Gennaro Migliore, ex-Rifondazione, ex-SEL, è relatore del PD sull'Italicum. Invece Corrado Passera protesta in piazza. Dedicato a chi ancora crede a destra e sinistra.
(M.B.)
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lunedì 27 aprile 2015
Serena indifferenza
Le discussioni sull'euro sono un esempio di questi problemi. La grande difficoltà nella quale si sono trovati quelli come noi, che da anni si sforzano di mettere questo tema al centro del dibattito delle forze antisistemiche, ci ha mostrato con chiarezza quanto forti siano i “vincoli interni”, chiamiamoli così, nelle menti di molte delle persone che ruotano attorno a quel mondo. Per fortuna, da qualche tempo le cose sembra stiano migliorando. Il lavoro di tante persone, gruppi, siti, dai più noti come Goofynomics, a “Voci dall'estero”, a “Orizzonte 48”, all'ARS , a “Sollevazione”, per finire, si parva licet, con un piccolo blog come il nostro, ha finito per immettere nel dibattito una serie di idee, concetti, conoscenze che dovrebbero rendere difficile l'adagiarsi su schemi di pensiero e argomentazioni ormai obsolete. È quindi un po' deprimente constatare che, invece, continuano a essere diffuse, negli ambienti antisistemici, argomentazioni che ignorano beatamente tutto quanto si è prodotto, negli anni recenti, su questi temi. Un esempio lampante di una tale serena e autistica indifferenza è questo articolo di A.Negri e R.Sánchez Cedillo. Si tratta di un testo che compendia bene una serie di limiti culturali, tipici del mondo "antisistemico". Mi limito qui a metterne in evidenza alcuni.
mercoledì 22 aprile 2015
Invito all'esodo/2
Questa è la seconda parte di "Invito all'esodo". La prima parte è il post precedente, pubblicato sabato 18 aprile. Gli autori sono Marino Badiale, Massimo Bontempelli, Federico Dinucci.
(M.B.)
II.
1.
La “sussunzione reale” dell’essere umano.
La nostra analisi critica non può però fermarsi qui. La critica ai
ceti politici di destra e di sinistra che attualmente si contendono
il potere, l’invito a rompere i legami con destra e sinistra sono
posizioni che giudichiamo assolutamente necessarie, ma non ancora
sufficienti. L’analisi critica che abbiamo svolto nelle pagine
precedenti non coglie infatti un aspetto profondo e decisivo del
capitalismo contemporaneo. Si tratta del fatto che la logica del
capitale è ormai penetrata in profondità nella costituzione stessa
degli individui. Il capitalismo, inteso come modo di produzione, è
un sistema di relazioni sociali che nella sua progressione storica
tende a imporsi come l’elemento dominante dell’organizzazione
sociale, il punto focale di ogni attività, il presupposto non
discusso di ogni azione. Il profitto tende a diventare il fine
rispetto al quale l’intera vita sociale e la stessa natura appaiono
come mezzi. Per usare il linguaggio marxiano, il capitale come
plusvalore che si valorizza “sussume a sé” natura e società.
Ora, il marxismo storico ha avuto sufficientemente chiaro l’andamento
di questo processo nei confronti del lavoro produttivo. Le analisi di
Marx e dei migliori fra i suoi epigoni sulla “sussunzione reale”
del lavoro al capitale restano nella sostanza corrette. Il fenomeno
divenuto decisivo in questi ultimi decenni sembra a noi costituito
dall’estendersi di questa “sussunzione” al di fuori del
rapporto di lavoro: all’intera società, alla natura, al modo di
essere personale degli esseri umani. Se questo è vero, è chiaro
allora che al di fuori di una resistenza d’insieme a tutte queste
forme nelle quali il capitale “sussume a sé”, piega alle proprie
finalità, l’intero mondo, non si dà alcun orizzonte
anticapitalistico. Occorre cioè comprendere che il capitalismo si
autoriproduce non soltanto attraverso la politica economica delle sue
imprese, e neppure soltanto attraverso la divisione sociale e tecnica
del lavoro che innesca, bensì anche, in maniera essenziale,
attraverso l’operare apparentemente autonomo di elementi
antropologici e di forze ambientali su cui ha impresso in profondità
il suo sigillo. Il capitalismo non è una “gabbia d’acciaio”
che imprigioni individui lasciati sussistere tali e quali, e che si
tratterebbe solo di liberare. Il capitalismo è una logica
complessiva dei rapporti sociali che, appunto perché complessiva,
agisce in profondità sulle dinamiche personali degli esseri umani,
plasmando psicologie e rapporti umani. Nello stesso tempo questa
azione profonda non è mai completa e assoluta perché, a differenza
di quanto credono Marx e i marxisti, l’essere umano non è
l’insieme dei rapporti sociali: l’introiezione della logica del
capitale nelle psicologie degli individui presuppone comunque una
soggettività, una scelta, e perciò stesso non può mai escludere
del tutto la possibilità della scelta opposta, e quindi della
resistenza. Soltanto l’attivazione di questo tipo di resistenza
apre uno spazio, difficilissimo ma non illusorio, di anticapitalismo.
