Ripropongo alcuni passi di un testo del 2010, scritto in collaborazione con Bontempelli, il cui titolo originario era "lettera dal fondo dello sfacelo". Ovviamente il passare del tempo ha reso inattuali alcune osservazioni. All'epoca non parlavamo di euro, e i grillini erano solo una delle componenti del mondo "antisistemico", non ne avevano ancora occupato l'intero spazio politico, come è accaduto in seguito. Mi pare comunque che i concetti fondamentali di questo testo siano ancora validi. Esso era già disponibile in rete, ma forse non era noto a tutti i nostri lettori.
(M.B.)
Lettera dal fondo dello sfacelo
(Marino Badiale, Massimo Bontempelli)
L’Italia, dopo tre decenni di
decadimento civile e morale, è giunta ormai al suo sfacelo come
nazione e come società. Il lavoro non vi ha più diritti, dignità,
ascolto. Ogni legalità è travolta dal potere delle mafie, dalla
regolazione dei rapporti economici e professionali attraverso la
corruzione, grande o piccola, e da costi e tempi, per molti
insostenibili, del ricorso al sistema giudiziario. L’avvelenamento
dei suoli, dei corsi d’acqua e delle catene alimentari è oltre il
livello di guardia. Istituzioni come la scuola e l’università,
fondamentali per il paese, sono ormai distrutte, nella sostanziale
indifferenza dell’opinione pubblica. Le città sono soffocate da
una circolazione automobilistica insensata, che sequestra le strade e
avvelena l’aria. Mancano servizi che rispondano a esigenze reali,
talvolta drammatiche. I rapporti tra le persone sono imbarbariti. E
su tutto questo si è abbattuta la crisi economica mondiale che sta
mettendo in questione, per larghi settori dei ceti subalterni, anche
livelli minimi di benessere.
Di questo sfacelo, effetto di un
meccanismo economico esclusivamente volto al massimo profitto di
breve periodo, è responsabile in prima battuta l’attuale casta
politica, che è la facilitatrice di quel meccanismo, e che dimostra,
nella sua interezza, di disinteressarsi sia dello stato drammatico
del paese sia della crisi economica, e di essere unicamente
interessata ai propri interni e interminabili giochi e controgiochi
di potere. Ma corresponsabile dello sfacelo è anche chi vota per uno
qualsiasi dei raggruppamenti interni a tale casta, e quindi anche chi
alle prossime elezioni regionali darà il suo voto ad una delle sue
liste. Basta infatti un po’ di onestà intellettuale per prendere
atto dell’evidenza, e cioè che, se la casta berlusconiana è
l’espressione di quanto di peggio c’è in Italia, il restante
arco politico, dal centro alla cosiddetta sinistra radicale,
contribuisce a generare quel peggio. Il ceto politico di centro,
centro-sinistra e sinistra non si preoccupa infatti minimamente di
fare qualcosa contro lo sfacelo del paese, non dà mai ascolto al
mondo esterno alla casta politica, fa prendere le decisioni
riguardanti la vita collettiva a burocrati di partito emersi da
squallidi giochi di potere, agisce soltanto sulla base di
opportunistiche motivazioni di breve periodo. I politicanti di
centro, centro-sinistra e sinistra, insomma, non risolvono nessun
problema, per cui la loro opposizione a Berlusconi si riduce ad una
pantomima nella quale conta l’apparenza e non la realtà, mentre i
meriti vengono mortificati e le speranze spente. Tutto ciò
contribuisce a creare individui intellettualmente e moralmente
degradati, interessati al mondo fittizio delle immagini anziché ai
problemi reali del paese, e dunque predisposti ad apprezzare e
seguire qualsiasi irresponsabile cialtrone abile nel vendere
illusioni.
