L'amico Domenico Lombardini mi invia questa risposta al mio scritto "In un mondo senza speranza", e volentieri la pubblico. Un altro intervento su questi temi è quello di Paolo Di Remigio.
Caro Marino,
Le utopie politiche sono state in effetti la riproposizione
mondana di una speranza e di una promessa di salvezza extramondane, ben
inscritte nell’escatologia cristiana. Cristo, infatti, secondo la promessa
evangelica, tornerà a giudicare i vivi e i morti stabilendo la giustizia e un
regno che non avrà fine. Dal Concilio Vaticano II in poi l’escatologica
cristiana è stata decisamente accantonata, privilegiando invece un discorso
appiattito sulla dottrina sociale della Chiesa. Si è creduto che, al costo di
rinunciare al vincolante e fondante discorso escatologico e soteriologico dell’evangelo,
quindi a Cristo stesso, la Chiesa avrebbe potuto informare più efficacemente la
società e la politica agli insegnamenti sociali della Chiesa (che pur
discendono dall’insegnamento di Cristo ma che non ne costituiscono di certo il
significato ultimo), ossia, in poche parole, all’anelito evangelico alla
giustizia. Solo coloro che non vedono o che non vogliono vedere non si rendono
conto che la Chiesa, nei suoi rappresentanti più autorevoli, nelle sue
dichiarazioni ufficiali, nei suoi documenti, nelle encicliche, nelle modiche
apportate alla liturgia ecc., ha da tempo apostatato all’evangelo, divenendo invece
una mera agenzia erogatrice di servizi sociali, non più mater et magistra, bensì inutile e imbelle ancella del potere
temporale, intrisa di buoni propositi, irenismo e protagonismo mediatico. Non
più una forza anti-mondana ma un potere del tutto acquiescente nei confronti
del globalismo economico e dell’anarchia del potere. Quindi, paradossalmente,
la flagrante apostasia all’insegnamento di Cristo ha anche compromesso la
credibilità e l’efficacia del ruolo sociale della Chiesa nei confronti delle ingiustizie
del mondo: il pervertimento dell’ottimo è corrisposto al pessimo.
Ma nel vangelo è ben presente la disillusione che Cristo
nutre per qualsiasi proposta di palingenesi sociale: nel mondo alligna
inestirpabile il peccato e il “Principe di questo mondo” non è Dio ma il peccato,
il male, il seminatore di discordie, il calunniatore, il diavolo (il diavolo è
colui che crea, attraverso la menzogna, separazione, frattura e inimicizia tra
uomo e Dio e tra uomo e uomo). Non è possibile, in altre parole, instaurare la
giustizia nel mondo: ogni utopia politica che abbia come obiettivo l’instaurazione
mondana della giustizia non potrà che produrre necessariamente ingiustizia.
Questa eterogenesi dei fini è rinvenibile acutamente in ogni ambito della
nostra vita sociale: la politica produce sfiducia, la Chiesa incredulità, la
medicina malattia, l’istruzione ignoranza, la scienza relativismo, la
tecnologia dipendenza ecc.
Il problema fondamentale del tuo discorso, la sua aporia, è
credere che una speranza e una salvezza veramente universali possano essere
efficacemente proposte e concretizzate tramite l’agire politico e l’impegno
culturale. La storia è lì a testimoniare che tutto ciò non è possibile. È
davvero recente la presa di coscienza delle masse dei loro diritti, della loro
stessa storicità, ma il loro protagonismo occupa una parte assolutamente
marginale dell’intera storia umana. Nondimeno, non si potrà dire che l’uomo
prima della Rivoluzione francese sia vissuto inutilmente e senza speranze.
L’uomo è sempre stato immerso in un modo intriso di
religioso e di sacro, un mondo semiopoietico produttore di senso. L’intuizione
del cristianesimo è stata quella di collocare tale senso fuori dal mondo. Ludwig
Wittgenstein nel Tractatus
logico-philosophicus scrive: “Il senso del mondo dev'essere fuori di esso.
Nel mondo tutto è come è, e tutto avviene come avviene; non v'è in esso alcun
valore – né, se vi fosse, avrebbe un valore. Se un valore che ha valore v'è,
dev'esser fuori d'ogni avvenire ed essere-cosí. Infatti ogni avvenire ed
essere-cosí è accidentale. Ciò che li rende non-accidentali non può essere nel
mondo, ché altrimenti sarebbe, a sua volta, accidentale. Dev'essere fuori del
mondo” (p. 6.41). Con la religione l’uomo trascende la propria vita bruta
proiettandola in un altrove, le cui primizie può tuttavia gustare già quaggiù.