L’anticapitalismo non può quindi esistere se non sulla base di un
modo di essere personale capace di resistere in qualche forma, sia
pur limitata, a quelle logiche che impongono una psicologia degli
individui basata sulla competizione, sulla riduzione dei rapporti
personali alla forma del “contratto”, sull’isolamento degli
individui che non sanno più comunicare se non nei termini della
“contrapposizione commisurante” (per usare un linguaggio
heideggeriano). Queste logiche dei rapporti personali sono appunto
quelle che traducono in termini di motivazioni individuali
l’impersonale dinamica sistemica dell’accumulazione senza fine di
plusvalore. Allo stesso modo, l’anticapitalismo deve saper
combattere contro quelle ideologie spontanee che trasformano, in modo
irriflesso, le necessità del capitale in assiomi del senso comune.
sabato 18 aprile 2015
Invito all'esodo/1
In alcuni siti che seguo sono state pubblicate recentemente dure critiche a Diego Fusaro (qui e qui). Mi sembra che il punto critico cruciale dietro a queste discussioni sia quello del superamento dell'opposizione di destra e sinistra. Mi riservo di intervenire su questo in futuro. Per il momento, penso che possa essere interessante offrire ai lettori qualche documento sull'origine di alcune delle tesi attualmente in discussione. Uno dei luoghi intellettuali nei quali si sono elaborate queste tesi, negli anni Novanta, è stata la rivista "Koiné", stampata a Pistoia dalla casa editrice CRT. Attorno ad essa si radunarono persone diverse per età e percorsi culturali pregressi, ma tutte accomunate dal fatto di aver attraversato, in un modo o nell'altro, il marxismo e la sua crisi, e dal fatto di cercare nuovi modi di impostare la critica intellettuale dell'esistente. Fra queste persone, le più note erano senz'altro Massimo Bontempelli, Gianfranco LaGrassa, Costanzo Preve. Assieme alla rivista, la casa editrice CRT pubblicò in quegli anni molti testi, scritti dalle persone appena nominate e da vari altri collaboratori della rivista. L'insieme di questi testi costituisce, credo, un robusto fondamento per le tesi sul superamento di destra e sinistra.
I due articoli che vi propongo, in varie puntate, non sono stati pubblicati su "Koiné", ma su "Diorama letterario", la rivista di Marco Tarchi, e volevano essere una presentazione a interlocutori esterni delle tesi fondamentali che gli autori andavano elaborando. Il primo articolo, "Invito all'esodo", è stato pubblicato nel numero 150, Febbraio-Marzo 2002, di "Diorama Letterario". Gli autori sono Marino Badiale, Massimo Bontempelli, Federico Dinucci.
(M.B.)
I.
1. Distacco critico. Con questo articolo intendiamo presentare ai lettori di “Diorama” alcune delle idee e degli argomenti che stanno alla base della nuova serie della rivista “Koiné” pubblicata dalla CRT di Pistoia.
Il gruppo di persone che si è riunito per tentare l’impresa di costruire una nuova rivista di analisi culturale, politica e filosofica sapeva di assumersi un compito difficile, tanto grande è il numero di tali riviste e tanto piccolo è lo spazio di attenzione che in genere riescono a conquistare. Ci si è nondimeno imbarcati in questa avventura per un motivo molto semplice: ci sembrava di avere qualcosa di originale da dire, qualcosa che non riuscivamo a trovare nelle riviste, nei libri o nei giornali che leggevamo, e infine qualcosa che valeva la pena fosse detto.
