TAV, NO base), ma di tenere conto delle loro “sensibilità”.
Riassumiamo: in questo appello il problema fondamentale non viene affrontato ma eluso. Si riesce a non pronunciare nemmeno le parole “Afghanistan” e “base militare”. Il legame con la realtà è scisso, la logica è annegata in giri di parole tortuosi. Si tratta di un tipico esempio del linguaggio dei politici, il linguaggio ridotto a rumore molesto.


5.
Sempre in riferimento allo stesso tema, discutiamo adesso alcuni documenti presenti nel sito della Federazione PRC di Genova [7]. Si tratta di una lettera di Haidi Giuliani, un appello dell’Arci e un appello firmato da vari militanti e dirigenti della Federazione di Genova del PRC.


"Non mettiamo la ciliegina sulla torta di Andreotti 22.02.07. Una lettera di Haidi Giuliani.
Car* compagn*,
ecco, quello che temo di più l’errore più grande - dal mio piccolissimo punto di vista - che possiamo fare: dividerci, accusarci, lasciarci travolgere dai rancori, dalla smania di giudizi sommari, di espulsioni.
Perdonate: io non sono iscritta al partito, a nessun partito, né alla sinistra europea, perciò non ho voce in capitolo e non intendo prenderla; sono qui solo per esprimere quello che penso.
E vi chiedo, lo chiedo a tutti, da una parte e dall’altra: dov’è finita l’unità nella diversità? Io ci credevo e ci credo ancora, alle cose che dicevamo in campagna elettorale. Io ci credo che bisogna tirare una linea e decidere da che parte stare. Una linea, non mille. Non si fa resistenza divisi, ce l’hanno insegnato i nostri padri e le nostre madri.
È facile dire certe cose, più difficile praticarle, più difficile stabilire da dove deve passare quella linea. Se è più importante salvare la faccia, o la faccia del partito o della corrente; se è più importante la vita delle persone, in questo paese o in altri (che per me fa lo stesso); se è più importante lavorare perché le cose cambino.
Se ci dividiamo mettiamo con le nostre stesse mani la ciliegina sulla torta che hanno confezionato Andreotti (sì, sempre e ancora lui) e compagnia. Perché spero che nessuno sia tanto ingenuo da pensare che questa crisi di governo l’abbia causata Turigliatto.
Franco Turigliatto é un compagno, non è un nemico (di Rossi penso diversamente ma la cosa non ci interessa, qui). È un compagno molto preparato, onesto e generoso, non dimentichiamo la sua storia, per piacere. Ho condiviso con lui e con gli altri ‘dissidenti’ il tentativo di resistere, per l’appunto, e di alzare il livello della richiesta; non ho condiviso la decisione di non votare, perché temevo – come si é dimostrato – una crisi di governo, di un governo che non rispondeva certo ai nostri desideri ma che lasciava qualche speranza: il lavoro paziente e prezioso di Paolo Ferrero, innanzitutto, e altre piccole cose; piccole, è vero, ma con la costanza e la forza dei movimenti avrebbero potuto crescere.
Uso il condizionale perché oggi è tutto più difficile.
Non entro nel merito di come avrebbe dovuto o dovrebbe comportarsi Rifondazione: l’ho già detto e lo ribadisco, non spetta a me. Capisco che il partito è sotto assedio (le ricevo anch’io tutte quelle simpatiche email di insulti bipartisan…), capisco che un partito abbia un suo regolamento. Quello che non capisco, e che non accetterò mai, è di sbranarci a vicenda tra di noi.
In Senato il Governo non ha mai avuto una maggioranza, viviamo in ostaggio (anche la settimana scorsa, su Vicenza, siamo andati sotto). Uscire dal Governo, con questa legge elettorale e con questa ‘informazione’, significa il ritorno di Berlusconi. Non avremmo dovuto entrarci? E come era possibile stare in una coalizione e non stare al governo? E prima ancora come era possibile battere le destre senza una coalizione larga e forte? Meglio Berlusconi? Anche per i nostri migranti, anche per i precari, anche per le missioni di ‘pace’ e tutto il resto?… Vedete, le risposte possono essere e sono diverse; ma l’obiettivo è uno.
Oggi è tutto più difficile, dicevo. Tutta la sinistra, non solo Rifondazione, ha fatto un passo indietro. Ma se ci comportiamo così ne faremo mille.