Io sono fermamente convinto che individuare e collocare il
senso fuori dal mondo sia la soluzione ai nostri mali, materiali e spirituali. Dobbiamo
definitivamente prendere atto che la giustizia non potrà mai essere instaurata
quaggiù. Nondimeno, un cristianesimo nuovamente cristocentrico ed escatologico
potrà avere influenze positive sull’agire politico, cercando di ispirare i
politici, il cui scopo sarà quindi quello di ridurre, ma non di estinguere, i mali
che affliggono la nostra società. Ciò nondimeno, non dobbiamo nutrire indebite
aspettative a riguardo.
La speranza è tale solo se è universale. Questo concetto è
rinvenibile nell’anelito internazionalista del marxismo ma soprattutto nel
cattolicesimo. Soltanto in Cristo c’è salvezza e ogni cristiano è tenuto, con
tutti i limiti del caso, ad evangelizzare il prossimo, anche persone aderenti
ad altre religioni, perché nessuna anima venga persa a Dio. La speranza non può
quindi essere relegata agli ambiti asfittici di amanuensi che si limitano a
copiare antichi manoscritti, figurativamente l’impegno culturale, attività di
per sé lodevole ma non produttrice di senso e speranza universali.
L’universalità della speranza a venire non potrà essere concretizzata da questa
forma di solitaria testimonianza, perché esclusivo appannaggio di privilegiati
sociali in grado di goderne.
L’unica speranza per l’essere umano oggi è una radicale metanoia, un rivolgere lo sguardo
decisamente altrove per ritrovare le radici di una comune verità da condividere
e proteggere. Non posso evitare di pensare che questa verità non potrà che
essere la verità evangelica. Un ritorno a Dio, al Dio cristiano, dopo un
periodo di reflusso. L’uomo ha provato a trascendere la propria vita bruta con
l’impegno culturale e politico. Da ultimo, la società dei consumi ha assolto
anch’essa a tale compito: le masse, indulgendo a uno sfrenato consumismo, hanno
potuto assaporare la vana vertigine di acquistare beni del tutto inutili. L’inefficacia
e la consumazione di tali “strategie di trascendenza” hanno da una parte
portato a esiti esiziali (per lo spirito e l’ambiente) e dall’altro sono giunte
alla loro naturale consumazione. L’uomo ha davanti il vuoto. Nostro compito è
capire che il coraggio non corrisponde a portare avanti una visione atea del
mondo, a limitarci a guardare inebetiti e disperati questo vuoto.
Domenico Lombardini
Anche io condivido con D. Lombardini la fede in Cristo e cerco di testimoniarla con il mio comportamento, ma non riesco a condividere il pessimismo e il nichilismo delle sue parole.
RispondiEliminaIn verità il pessimismo è lo stesso di M. Badiale e mi fa uno strano effetto: lo condivido e non lo condivido. Mi dico che se diamo per scontato che non ci sia nulla da fare allora rendiamo inevitabile un epilogo triste.
Osservo che in una poesia, dedicata a sua mamma, scritta negli anni Cinquanta, Pasolini ha scritto che ''non c'è mai disperazione senza un po' di speranza'', ma poi intorno al 1973, nella famosa intervista televisiva a Enzo Biagi, che non venne trasmessa in forza del Codice Rocco (intervista famosa anche perché a un certo punto Pasolini dice che lo stesso mezzo televisivo lo costringeva ad auto-censurarsi, e che i dirigenti della tv lo avrebbero censurato, come poi avvenne nonostante la auto-censura), ecco, in quella intervista Pasolini dice a un certo punto che aveva cancellato la parola speranza dal suo vocabolario.
Sul nichilismo ho le idee più chiare. Mi sembra proprio sbagliato. Quella frase di Wittgenstein, ad esempio. Il Creato ha la sua bellezza e la sua bontà. Non so perché il Creatore lo abbia creato. Forse perché solo attraverso il tempo il suo amore può dispiegarsi compiutamente (ma è una mia idea).
Poi sono rimasto molto colpito dalla lettura di un libro di M Bontempelli sul concetto di realtà nella filosofia di Hegel, e lo vorrei suggerire a D. Lombardini, se non lo ha letto.
Cordialmente.