In estrema sintesi, le nostre posizioni sono quelle di chi ritiene necessario un atteggiamento di critica e di distacco rivolto su due fronti: da una parte contro il capitalismo attuale e le sue ideologie, dall’altra contro quelle posizioni teoriche e pratiche, di destra e di sinistra, che nel 900 hanno tentato la critica e il superamento del capitalismo. Le persone legate alla nuova serie di “Koiné” provengono, tutte o quasi, da esperienze “di sinistra”, e parlare di “distacco critico dal capitalismo” può forse apparire ovvio e banale. Vogliamo comunque ribadire alcuni punti per noi decisivi, perché sono essi a motivare anche il nostro distacco dalla sinistra.
L’attuale società capitalistica si sta muovendo in direzioni che accentuano ogni giorno di più i caratteri di irrazionalità e insensatezza che essa ha sempre avuto e che apparivano mitigati nella fase del welfare state. Negli ultimi decenni è stato distrutto il compromesso sociale che assicurò, nei trent’anni seguiti alla Seconda Guerra Mondiale, tassi di sviluppo senza precedenti, ma soprattutto una politica di redistribuzione dei redditi che innalzò i livelli di consumo e benessere delle masse e permise lo sviluppo di una vasta rete di sicurezze e garanzie sociali (pensioni, scuola, sanità, tendenziale piena occupazione). Oggi, nel tempo del capitalismo sregolato e “globalizzato”, appare dominante la spinta all’aumento delle disuguaglianze sociali e delle fasce di autentica povertà, alla perdita dei diritti, delle sicurezze, delle garanzie conquistate dai ceti inferiori delle società occidentali. La situazione drammatica in cui vivono milioni di esseri umani nel pianeta e l’incapacità o la non volontà da parte dei paesi industrializzati di sviluppare un’azione effettiva di giustizia rispetto ai tanti problemi del mondo generano tensioni che sempre più spesso sfociano in guerre e violenze, alle quali l’Occidente egemonizzato dagli USA non sa rispondere se non con interventi militari che creano le premesse di nuovi problemi e nuove violenze. Uno svuotamento sostanziale della democrazia, ridotta a competizione di immagine fra candidati indistinguibili, e un sovrano disinteresse verso le conseguenze ecologiche del nostro modello di sviluppo completano il quadro. Si tratta di un quadro tanto negativo da farci temere che, a medio o lungo termine, le contraddizioni del nostro mondo possano esplodere in crisi distruttive.
2. Critica della sinistra. Il mondo del capitalismo contemporaneo è dunque un mondo che deve essere criticato e combattuto. Ma per fare questo occorre abbandonare definitivamente e sottoporre anzi alla critica più radicale quelle grandi unità ideali che chiamiamo marxismo, comunismo, sinistra. Non intendiamo dilungarci molto, in questo articolo, su marxismo e comunismo. Da una parte, si tratta di realtà che non ci sembra abbiano oggi molta rilevanza storica, ridotte a bandiere di piccoli gruppi settari incapaci di azione politica incisiva e spesso anche di analisi filosofica e scientifica significativa. Dall’altra, l’analisi storica e teorica di un secolo e mezzo circa di marxismo e comunismo è davvero troppo impegnativa per essere svolta in un breve articolo, ci limitiamo qui ad alcune affermazioni molto schematiche e dogmatiche, scusandocene e rimandando ad altra occasione un’analisi più approfondita.
I due articoli che vi propongo, in varie puntate, non sono stati pubblicati su "Koiné", ma su "Diorama letterario", la rivista di Marco Tarchi, e volevano essere una presentazione a interlocutori esterni delle tesi fondamentali che gli autori andavano elaborando. Il primo articolo, "Invito all'esodo", è stato pubblicato nel numero 150, Febbraio-Marzo 2002, di "Diorama Letterario". Gli autori sono Marino Badiale, Massimo Bontempelli, Federico Dinucci.
(M.B.)
I.
1. Distacco critico. Con questo articolo intendiamo presentare ai lettori di “Diorama” alcune delle idee e degli argomenti che stanno alla base della nuova serie della rivista “Koiné” pubblicata dalla CRT di Pistoia.