Haidi"

Le osservazioni fatte sopra possono nella sostanza ripetersi per questa lettera di Giuliani. La sostanza del problema, quello che abbiamo sopra chiamato il problema fondamentale, è accuratamente evitata. Si parla d’altro. Il discorso di Giuliani ha un unico tema, quello della necessaria unità della sinistra. Si potrebbe facilmente replicare: “unità per fare cosa?”, ma non vogliamo adesso analizzare la visione del mondo del “popolo della sinistra” [8] che emerge con nettezza da questa lettera. Anche qui, l’oggetto reale della discussione non viene neppure nominato: non si parla né di Afghanistan né di basi militari. Haidi Giuliani parla d’altro: per esempio di Andreotti, oppure di Turigliatto e Rossi, dei quali il primo sarebbe un bravo compagno, il secondo invece no (il perché non ci viene spiegato, né ci viene spiegato che importanza questo abbia). Alla fine, l’unico argomento serio che Giuliani ci porta è quello standard del popolo di sinistra: bisogna accettare la guerra perché sennò torna al potere Berlusconi. E visto che questo argomento si può ovviamente ripetere a proposito di qualsiasi altra questione, ciò vuol dire in sostanza che Haidi Giuliani (e il popolo di sinistra che essa ben rappresenta) è disposta ad accettare qualsiasi cosa, purché la faccia non Berlusconi ma un governo di sinistra. Per Haidi Giuliani il rifiuto della guerra, e della guerra infinita di Bush in particolare, non è un valore inderogabile, ma è subordinato alla tenuta del governo di centrosinistra. E poiché tale governo ha dimostrato con i fatti di volere le guerre di Bush, Haidi Giuliani e il popolo di sinistra devono appoggiare, nella realtà dei fatti, la partecipazione italiana alle guerre di Bush. Tutto questo non è che la conseguenza logica delle premesse che Haidi Giuliani pone nella sua lettera. Naturalmente si tratta di una conclusione che è sgradita sia alla sua autocoscienza sia alle orecchie del popolo di sinistra, e quindi si evita accuratamente di trarre tale conclusione e si parla d’altro. Ritroviamo quindi le caratteristiche standard del linguaggio dei politici: mancanza di contatto con la realtà, rifiuto della logica, parlare d’altro.


"Comunicato dell’Arci di Genova.
Nella nostra associazione sta emergendo in queste ore, insieme ai sentimenti di disappunto e rabbia per ciò che è successo ieri al Senato, una forte preoccupazione per le prospettive della situazione politica del paese.
La Direzione Nazionale dell’Arci ha già espresso, con i comunicati inviati ieri pomeriggio dal Presidente Nazionale Paolo Beni, il suo apprezzamento per le linee di politica estera illustrate dal ministro D’Alema al Senato, del resto in forte sintonia col contenuto del documento diffuso giorni fa dalla nostra presidenza. Abbiamo anche condannato nel modo più netto il comportamento irresponsabile e inaccettabile dei senatori che hanno fatto mancare il proprio voto causando la crisi.
Ma tutto questo non è sufficiente. È necessario far sentire con forza la nostra voce, insieme alle tante realtà della società civile che in questi anni hanno contribuito con noi a costruire e a sostenere lealmente, anche attraverso il confronto dialettico, il progetto dell’Unione.
Diciamo con chiarezza che dai nostri circoli e dalle esperienze sociali che rappresentiamo emerge il sentire comune di un Paese che non intende tornare indietro. Se il processo riformatore aperto dal governo Prodi dovesse arrestarsi sarebbe un disastro per l’Italia, un duro colpo per la credibilità delle forze di progresso e per gli obbiettivi per cui ci siamo battuti in questi anni sul terreno della pace, della cultura e dei diritti.
C’è un programma che aspetta di essere realizzato e, pur con le difficoltà esistenti, può ancora essere portato avanti. Tutti i partiti della coalizione, e tutti gli eletti, devono assumersi la responsabilità del patto che hanno sottoscritto con gli elettori e trovare le soluzioni per garantire maggior consenso e stabilità al governo dell’Unione.
In queste ore ci stiamo adoperando in questo senso, in contatto con numerose forze sociali e con i partiti del centrosinistra, per contribuire anche con la nostra pressione ad una soluzione positiva della crisi.
Anche per questo l’Arci Nazionale ha organizzato, insieme alla Tavola della Pace e ad altre associazioni, un incontro pubblico con la stampa che si terrà domani 23 febbraio alle ore 11, 30 a Roma, presso la Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale in Piazza Montecitorio.