Abbiamo dimostrato nei nostri scritti
la necessità storica della comparsa di questa casta politica priva
di progetti e del tutto autoreferenziale. Tale necessità è insita
nella configurazione dei rapporti tra poteri economici, funzioni
statali e attività politiche derivata da ben individuabili
trasformazioni del capitalismo e scelte della sinistra tra la fine
degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta del secolo
scorso. I ceti politici attuali e i loro difetti sono quindi
espressione di fondamentali dinamiche storiche, e la loro incapacità
di risolvere i problemi reali e di esprimere dirigenti che non siano
assolute mediocrità non rappresenta quindi un errore politico o di
selezione dei gruppi dirigenti, ma esprime la loro essenza, il loro
codice genetico. Pensare di liberarsi del settore peggiore della
casta votando quello meno peggiore (o che in un certo momento appare
tale, magari solo perché è all’opposizione), è quindi, nella
migliore delle ipotesi, un’autoillusione politicamente poco
intelligente, e deplorevole per i danni che contribuisce ad arrecare
all’Italia. La scelta del male minore, infatti, risulta, in questa
fase storica e rispetto a questa casta politica, la via che alimenta
e rende vincente il male maggiore, perché non corregge minimamente
la tendenza storica al continuo peggioramento della realtà sociale,
tendenza a cui l’intera casta politica è omogenea.
(...)
Per uscire dal baratro sociale e
spirituale nel cui fondo attualmente ci troviamo non basta
assolutamente cacciare Berlusconi con tutta la sua cerchia di
disgustosi manutengoli e profittatori, e non basta neppure cambiare
qualcuno degli obiettivi che si propongono i ceti politici di destra,
centro e sinistra. Ciò di cui c’è urgente, disperato bisogno per
non affondare sempre più è l’inversione stessa della logica che
oggi guida tutte le scelte politiche. C’è bisogno di smettere di
colmare i deficit di bilancio tassando in maniera esorbitante e
macchinosamente oppressiva il lavoro, le professioni e la piccola
impresa, e di cominciare a prelevare risorse da tre fonti: tassando
duramente i grandi patrimoni nati dalla speculazione finanziaria ed
immobiliare e dall’evasione fiscale, eliminando tutte le missioni
militari all’estero e l’acquisto dei connessi sistemi d’arma,
riassorbendo le rendite della corruzione attraverso l’eliminazione
della medesima. Un mezzo indiretto ma importante per sconfiggere la
corruzione e nello stesso tempo per allargare le entrate statali
senza incidere su salari e servizi, sarebbe quello di una tassazione
di tutte le inserzioni pubblicitarie alla televisione e negli spazi
pubblici. Con tutti questi mezzi si otterrebbero risorse immense, di
cui c’è bisogno per creare, o ricreare, una serie di servizi
sociali gratuiti sostitutivi di quelli di mercato, aumentando per
questa via le disponibilità dei lavoratori senza neanche bisogno di
aumentarne le retribuzioni monetarie, e riassorbendo la
disoccupazione con tutto il personale necessario a farli funzionare,
contro la logica attuale di produrre disservizi riducendo dovunque il
personale. C’è bisogno di scegliere non più secondo la logica
affaristica e mercantile, ma secondo la logica di ristabilire e
tutelare i diritti del lavoro e della salute. C’è bisogno di
scegliere quali opere costruire secondo la logica di evitare il
consumo ulteriore del territorio e di proteggerne l’integrità,
concentrandosi sulla manutenzione costante e sui piccoli
aggiustamenti delle infrastrutture esistenti, e bloccando quindi
tutte le cosiddette grandi opere, che servono soltanto a mettere in
moto appalti, tangenti e corruzione, spesso a vantaggio delle mafie.
C’è bisogno di una logica di contrasto intransigente della
corruzione, accentuando i controlli di legalità della magistratura
mediante procedure semplificate e rapida esecutività della sentenze.
E il discorso potrebbe e dovrebbe continuare.
Per poter impostare un simile
rivolgimento rispetto alle logiche attuali, bisogna in sostanza
abbattere il regime della casta politica, con i suoi addentellati nei
media, nell’economia, negli apparati statali. Non sembri eccessivo
definire l’attuale realtà politica italiana come “regime”. Si
può parlare di regime quando il sistema politico è guidato da
un’unica logica, e i portatori di logiche alternative sono
emarginati dalle istituzioni e nella società civile e non hanno
accesso se non occasionale a nessun tipo di tribuna. La nozione di
“regime” è logicamente indipendente dal fatto che il sistema
politico ammetta oppure no pluralità di partiti. L’Ungheria di
Horthy presentava pluralità di partiti, ma si trattava di un regime,
perché i vari partiti esprimevano la stessa logica. Mentre la
Germania guglielmina non era un regime: benché il potere reale fosse
saldamente in mano ai ceti dominanti, i socialisti, portatori, almeno
per una fase, di una logica alternativa rispetto ai ceti dominanti,
erano presenti in parlamento e avevano mille ramificazioni nella
società civile.