Il gruppo di persone che si è riunito per tentare l’impresa di costruire una nuova rivista di analisi culturale, politica e filosofica sapeva di assumersi un compito difficile, tanto grande è il numero di tali riviste e tanto piccolo è lo spazio di attenzione che in genere riescono a conquistare. Ci si è nondimeno imbarcati in questa avventura per un motivo molto semplice: ci sembrava di avere qualcosa di originale da dire, qualcosa che non riuscivamo a trovare nelle riviste, nei libri o nei giornali che leggevamo, e infine qualcosa che valeva la pena fosse detto.
In estrema sintesi, le nostre posizioni sono quelle di chi ritiene necessario un atteggiamento di critica e di distacco rivolto su due fronti: da una parte contro il capitalismo attuale e le sue ideologie, dall’altra contro quelle posizioni teoriche e pratiche, di destra e di sinistra, che nel 900 hanno tentato la critica e il superamento del capitalismo. Le persone legate alla nuova serie di “Koiné” provengono, tutte o quasi, da esperienze “di sinistra”, e parlare di “distacco critico dal capitalismo” può forse apparire ovvio e banale. Vogliamo comunque ribadire alcuni punti per noi decisivi, perché sono essi a motivare anche il nostro distacco dalla sinistra.
L’attuale società capitalistica si sta muovendo in direzioni che accentuano ogni giorno di più i caratteri di irrazionalità e insensatezza che essa ha sempre avuto e che apparivano mitigati nella fase del welfare state. Negli ultimi decenni è stato distrutto il compromesso sociale che assicurò, nei trent’anni seguiti alla Seconda Guerra Mondiale, tassi di sviluppo senza precedenti, ma soprattutto una politica di redistribuzione dei redditi che innalzò i livelli di consumo e benessere delle masse e permise lo sviluppo di una vasta rete di sicurezze e garanzie sociali (pensioni, scuola, sanità, tendenziale piena occupazione). Oggi, nel tempo del capitalismo sregolato e “globalizzato”, appare dominante la spinta all’aumento delle disuguaglianze sociali e delle fasce di autentica povertà, alla perdita dei diritti, delle sicurezze, delle garanzie conquistate dai ceti inferiori delle società occidentali. La situazione drammatica in cui vivono milioni di esseri umani nel pianeta e l’incapacità o la non volontà da parte dei paesi industrializzati di sviluppare un’azione effettiva di giustizia rispetto ai tanti problemi del mondo generano tensioni che sempre più spesso sfociano in guerre e violenze, alle quali l’Occidente egemonizzato dagli USA non sa rispondere se non con interventi militari che creano le premesse di nuovi problemi e nuove violenze. Uno svuotamento sostanziale della democrazia, ridotta a competizione di immagine fra candidati indistinguibili, e un sovrano disinteresse verso le conseguenze ecologiche del nostro modello di sviluppo completano il quadro. Si tratta di un quadro tanto negativo da farci temere che, a medio o lungo termine, le contraddizioni del nostro mondo possano esplodere in crisi distruttive.
2. Critica della sinistra. Il mondo del capitalismo contemporaneo è dunque un mondo che deve essere criticato e combattuto. Ma per fare questo occorre abbandonare definitivamente e sottoporre anzi alla critica più radicale quelle grandi unità ideali che chiamiamo marxismo, comunismo, sinistra. Non intendiamo dilungarci molto, in questo articolo, su marxismo e comunismo. Da una parte, si tratta di realtà che non ci sembra abbiano oggi molta rilevanza storica, ridotte a bandiere di piccoli gruppi settari incapaci di azione politica incisiva e spesso anche di analisi filosofica e scientifica significativa. Dall’altra, l’analisi storica e teorica di un secolo e mezzo circa di marxismo e comunismo è davvero troppo impegnativa per essere svolta in un breve articolo, ci limitiamo qui ad alcune affermazioni molto schematiche e dogmatiche, scusandocene e rimandando ad altra occasione un’analisi più approfondita.
domenica 12 aprile 2015
Neanche fatto a tempo....
...a segnalare la notizia di ieri sul fatto che l'Ucraina mette al bando comunismo e nazismo, e subito mi imbatto nella analoga richiesta di un paio di solerti consiglieri comunali leghisti di Milano. Sono sempre più convinto che dietro queste notizie di cronaca ci sia qualcosa di più importante, un cambiamento culturale profondo. Bontempelli ed io ne abbiamo parlato in "Civiltà occidentale", testo al quale rimando per approfondimenti.