Genova, 22 febbraio 2007 La Presidenza Provinciale Arci Genova"

Si può tranquillamente ripetere per questo testo quanto detto per i precedenti. Il problema fondamentale non è nemmeno sfiorato, le parole “Afghanistan” e “basi militari” non sono nemmeno pronunciate, si dice che bisogna ad ogni costo salvare il governo Prodi ma non si dice perché. È interessante notare che l’Arci ricorda il fatto di essersi battuta in passato per la pace: questo dovrebbe portare, secondo logica, alla domanda “e perché invece adesso sostenete un governo che fa la guerra?”. Ma la logica, ormai lo sappiamo, non è amata nel mondo della politica, per cui il fatto di essersi battuti in passato per la pace è usato come una specie di credito spendibile per sostenere il governo Prodi. Il che ricorda curiosamente il ragionamento di tanti dei sostenitori nostrani delle guerre di Bush: poiché gli USA nella II guerra mondiale erano dalla parte giusta ed era giusto sostenerli, anche oggi sono dalla parte giusta ed anche oggi è giusto sostenerli. I signori dell’Arci sembrano dire la stessa cosa: poiché in passato eravamo dalla parte della pace, allora lo siamo anche oggi. In entrambi i casi si tratta di argomentazioni che, appena vengono formulate con chiarezza, mostrano di essere del tutto fallaci.
Leggiamo adesso un appello firmato da dirigenti e iscritti della Federazione di Genova di Rifondazione Comunista:


"Un appello degli iscritti di Rifondazione a Genova.
Noi compagne e compagni iscritti al Partito nella Federazione di Genova sottoscriviamo quanto segue: pur essendo stati spesso critici con le scelte del Governo Prodi, riteniamo che l’Unione ed il suo esecutivo siano l’ipotesi più avanzata possibile oggi. La sua crisi rafforza ogni opzione neocentrista o, peggio, il ritorno di Berlusconi, Bossi, Fini.
Oggi gioiscono Bush, e l’amministrazione Usa, il Vaticano e Mediaset. Il boato da stadio delle destre è la miglior fotografia di quanto è accaduto.
Per i lavoratori, per i movimenti, per il popolo di Vicenza oggi è tutto più difficile.
Ma oltre al danno la beffa: mentre il governo cade per mano dei poteri forti, il gesto irresponsabile di due senatori fa apparire la sinistra “radicale” corresponsabile della crisi.
Tale scelta indebolisce la sinistra, le nostre ragioni, tutti noi. L’azione arbitraria, antidemocratica, estranea alla tradizione comunista e fuori da ogni regola, di un senatore (Franco Turigliatto) colpisce il PRC tutto.
Quel senatore ha scelto di tradire il mandato consegnatogli e così facendo si è oggettivamente posto fuori dalla comunità politica, che con sacrificio ogni giorno difendiamo con la nostra partecipazione e con la nostra militanza.
Esprimiamo gratitudine e apprezzamento per il Gruppo di Rifondazione al Senato per il comportamento esemplare tenuto nonostante la difficoltà del momento."



Le osservazioni da fare a questo appello sono del tutto analoghe a quelle fin qui fatte. Gli argomenti (se così si possono chiamare) presentati in questo appello sono gli stessi che abbiamo già criticato. Si può aggiungere che colpisce vedere gli iscritti a un partito che ha sempre difeso la Costituzione repubblicana parlare del “mandato” di un proprio parlamentare, quando la stessa Costituzione afferma esplicitamente che i parlamentari non sono sottoposti a vincolo di mandato (art. 67). E colpisce leggere che, per dirigenti e iscritti di Rifondazione Comunista, sarebbe “estraneo alla tradizione comunista” votare contro una guerra imperialista, quando il movimento comunista nasce, staccandosi dalla socialdemocrazia, proprio perché quest’ultima appoggia i governi nazionali nella Grande Guerra, mentre i futuri comunisti a tale guerra si oppongono. Ma questi in fondo sono dettagli. Il punto centrale è sempre lo stesso: neppure questo testo affronta il problema fondamentale. L’imperativo è sempre parlare d’altro.
Ma i commenti migliori a quest’ultimo appello (validi anche per i precedenti testi di Haidi Giuliani e dell’Arci) sono stati fatti da due lettori, e si trovano allo stesso indirizzo. Li riporto di seguito:

