(Dall'amico Paolo Di Remigio riceviamo e volentieri pubblichiamo questo intervento. M.B.)
Il
comunismo esprime l’esigenza di universalismo nella società umana ed è in
contrasto con il particolarismo proprio del principio gerarchico. Il contrasto
tra universalismo e particolarismo sociale è documentabile storicamente: nella
società schiavista del mondo classico si esprime come differenza tra religione
olimpica dei ceti dominanti, in cui la sostanzialità dell’individuo particolare
appare in un mondo di dei eternamente felici superiore a quello degli uomini, e
culti misterici dei ceti inferiori, in cui perfino gli dei soffrono e la
particolarità dell’individuo si riduce a supporto esterno della sua forma astratta,
l’anima, destinata a essere redenta in una migliore vita futura; nella società
feudale del medioevo si manifesta un analogo contrasto religioso tra
l’ortodossia che esalta la gerarchia – tra Dio e mondo, tra papa e
chiesa, tra clero e laici –, ed eresia, che fa suo l’ideale della povertà
universale e si volge messianicamente a un’età futura di perfetta uguaglianza.
Nel
contrasto tra comunismo e particolarismo è però già contenuta la sua finitezza
che lo espone alla critica. L’uguaglianza vi appare infatti come ideale;
l’ideale, però, non solo implica un’esigenza essenziale, ma la assolutizza come
unica. Nella realtà l’uguaglianza con gli altri individui, pur essendo
un’esigenza imprescindibile di ogni individuo, è sempre riferita ad altre
esigenze non meno imprescindibili, quella della realizzazione di sé, quella
della libertà. Divenuta un ideale, l’esigenza di uguaglianza esclude i
suoi riferimenti; così da una parte rinuncia alla realtà, ossia diventa un
futuro – un’utopia; d’altra parte, nel momento in cui vuole attuarsi come tale,
l’ideale non può che avere un impatto distruttivo sulla realtà che, come la
verità, è concreta: in quanto non è semplice esistenza fenomenica ma è
razionale, contiene entrambe le esigenze, quella della particolarità e quella
dell’universalità. Così la forma concreta e reale dell’universalismo sociale,
che immaginata come società è appunto il comunismo, è l’unità sentimentale
della famiglia che lega intimamente questi individui particolari; la
forma concreta della particolarità è il lavoro, in cui l’oggettivazione
particolare dell’individuo è riconosciuta dagli altri come valore; la
forma concreta della libertà è la connessione di diritti e di doveri realizzata
dalle istituzioni dello Stato.
L’astrazione
dell’ideale comunista assume con il marxismo forma positivistica. Il
positivismo rappresenta la religione della società capitalista: nelle
intenzioni di Comte, il suo fondatore, non solo doveva sostituirla, nelle
ultime fasi del suo pensiero ne assunse perfino l’aura; e al pari delle
religioni precedenti, per mezzo di Marx, il positivismo assume due forme:
quella particolare, l’evoluzionismo, che apprezza la storia come fondamento
delle presenti gerarchie classiste e coloniali; e quella universale, il marxismo,
che apprezza l’evoluzione storica, non tanto in sé, quanto come premessa
di una società umana allargata al mondo e senza classi.
A
torto si crede che lo specifico del positivismo consista nel suo empirismo;
l’esperienza ha in ogni filosofia un ruolo imprescindibile, perché in
ogni caso essa costituisce l’inizio della conoscenza. La peculiarità del
positivismo è invece l’invenzione delle scienze umane, ossia la volontà
di impiegare le categorie della natura fisica, chimica, biologica, per
conoscere l’uomo. Esso si fonda su un assunto in contrasto con la realtà
plurale delle scienze: quello della loro continuità, per cui la chimica sarebbe
deducibile dalla fisica, la biologia dalla chimica, la conoscenza dell’uomo
dalla biologia; e non prende in considerazione la possibilità che tra le
scienze ci sia un rapporto di negazione dialettica, per cui come gli
elementi chimici nella loro purezza sono la dissoluzione della vita, così le
leggi biologiche nella loro purezza sono la dissoluzione di quelle umane.
Con
questa riduzione dell’umano a natura, il cui lato abominevole resta latente
nello scientismo, ma erompe nella sua versione nichilista, nel naturalismo
morale che iniziato da Sade attraversa Nietzsche e finisce in Heidegger, il
positivismo crede di aver addirittura iniziato la considerazione razionale
dell’uomo e si sente autorizzato a rifiutare la filosofia del passato
tacciandola di metafisica, accusandola cioè di attardarsi in una considerazione
non empirica, quindi magica, delle cose. È però questo suo riduzionismo ad
avere natura antiscientifica; esso comporta infatti l’esclusione dogmatica di
una scienza che nessun filosofo del passato ha avuto difficoltà a riconoscere
come tale. Questa scienza è il diritto, ossia la conoscenza dell’uomo in
quanto non solo sottoposto a note e ignote leggi fisiche, chimiche e
biologiche, ma in quanto legislatore. In questo modo alle autentiche
scienze dell’uomo, quelle che presuppongono il suo potere legislativo, quali il
diritto, la storia, la filologia, la linguistica, l’economia, si affiancano
scienze quali la psicologia, la sociologia, l’antropologia, che possono
raggiungere risultati interessanti solo in quanto violano il loro riduzionismo
di principio, cioè la considerazione dell’uomo come semplice natura.
Il
marxismo è la versione comunista, per i poveri, del positivismo – un
positivismo che anziché essere ideologia del presente, anziché applicare alla
storia il darwinismo malthusiano per celebrare i fasti del mondo dominato
dall'avidità di denaro, è ideologia del futuro: avendo già accettato la
riduzione positivistica della storia a natura, il marxismo integra la
storia-natura con la previsione di un diverso finale, la società comunista
nella quale il particolare sarà cancellato dall'universale. Il disprezzo per il
diritto, che nel positivismo è implicito nella volontà di creare la
scienza naturale dell’umano, nel marxismo è esplicito come concezione
materialista per cui la storia è dominata da leggi naturali – strutturali – che
agiscono dietro le spalle degli uomini e che il loro diritto consapevole –
sovrastrutturale – si limita a riflettere deformando, senza disporre di vero
potere di negazione. Si verifica così in Marx ciò che si verifica nelle scienze
umane: i risultati del suo sforzo intellettuale, quasi sempre di enorme
importanza conoscitiva, sono conseguiti tramite un’incoerenza con i suoi
principi, con l’evoluzione storica che sfocia nell'ideale comunista.
Famiglia,
lavoro e Stato sono realtà delicate, esposte alle forze dissolventi che
sostituiscono la prima con il sentimento infecondo, il secondo con la felicità
narcotica del risultato senza la fatica dell’oggettivazione, il terzo con la
manipolazione di massa. Il marxismo, nella sua forma nichilistica dispiegatasi
a partire dagli anni Sessanta, è stato una di queste forze dissolventi che
hanno generato la presente barbarie. Compito attuale per chi sia stato marxista
è separarsi dalla sua astrazione per comporre l’idea filosofica, esercitare
cioè la capacità di inoltrarsi così a fondo nell'esistente da raggiungere il
punto in cui il reale è razionale; da questo punto si dipartono i raggi che
illuminano il mondo, qualunque sia il nostro destino in esso.
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