(M.B.)
(M.B.)
E gli Herero?
Secondo il Papa, il genocidio degli Armeni è il primo genocidio del XX secolo. A me risulta che si è cominciato con gli Herero. Lungi da me il pensare che una popolazione nera e (credo) non cristiana sia lontana dal cuore del Santo Padre. Però un piccolo chiarimento con chi gli fa il "fact checking" mi sentirei di suggerirglielo.
(M.B.)
(M.B.)
sabato 11 aprile 2015
La lotta contro la libertà di pensiero
coglie nuovi successi:
http://www.repubblica.it/ esteri/2015/04/09/news/ ucraina_equipara_comunismo_e_ nazismo_centro_wisenthal_ decisione_oltraggiosa_- 111544034/?ref=HREC1-6
Nell'articolo si accenna a leggi simili in altri paesi dell'ex blocco sovietico. La mia impressione è che, se aspetti di repressione delle opinioni non sono mai scomparsi del tutto in molti paesi occidentali, il fenomeno abbia preso nuovo vigore a partire dalle leggi "anti-negazionismo". Forse è davvero il momento di dire con chiarezza che tutte (ma proprio tutte) le leggi che colpiscono la manifestazione di opinioni sono aberrazioni.
(M.B.)
http://www.repubblica.it/
Nell'articolo si accenna a leggi simili in altri paesi dell'ex blocco sovietico. La mia impressione è che, se aspetti di repressione delle opinioni non sono mai scomparsi del tutto in molti paesi occidentali, il fenomeno abbia preso nuovo vigore a partire dalle leggi "anti-negazionismo". Forse è davvero il momento di dire con chiarezza che tutte (ma proprio tutte) le leggi che colpiscono la manifestazione di opinioni sono aberrazioni.
(M.B.)
giovedì 9 aprile 2015
Una fotocopia ingiallita
Prendo spunto dalla breve discussione
che c'è stata fra Fabrizio e Claudio per un'osservazione (la discussione con i vari riferimenti potete ricostruirla partendo dal post di Fabrizio e dal commento di Claudio ad esso). Fabrizio
ci fa sapere che i dirigenti della FIOM ritengono che l'avvento di
Renzi rappresenti la fine del “riferimento politico” del
sindacato. Sia Fabrizio sia Claudio sottolineano l'importanza di
questa osservazione, anche se ne traggono conseguenze diverse. In
effetti, questa posizione sembra significare che i dirigenti FIOM intendono, per
“riferimento politico”, qualcosa come il PD prima di Renzi. E la
deduzione logica sarebbe allora che la “coalizione sociale”
proposta da Landini serve a preparare qualcosa che assomigli a quello
che la FIOM ha perso con l'avvento di Renzi, cioè al PD prima di
Renzi (magari un po' più di sinistra del PD di prima di Renzi,
almeno a parole).
Il mainstream informativo produce una
affabulazione che va nella stessa direzione del pensiero dei
dirigenti FIOM, insistendo su un preteso “cambiamento genetico”
del PD di Renzi rispetto alle sue “radici di sinistra”. In questo modo, una
banale resa dei conti fra contrapposte bande politico-affaristiche
(il vecchio ceto dirigente PCI, i nuovi “renziani”) viene nobilitata dai riferimenti ad un patrimonio ideale ormai
scomparso da tempo. Su questa affabulazione consiglio di leggere un
articolo molto chiaro, firmato "Piemme”, dal sito “Sollevazione”.
A quanto detto da Fabrizio e da
“Piemme” voglio solo aggiungere una piccola cosa. Facendo un po'
d'ordine in casa, in questi giorni mi sono ritrovato fra le mani
fotocopie di vecchi articoli. Fra questi, un articolo di Alberto
Statera, dalla Stampa del 9 dicembre 1993 (1993: ventidue anni fa).
Grazie a internet, posso tranquillamente buttare via la fotocopia
ingiallita, perché l'articolo si trova qui. Ne consiglio la lettura.
Si scopre (per chi ancora non lo avesse chiaro) che 22 anni fa era
già tutto deciso, con la sinistra che butta via Marx ma anche
Keynes, si entusiasma alle privatizzazioni di Ciampi e ne programma
altre (che poi verranno compiute dai successivi governi di
centrosinistra), Rifondazione che si accoda, e così via.