 "deluso ha scritto (23 Febbraio 2007)
Io che ho sempre votato RC devo sostenere un governo che mi ha reso più povero? E poi agnoletto, caruso e compagni, mi fanno schifo. Cosa c’entrano con i lavoratori? Io mi alzo tutte le mattine alle 5. E voi? Basta con tutti i cortei acchiappa fumo, difendete i lavoratori italiani che stanno peggio di tutti!!

Marisa ha scritto (24 Febbraio 2007)
Ma vi rendete conto di cosa avete scritto qui sopra? avete paura che arrivino i “neocentristi”? i centristi, nuovi e vecchi non se ne sono mai andati: sono al governo oggi più di ieri. Il vero problema è che ieri Rifondazione era a sinistra ed era una voce fuori dal coro. Oggi invece sta scivolando sempre più verso posizioni “moderate”. Scusate ma con quale faccia blaterate di “popolo di Vicenza” e poi condannate chi resta coerente anche in senato con i fatti e non solo con le belle parole? Sono sempre stata di sinistra, ho votato Rifondazione ma adesso sono davvero nauseata e non mi sento per niente rappresentata. Quale partito c’è rimasto a sinistra?"



Come si vede, due anonimi lettori, non due intellettuali e politici famosi, hanno colto facilmente la sostanza delle cose, e la esprimono in modo limpido: “con quale faccia blaterate di “popolo di Vicenza” e poi condannate chi resta coerente anche in Senato con i fatti e non solo con le belle parole?” La questione è questa, ed è davvero semplice: con che faccia ci si appella al “popolo di Vicenza”, che chiede che non venga fatta la nuova base, e poi si partecipa ad un governo che ha deciso di farla? Come è possibile? E’ possibile se si evita di parlare delle cose, dei fatti: la guerra in Afghanistan, la base di Vicenza, l’aumento delle spese militari. Tutte questioni accuratamente evitate nei tre testi che abbiamo appena letto. E’ a questo che serve il linguaggio ridotto a rumore molesto: a non parlare della realtà, a distrarre l’attenzione dal fatto che si dice una cosa e se ne fa un’altra.






[1] Per un'analisi, su queste basi, di alcuni aspetti della politica italiana contemporanea, mi permetto di rimandare a M.Badiale, M.Bontempelli, La sinistra rivelata, Massari 2007.


[2] Preferisco l'espressione "capitalismo assoluto", per la quale rimando al testo citato nella nota precedente. Essendo però questa espressione inusuale, utilizzo "globalizzazione" per non creare ostacoli al lettore.


[3] Analisi fortemente critiche del discorso pubblico (politico e più in generale mediatico) contemporaneo sono state sviluppate da vari autori. Si vedano per esempio M.Travaglio, La scomparsa dei fatti, Il Saggiatore 2006, e M.Loporcaro, Cattive notizie, Feltrinelli 2005.


[4] Liberazione, 27 febbraio 2005, intervista di Piero Sansonetti a Patrizia Sentinelli, p.8.


[5] Anche questa è una espressione imprecisa, come "globalizzazione", alla quale è da preferire la nozione di "capitalismo assoluto".


[6] L’appello mi è arrivato per email dall’associazione culturale Punto Rosso, alla quale può essere richiesto (email pr@puntorosso.it). Si trova on line per esempio all’indirizzo (visitato il 21-06-07) http://fc.retecivica.milano.it/Rete%20Civica%20di%20Milano/Societa'%20e%20Politica/Polis/club%20dell'ulivo/S07508DD4-07508DF5?WasRead=1.
Le firme sono dei deputati del Prc V.Agnoletto, J.L. Del Roio, S.Siniscalchi, oltre ad A.Bruno, R.Salinari, R.Mapelli, E.Molinari, G.Riolo, E.Bonfanti.


[7] All’indirizzo: http://www.rifondagenova.net/2007/02/ (visitato il 21-06-07).


[8] È stato fatto nel libro citato alla nota 1.










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