In Italia siamo in presenza di un
regime, e questo lo si vede da come siano emarginate o assenti, nel
dibattito pubblico, posizioni che esprimano logiche davvero
alternative, come quelle sopra ricordate. Lo si vede anche da come
ormai tutti i percorsi professionali non dipendano mai da meriti e da
regole trasparenti, ma dipendano invece dal patrocinio di qualche
partito che conta. Proprio come all’epoca del regime mussoliniano
la tessera del partito fascista era la condizione per far carriera,
così è oggi, con la sola differenza che il partito benefattore e
corruttore non è unico, ma plurale. Ma se si accetta questo punto,
il fatto cioè che l’Italia è oppressa dal regime di una casta
politica che sta portando il paese allo sfacelo, è chiaro che ciò
di cui c’è bisogno è un nuovo CLN, una nuova lotta di liberazione
nazionale.
Le forze per dar vita a questa lotta ci
sono, e fanno riferimento a tre aree, che si distinguono dall’istanza
principale sulla quale si focalizzano: da un parte l’area che si
ispira a principi di giustizia sociale (più o meno l’area di chi,
fuori dalla casta, si definisce ancora “comunista”), poi l’area
di chi mette al centro il problema della legalità (“popolo viola”,
“grillini”, “Il fatto quotidiano”), infine l’area degli
ecologisti (ovviamente quelli veri, estranei alla piccola burocrazia
del partito verde). Queste forze sono per il momento bloccate da
alcuni ostacoli. Il primo, più evidente ma meno importante, sta nel
loro essere minoritarie: è un dato di fatto, ma non è così
importante perché tutti i grandi rivolgimenti partono sempre da
minoranze. Il secondo e più serio ostacolo sta nel fatto che queste
tre aree tendono ad essere divise ed anche in opposizione tra loro.
Questa divisione è un errore grave, perché nella situazione
italiana attuale ciascuna delle istanze sopra indicate si completa
nel riferimento alle altre due, e separarle significa indebolirle e
votarle alla sconfitta.
Ad esempio, chi lotta contro la casta
in nome della giustizia sociale e dei diritti dei lavoratori spesso è
diffidente nei confronti delle istanze di legalità. Ma in questo
modo non si rende conto che la corruzione della casta non è un dato
marginale e poco interessante, ma è l’espressione
dell’asservimento della casta stessa ai poteri economici interni e
internazionali che richiedono la distruzione dei diritti dei
lavoratori. La corruzione, cioè, è la forma specifica che assume in
Italia l’asservimento del paese ai poteri economici interni e
internazionali. Infatti un ceto politico che difendesse i diritti dei
lavoratori dovrebbe lottare contro potentissime forze interne e
internazionali. E’ pensabile che una qualsiasi delle bande di
corrotti che costituiscono l’attuale ceto politico possa farlo?
Ovviamente no, appunto perché sono corrotti e i corrotti non hanno
né il desiderio né la forza di lottare contro chi li foraggia. Ma
se questo è chiaro, lottare contro la corruzione della casta
significa appunto lottare contro lo strumento politico di quel potere
economico che distrugge i diritti del lavoro, e il controllo di
legalità è l’arma migliore per questa lotta.
Dall’altra parte, chi difende il
principio di legalità ignorando la giustizia sociale e i diritti dei
lavoratori commette un doppio errore. In primo luogo un errore di
analisi, perché non vede come l’attacco alla legalità sia
strettamente legato alle dinamiche del capitalismo contemporaneo. In
secondo luogo, di conseguenza, un errore politico, perché non
capisce che l’appello alla legalità può vincere solo se si
collega alla forza sociale dei ceti subalterni che lottano contro il
degrado cui li condanna l’attuale sistema economico, mentre se li
ignora o li considera con diffidenza l’appello alla legalità resta
un tema minoritario. Analoghi discorsi valgono per le tematiche
dell’ecologismo e della decrescita.
Per iniziare una lotta di liberazione
nazionale dalla casta che ci soffoca, occorre dunque che queste tre
aree superino gli ostacoli che le dividono e trovino un linguaggio
comune. Condizione preliminare e irrinunciabile è però la rottura
totale con l’intero arco della casta politica. Occorre rompere ogni
contiguità rispetto alla casta, occorre rinunciare completamente
all’idea di influenzare questo ceto politico.
(...)