La conclusione è semplice: il ceto
politico di sinistra è da decenni il “riferimento politico” non
di chi vuole difendere i ceti popolari ma delle oligarchie che
vogliono distruggere i nostri redditi e i nostri diritti. Chi pensa
al PD prima di Renzi come al proprio riferimento politico non è in nessun modo affidabile come riferimento di una
politica di lotta contro quelle oligarchie. Può certo succedere quello che dice Claudio, cioè che la rottura del rapporto PD-sindacato,
voluta dal primo e non dal secondo, spinga in ogni caso una parte del
ceto politico-sindacale di sinistra verso territori nuovi. La storia di questi
decenni porta a pensare che la probabilità di questo risultato sia
piuttosto bassa. La "coalizione sociale" di Landini è la fotocopia ingiallita di una sinistra che è scomparsa da chissà quanto tempo.
(M.B.)
martedì 7 aprile 2015
E lo dice anche Bernanke
Il benemerito sito "Voci dall'estero" traduce un articolo di Ben Bernanke che chiarisce il problema rappresentato dalla politica mercantilistica della Germania. Nulla di sorprendente, immagino, per i lettori di questo blog (e di "Voci dall'estero", appunto, e di "Goofynomics" ecc.ecc.). Ciò che sorprende è confrontare la chiarezza di Bernanke con l'arretratezza delle discussioni in buona parte del ceto intellettuale del nostro paese. Un esempio di tale arretratezza è questo. Ci torneremo.
(M.B.)
(M.B.)
domenica 5 aprile 2015
Questo cambia tutto
La realtà sociale e culturale del nostro tempo presenta una
strana contraddizione: da una parte l'organizzazione capitalistica
della società mostra sempre più chiaramente i suoi limiti, la sua
incapacità di assicurare la riproduzione sociale in termini
sostenibili nel tempo. Appare via via più chiaro il fatto che
il modo di produzione capitalistico, giunto alla fase attuale del suo
sviluppo, non sa più assicurare i livelli di benessere e i diritti
che erano stati garantiti ai ceti subalterni dei paesi occidentali
per tutta una fase storica, e che esso, per continuare a
sopravvivere, ha avviato pericolosi processi di dissoluzione dei
legami sociali e di sconvolgimento di delicati equilibri ecologici.
Allo stesso tempo però, e questo è l'altro lato della
contraddizione, questi evidenti indizi di inceppamento dei meccanismi
autoriproduttivi dell'attuale organizzazione sociale non suscitano un
movimento politico che abbia chiara l'esigenza di superamento del
capitalismo e sappia articolare tale esigenza inserendosi nelle linee
di scontro che le crescenti complicazioni sociali
fanno sorgere. Per usare un linguaggio d'altri tempi, crescono le
difficoltà oggettive nella riproduzione del meccanismo sociale
capitalistico, ma latitano le forze soggettive che dovrebbero
iniziare la lunga e difficile lotta per una diversa organizzazione
sociale.
Un piccolo esempio di questi problemi è
fornito, a mio avviso, dalla pubblicazione in Italia dell'ultimo
libro della celebre giornalista canadese Naomi Klein [1] e da alcune
delle reazioni che esso ha suscitato. Il libro è interamente
dedicato alla tematica del cambiamento climatico. La tesi
fondamentale dell'autrice è che l'attuale organizzazione sociale non
è ecologicamente sostenibile, e che, se vogliamo utilizzare davvero
il poco tempo che ci resta per minimizzare gli sconvolgimenti causati
dal cambiamento climatico ormai avviato, sono necessari mutamenti
drastici nella società e nell'economia, e in particolare è
necessario l'abbandono del modello socioeconomico neoliberista che è
stato dominante negli ultimi decenni.
sabato 4 aprile 2015
La coalizione sociale di Landini? Come la Corazzata Potemkin
di Fabrizio Tringali
Da settimane il leader della Fiom imperversa sulle TV. Ospitato e intervistato ovunque, Landini lancia la proposta di costituzione di una "coalizione sociale".
Chiunque conosca un minimo gli intrecci fra media e potere, può facilmente intuire quanto possa essere davvero "rivoluzionaria" una proposta politica strombazzata su tutte le TV nazionali.
E infatti, basta provare a capire meglio le reali intenzioni di Landini, per accorgersi che la "coalizione sociale" è l'ennesima trovata utile a rivestire con uno slogan ciò che il sindacato al quale anche io sono iscritto offre davvero nel panorama politico italiano: il nulla assoluto.
E ovviamente non lo fa per caso. La Fiom avrebbe le potenzialità per essere uno degli strumenti utili a scardinare il sistema di potere che ci sta devastando. Ma la sua classe dirigente ha scelto, come sempre da almeno quarant'anni, la via della subordinazione al ceto politico.
Se la Camusso mantiene la CGIL in orbita PD, Landini prova la solita mossa dello spostamento a sinistra dell'asse del governo.
La finalità della "coalizione sociale", infatti, è tutta qui: preparare il terreno alla nascita della "Syriza" italiana, cioè il partito di Cofferati, l'ennesimo agglomerato di ceto politico sinistroide e maleodorante, recuperato dai cassonetti della spazzatura, ove è stato destinato dall'elettorato.
Ovviamente la proposta di Landini ha scatenato un entusiasmo pari a zero. Dirigenti davvero interessati al bene dei lavoratori la cestinerebbero immediatamente.
Dubito che i protagonisti in causa lo faranno, ma poco importa, perchè comunque vada, ciò che faranno sarà comunque irrilevante per i lavoratori italiani.
Dubito che i protagonisti in causa lo faranno, ma poco importa, perchè comunque vada, ciò che faranno sarà comunque irrilevante per i lavoratori italiani.
E lo sarà finché il sindacato non si sarà del tutto liberato dall'abbraccio mortale della sinistra politica.
Pensate: da quando Renzi ha varato il jobs-act, nei direttivi della Fiom si discute quasi solo del fatto che il sindacato ha perso il proprio riferimento politico.
Una tale affermazione farebbe sorridere, se non fosse che viene pronunciata seriamente, dalla stragrande maggioranza dei dirigenti.
Peccato che i lavoratori, ed in generale le fasce meno abbienti, non abbiano un riferimento politico da molte decine di anni.
E che per queste decine di anni, semmai, è stato il sindacato a permettere ai soggetti politici "amici" di devastare la vita e le condizioni di lavoro di milioni di cittadini. Quando al governo c'era la destra, allora si bloccava il Paese ad ogni accenno di attacco alla legislazione sociale. Quando i posti di potere venivano occupati dalla sinistra, tutto veniva concesso. Così la sinistra ha introdotto il precariato, attaccato le pensioni e pian piano preparato il campo a Renzi.
Anche nelle regioni e nelle città è stato lo stesso. Duri e puri con la destra, zitti e fermi con la sinistra. E giù colate di cemento, privatizzazioni dei servizi, finanziamenti alle scuole private.
Il tutto, ovviamente, ha causato una continua emorragia di consensi.
Il sindacato ha perso ogni capacità di lotta. E' riuscito a combattere solo le battaglie che le forze dominanti gli hanno voluto lasciar vincere, come quella sull'articolo 18 del 2002 (all'epoca alla Confindustria non importava un fico secco di cancellare l'articolo 18, e tutti furono ben contenti del fatto che la questione fosse tolta dall'agenda di governo. Tutti tranne la UE, ovviamente, che fece buon viso a cattivo gioco, e capì che era meglio aspettare il momento buono per tornare alla carica...,).
Il sindacato oggi diventato, di fatto, uno degli strumenti in mano al ceto politico, che può usarlo a suo piacimento. E Renzi ha deciso di usarlo per dimostrarsi forte, umiliandolo e mostrando che avrebbe potuto agire contro i lavoratori senza provocare alcuna resistenza reale.
La coalizione sociale di Landini merita il giudizio che il ragioner Fantozzi riservava alla Corazzata Potemkin. Ed anzi, questo giudizio pare addirittura troppo generoso. La Corazzata di Landini è già naufragata.
Poichè la crisi della CGIL e della stessa Fiom sono sotto gli occhi di tutti, avrei una timida proposta per i leader sindacali: tutti i dirigenti e i funzionari, a qualunque livello, che sono in possesso di una tessera di partito, diano dimissioni irrevocabili.
Non si tratta di una richiesta da "caccia alle streghe". Si tratta di rendersi conto che la via della connivenza con i partiti ha portato alla totale distruzione di ogni possibilità di vita per un sindacato che difenda gli interessi dei lavoratori e non quelli delle forze politiche "di riferimento".